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30 novembre 2021

Torbjørn Ekelund, il bambino e la montagna.


Didascalico e lievemente inquietante (se sei padre capisci l'angoscia degli eventi narrati), prende spunto (o pretesto) da un fatto di cronaca del secolo scorso per articolare una lunga riflessione sul ruolo e sui limiti dell'essere genitore, che mette in secondo piano la descrizione dei luoghi. Il grande nord diventa metafora delle difficoltà e degli imprevisti nell'avere la responsabilità di un figlio: un momento può essere bellissimo, l'istante dopo può essere l'inizio di una tragedia piccola o enorme. 

24 novembre 2021

Simenon, un secolo dopo

In queste settimane ho letto tre (dei circa 400) romanzi di George Simenon:
La casa dei Krull
La neve era sporca
L'uomo che guardava i treni.

E , come frequentemente mi accade, devo riconoscere che occorre andare indietro di un secolo, anno più anno meno, per trovare narrativa ben scritta, storie avvicenti e significative, personaggi memorabili, e un messaggio che rimane. 
Non sarebbe male che accadesse anche oggi.
Ma invece ci toccano Le otto montagne di Cognetti e mille altri bluff. 
Peccato.

23 aprile 2020

Richard Ford - Tutto potrebbe andare molto peggio.

Ho conosciuto Richard Ford - considerato uno dei massimi narratori americani contemporanei ed insignito del premio Pulitzer - nella mia ricerca di uno o più autori che potessero prendere posto, nel mio scaffale immaginario, accanto a Cormac McCarty e John Edward Williams (per citarne un paio, ma la lista è lunga); ovvero quegli scrittori che lasciano veramente un segno nella mia memoria di lettore.

Per altro, dopo la cocente delusione de Il signore degli orfani (a mio avviso un'occasione sprecata e un indigeribile polpettone sfilacciato e dispersivo), ho maturato sentimenti di perplessità nei confronti dell'istituzione del Pulitzer (ma gli errori capitano, e questo -- ad ogni modo -- sono io).
Ammetto di aver faticato non poco nella lettura di Tutto potrebbe andare molto peggio, di cui qui potete trovare una sinossi ben scritta. L'iperarticolazione del pensiero intimo -- una sorta di infinito stream of consciousness della costa Est -- è a tratti pesante e pretestuoso. L'analisi -- intesa come scomposizione in parti sempre più piccole -- di vicende, tratti caratteriali, interpretazione di discorsi, e ricordi che riaffiorano alla memoria è sicuramente la struttura portante del discorso fordiano ma è sovente esasperata e affaticante.

E' tuttavia verso la conclusione di questa raccolta di quattro novelle interconnesse che sono riuscito ad apprezzare il protagonista (l'anziano, introverso, disincantato Frank Bascombe), l'articolata sequenza di amare riflessioni sulla vita e sugli accadimenti cha appaiono ineluttabili ed, infine, la piccola galleria di personaggi che Frank incontra in questo breve lasso temporale (un paio di giorni prima di Natale).

Io credo che il mio errore principale sia stato leggere Tutto potrebbe andare molto peggio -- che fa parte di una tetralogia che include Sportwriter (1986), Il giorno dell’indipendenza (1996) e Lo stato delle cose (2006) -- nell'ordine sbagliato, e ora cercherò di rimediare partendo dall'inizio.

Ho quindi voltato l'ultima pagina con sentimenti contrastanti: la soddisfazione di aver apprezzato l'intreccio narrativo e la caraterizzazione dei personaggi versus l'affaticata inquietudine dei passaggi meno plausibili del percorso mentale ed emotivo del protagonista; la serenità trasmessa dal determinismo di Frank fronte agli eventi (il tornado come metafora degli accadimenti che ci travolgono e di fronte ai quali non possiamo far altro che ripararci, raccogliere i pezzi e ritenerci fortunati se siamo sopravvissuti) versus la triste consapevolezza del destino che ci accomuna, tutti, alla fine dei nostri giorni.

Qui non ci sono né eroi né antieroi, ma frammenti di vita di persone qualsiasi raccontate da un tipo al quale, per quanto messo alla prova da acciacchi, sconfitte, dolori e troppa introspezione, le cose alla fine vanno meglio che ai personaggi che incontra, e ai quali sopravvive: dal cliente che ha perso la casa nel tornado alla vicina che vive di ricordi, dal figlio morto giovane al figlio vivo ma non stimato, dalla ex moglie in casa di riposo all'amico rancoroso sul letto di morte.


Scheda 

Editore: FELTRINELLI
Data d’uscita: Giugno, 2015
Collana: I Narratori
Pagine: 224
Prezzo: 17,00€
ISBN: 9788807031403
Genere: Narrativa
Traduttore: Vincenzo Mantovani

22 gennaio 2017

Due polizieschi italiani.

Ho sospeso momentaneamente i saggi e le letture sulla Corea del Nord per svagarmi con due titoli italiani nel genere giallo/poliziesco. Ecco i miei due cent.

Claudio Paglieri, Domenica nera.
Premio Bancarella 2008, il giornalista genovese affida al suo commissario Luciani una  indagine su frodi e illeciti calcistici che inizia con un suicidio molto sospetto. La storia è narrata benino, e l'autore dà il meglio di sé negli aspetti più giornalistici della vicenda, come quando dà la parola al cronista Baffigo o entra nei dinamiche della procura. Da genovese e concittadino dell'autore, ho trovato una scelta pigra e provincialotta ambientare la storia proprio a Genova. La narraziuone -- ahimè -- scade decisamente nelle tante scene di sesso (perché in ogni giallo il detective deve sempre rimorchiare la bellezza di turno per me resta un mistero), crude e stereotipate, più vicine ad una sceneggiatura di Brazzers che a un romanzo di James Ballard. Che peccato.


Piero Colaprico, Pietro Valpreda, La nevicata dell'85. 
Scritto a quattro mani dal giornalista milanese esperto di Tangentopoli e dall'anarchico Valpreda , questo gustosissimo episodio della serie Pietro Binda regala bellissime atmosfere di una Milano di trent'anni fa, facendo tornare alla memoria i noir di Scerbanenco. Il protagonista, ex maresciallo dei carabinieri in pensione e investigatore privato, porta avanti un'indagine su misteriosi decessi di anziani, e per farlo si avvale di una galleria di pittoreschi personaggi degni di Agatha Christie. Come la spessa coltre di neve che fa da sfondo alla vicenda, in questo romanzo romanzo tutte le cose sono nascoste e coperte, e niente è come appare a prima vista. Magistralmente scritto

03 gennaio 2017

Letture sulla Corea del Nord.

Ultimamente mi sono appassionato della vita e delle vicissitudini della Corea del Nord. Un interesse nato tempo fa in occasione di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera per recensire "Fuga dal campo 14"; anche la Stampa ha pubblicato un articolo in merito; ho iniziato proprio da questo volume e ho poi approfondito con "Il signore degli orfani", premio Pulitzer del 2013.

Blaine Harden , Fuga dal campo 14
Al centro dell'attenzione mediatica sia per il tema trattato (la fuga di un ragazzo nato e cresciuto in uno dei più duri campi di detenzione del regime di Pyongyang) che per il dibattito sulla veridicità dei fatti narrati, "Fuga dal campo 14" è un libro eccezionale, dotato di una grande forza narrativa, scritto (e tradotto) molto bene dal giornalista Blaine Harden sulla base delle testimonianze di Shin Dong-hyuk, un ragazzo nato in un campo di detenzione da un fugace rapporto tra due detenuti (peraltro imprigionati senza aver commesso personalmente un crimine), cresciuto tra fame, freddo, lavori forzati e torture spietate, in un ambiente che premia la delazione, privo di sentimenti fondamentali quali la lealtà, l'amicizia, l'affetto o la compassione; dopo aver tradito la madre nella speranza di ottenere un premio, e aver assistito alla sua pubblica esecuzione, Shin Dong-hyuk riesce ad evadere dal campo e, affrontando nuovamente la fatica, il freddo e la fame, inizia una nuova vita da persona libera prima nella Corea del Nord, quindi nella Corea del Sud dove ottiene l'asilo politico ma non riesce ad integrarsi nella competitiva e materialista società sudcoreana. Infine si trasferisce in California dove, dopo un lungo percorso interiore per imparare la fiducia e la lealtà, contribuisce con interviste alla scrittura del libro e tiene conferenze per sensibilizzare l'inerte e sonnolente opinione pubblica sulle condizioni vergognose delle migliaia di detenuti nei campi di prigionia del regime più autoritario e chiuso del mondo.


"Il signore degli orfani"
Concepito come una lunga narrazione in due parti, questo romanzo, la cui sinossi si trova in rete, si articola intorno alle vicende del protagonista e delle sue molte vite, da agente governativo addetto al rapimento di cittadini giapponesi e sudcoreani a prigionerio politico a impostore e stretto collaboratore del caro leader. Un libro, sia detto, lunghissimo e non facile, ma senz'altro coinvolgente per le descrizioni minuziose e crude delle condizioni di vita in Corea del Nord, dalle condizioni priviligiate delle elite di Pyongyang alle torture agghiaccianti nei campi di detenzione dove i prigionieri sono spesso utilizzati come banche  (viventi) del sangue e di organi alla fame, dalla malnutrizione delle campagne al rapporto di forza con i governi occidentali e gli USA. Qulache raro momento di bellezza e di generosità non riescono a distogliere l'attenzione del lettore dalla strisciante ed inumana crudeltà di molta parte della società nordcoreana.

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Che cosa accomuna questi due importanti libri? Due concetti principali.


  1. Il primo è il velo (finalmente) squarciato sulla situazione di questo anacronistico, pervasivo, autarchico, spaventoso regime totalitario: due documenti che descrivono, grazie alla testimonanza diretta degli autori, come veramente sono costretti a vivere i sudditi del caro leader e fanno percepire vividamente al lettore la paura costante, la fame, il freddo, la forza della propaganda, il ruolo della tortura e dell'intimidazione come strumenti di controllo della popolazione e di affermazione del potere. La Corea del Nord è un Paese culturalmente e tecnologicamente arretrato, uno stato in cronico deficit alimentare, tanto che i suoi abitanti sono meno sviluppati fisicamente ed intellettualmente dei sudcoreani; è un regime che nega ai suoi sudditi, controllati in ogni movimento e terrorizzati dalla delazione, qualunque diritto e libertà elementare che sono dati per scontati nella maggior parte dei Paesi.
  2. Il secondo è la percezione della situazione nordcoreana tanto a Seul quanto nei Paesi occidentali: in primis sono in pochi a conoscerne anche superficialmente la situazione; ma vi è di più: sono in pochissimi ad impegnarsi concretamente per un cambio di direzione del regime di Pyongyang. Perché le Nazioni Unite, gli USA, l'Unione Europea -- notoriamente impegnati nei luoghi remoti del mondo, dal Medio Oriente al Sud Est Asiatico all'Africa centrale -- non intervengono mai, nemmeno a parole, in Corea del Nord? Perché, in fin dei conti, un contrasto con la Corea del Nord o, peggio, una sua riunificazione con la Corea del Sud non sono ritenuti né profittevoli né tantomeno auspicabili. Si preferisce fare ironia sui tic di Kim Jong-un o stigmatizzare con una battuta l'arretratezza della Corea del Nord piuttosto che prendere la situazione sul serio. In fin dei conti 20 milioni di persone affamate, impoverite, prive di istruzione e indementite da decenni di propaganda non sembrano un buon affare per nessuno. Non lo sono con la Cina, che già deve fronteggiare i (pochi) clandestini, non lo sono di certo per la Corea del Sud che non vuole rinunciare per alcune motivo  al benessere costruito negli ultimi 20-30 anni , e nemmeno vuole condividerlo. Per capire l'impatto di una ipotetica riunificazione delle Coree sarebbe sufficiente ricordare la riunificazione della Germania Est e Ovest, e moltiplicarlo per cento, in un contesto economico globale sicuramente meno in espansione rispetto alla fine degli anni 80. 

06 settembre 2016

Mai avere paura: Vita di un legionario non pentito


Desideroso da tempo di approfondire la mia conoscenza della Legione Straniera con un testo serio ed affidabile, ho acquistato il pluri recensito libro di Danilo Pagliaro che, nella Legione, ha trascorso 20 anni della sua vita, arruolandosi già in età adulta.
Trovate sinossi e recensioni un po' ovunque, per cui mi qui scrivo un paio di considerazioni. 
Il libro, che pure ho letto con piacere, è un po' un'occasione persa. Mi spiego. Fatto 100 i contenuti del libro, diciamo che un buon 70 è occupato da due categorie di messaggi:
  1. aneddotica varia ed eventuale, narrata nemmeno in maniera troppo convincente, di vita vissuta più in camerata che in missione: burle, frizzi, dimostrazioni di stima ed amicizia, lezioni esemplari ecc. Che, a raccontarle a terzi, non rendono sempre benissimo.
  2. disanima ed esaltazione dei veri e soli valori fondanti della Legione e delle vere motivazioni che spingono gli uomini veri ad arruolarsi, a resistere e a fare carriera; giustissimo trasmettere ai lettori un messaggio vero ed onesto, ma alla decima volta che leggi "Le cose sono così, tutto il resto sono chiacchiere scritte da rammolliti che si nascondono dietro un computer", il rischio della retorica fine a sé stessa è alto.
Non c'è nulla di male, davvero, a voler convincere il lettore che la Legione è fatta di valori, disciplina, sacrificio, senso del dovere, coraggio; ma, come lettore, mi aspettavo descrizioni più approfondite e dettagliate su addestramento, tecniche, dotazioni, missioni, obiettivi, scontri. Informazioni a cui gli autori, invero, hanno deciso di dedicare uno spazio abbastanza ridotto. L'unica fase raccontata compiutamente è l'arruolamento; una narrazione strumentale che, nell'effettivo marasma di bugie, approssimazioni, cialtronerie e bufale che girano sui forum, è un apprezzabile tentativo di fare chiarezza sulle vere regole e procedure di arruolamento nella Legione.
Molti lettori troveranno interessante le considerazioni su  come è evoluta (peggiorata, dice l'Autore) la Legione negli ultimi anni: rilassamento della disciplina e delle "regole non scritte", eccessiva apertura nei confronti dell'Islam, timore reverenziale nei confronti dei media sempre più critici nei confronti dei metodi di addestramento. 
In sostanza, l'autore si congeda con orgoglio per quel che ha fatto come legionario (di cui però ci racconta poco), con nostalgia della Legione di una volta e di sconforto per la piega che sta prendendo. Il lettore, per quanto mi concerne, gira l'ultima pagina con la sensazione di avere imparato poco o non abbastanza e che, per molte pagine, la retorica ha sostituito il racconto. Peccato.

Scheda del libro

Titolo: Mai avere paura: Vita di un legionario non pentito
Autori Danilo Pagliaro, Andrea Sceresini
Editore Chiarelettere
ISBN 8861908217, 9788861908215
Lunghezza: 224 pagine

24 marzo 2016

Bonvissuto et al., Scena padre.


Anni fa un amico mi regalò I nutrimenti terrestri. Non è un libro per tutti, e non lo troverete tra le mani di un pendolare né su un asciugamano steso sulla spiaggia. Ci misi un bel po' a capire il motivo di quel regalo. In realtà era un messaggio: con quel libro voleva dirmi qualcosa. Ci arrivai quando gustai, riga dopo il riga il lungo, disperato, muto grido di rifiuto e di odio di Gide contro le famiglie tradizionali della società occidentale: entità atomiche, strutture chiuse, protette da profonde trincee scavate dalle convenzioni sociali che dicono, e impongono, cosa una famiglia deve e non deve fare per essere (silenziosamente) accettata e riconosciuta.
Non ho mai fatto mistero della mia scarsa empatia nei confronti del modello imperante di giovane famiglia della mia generazione, generalmente costituita da una coppia iper ansiosa impegnata a trasformare la propria prole in una sorta di feticcio da esporre, adorare, servire.
Diceva bene un mio compagno di scorribande solo pochi giorni fa: andare a cena con una coppia con figli è molto peggio che andare da soli, perché oltre ad essere ignorato, devi anche sopportare la patologica apprensione di due neo genitori con lo sguardo incollato alla culla o, peggio, ad un baby monitor.
Se non vi sembra lo spirito (il termine mindset sarebbe più appropriato) migliore per affrontare un libro che parla di padri e figli, vi sbagliate. So ancora mettere da parte i miei pregiudizi.
Poi c'era anche la fiducia e la curiosità nel nuovo contributo di Bonvissuto, scrittore che ho conosciuto, letto e riletto, e recensito per l'imprescindibile Dentro.
Scena padre, a dar seguito alle recensioni in rete (che sembrano un po' l'una scopiazzata dall'altra, ma forse è la mia consueta malizia), è descritto come un coro di voci (di padri)  che parlano dell'essere genitori e dell'avere figli.
Non è un coro: se avete qualche rudimento di teoria musicale (ma in realtà è sufficiente aver visto un raduno di alpini), capirete che Scena padre somiglia più ad un confronto tra solisti.

22 luglio 2014

La versione di.

Sottotitolo: O come non saper creare un titolo fantasioso.

Andiamo con ordine:
  • 1997: Mordecai Richler, La versione di Barney (da cui tutto, o quasi, ha inizio);
  • 2007: Mike Bongiorno, La versione di Mike (si piazza, cronologicamente, al secondo posto, quindi sembrava quasi un omaggio);
  • 2009: Francesco Cossiga, La versione di K (perdonato: a Kossiga tutti hanno perdonato tutto, figuriamoci un titoletto);
  • 2014: Vasco Rossi, La versione di Vasco (da sempre il re dell'ovvio, nato per accontentare masse dal palato grosso).
Non vi bastano i libri? Et voilà, anche via web e/o etere:
  • TGCOM24: Alessandro Banfi, La versione di Banfi (se la sua rassegna stampa fosse alla sera sarebbe un coadiuvante del sonno)
  • Radio24: Oscar Giannino, La versione di Oscar (sì, quello che si è inventato lauree e titoli non conseguiti; Wired ha avuto il buon gusto di rinunciare ai suoi rinunciabilissimi interventi).

13 novembre 2013

Dopo "Dentro".

Ho scritto qualche settimana fa le mie impressioni sulla raccolta di racconti "Dentro" del romano Sandro Bonvissuto. Un'opera che ho già letto due volte per ripercorrere le tante riflessioni intime che arricchiscono il tessuto narrativo.
Accade di rado che un'opera prima (almeno in senso editoriale) riscuota un successo e un consenso così unanimi, tanto che diventa difficile trovare opinioni critiche e contrarie. Quando un libro ha sufficiente successo, accade che lettori, critici improvvisati e di professione, opinionisti dell'ultimo minuto e altri curiosi frequentatori delle discussioni editoriali e letterarie, si dividano in sostenitori entusiasti e livorosi detrattori. Questo libro, invece, sembra piacere profondamente a tutti.
Per contro l'autore, in una recente intervista, riferisce di un "clima di ostilità più vicino al pestaggio che al duello" che serpeggerebbe nei book blog; ma mi sembra un giudizio un po' drammatico, non realistico: forse qualche lettore e aspirante scrittore ha affidato la propria invidia a un post o un commento; casi isolati, tuttavia, che né scalfiscono né la reputazione dell'autore,  né indeboliscono il consenso generale accordato a Dentro. Il libro perfetto, si potrebbe dire. E molte volte ho avuto la tentazione di definirlo tale.
Ed è proprio qui che si apre un interrogativo importante nella mente di un lettore appassionato.
Che cosa verrà dopo "Dentro"? Le aspettative sono altissime. E sono sicuro che Bonvissuto stia percependo, con il passare dei mesi, stia percependo una crescente pressione su di sé, come personaggio e scrittore. L'uomo è senz'altro molto attivo e abile nella promozione, come vedo dai continui aggiornamenti del suo profilo Facebook. Ma verrà il giorno in cui il pubblico plaudente chiederà a gran voce pagine nuove da leggere.
Che cosa farà Bonvissuto? Proseguirà sulla feconda ma insidiosa strada del racconto intimo e minimalista o affiderà il proprio pensiero a forme più consuete e, editorialmente parlando, digeribili di letteratura, come il romanzo? Sarà  in grado di replicare, raggiungere o addirittura superare la straordinaria capacità creativa e narrativa concentrata nei tre racconti? E' possibile non solo sopravvivere a, ma anche superare "Dentro"?

03 ottobre 2013

Siccità e inondazioni: la credibile fantascienza di Ballard.



 
Quest'estate mi sono fatto attrarre da due titoli di fantascienza di unos crittore che ho molto apprezzato per romanzi innovativi come Crash, Supercannes, Il condominio: si tratta di Terra bruciata e Il mondo sommerso di James G. Ballard, parte della trilogia degli elementi.
Chi legge Ballard sa che le storie si articolano in genere secondo una struttura collaudata e un po' prevedibile: un contesto o evento scatenante (sconvolgimenti climatici in cui il pianeta è deserto o ricoperto dagli oceani); il protagonista, di solito uno scienziato o dottore, che diventa leader cognitivo e motivazionale di un gruppo assortito di personaggi, in cui la distinzione tra buoni e cattivi muta nel corso dell'opera; una vicenda o una serie di iniziative volte ad affermare la volontà dell'uomo su un destino che sembra inesorabile.
Terra bruciata e Il mondo sommerso non si sottraggono a questo rassicurante schema né hanno pretese di veicolare messaggi di particolare profondità ma hanno, a distanza di decenni dalla pubblicazione, due grandi meriti.
Il primo è la inalterata attualità del tema: i cambiamenti climatici con i loro effetti devastanti dovuto alle attività dell'uomo. Il secondo è la forza narrativa che, soprattutto in Terra bruciata , trova un'elevata espressione, tanto angoscianti ed opprimenti sono le immagini di apertura del romanzo.
Ballard non chiude mai
Due titoli da riscoprire, che ancora oggi coinvolgono il lettore.

16 settembre 2013

Zac Crain , Dimebag. La storia di Darrell Abbott.

Sono passati quasi dieci anni da quando una serie di colpi di pistola esplosi in un club hanno messo fine alla vita spensierata, geniale, produttiva e positiva di Darrell Abbott, uno dei migliori e più completi chitarristi rock, un ragazzo che, tra uno shot di whisky e una birra, ha cambiato le regole dell'heavy metal e ha contribuito a creare non solo i Pantera, uno dei gruppi più innovativi e dirompenti della scena rock degli anni 90, ma ha scritto alcuni tra i più veloci, aggressivi ed incisivi brani che si siano mai ascoltati.
Zac Crain ripercorre in questa biografia, scritta con l'immancabile registro delle biografie rock (il giusto equilibrio tra crescita musicale, vicissitudini professionali e aneddottica colorita), la vita di Darrell "Dimebag" Abbott, del fratello Vince e dei Pantera, dagli esordi nel più classico garage alla fine, una delle pagine più drammatiche ed insensate del grande circo del rock.
Darrell è sempre stato noto per il carattere buono, estroverso, generoso e positivo: anche all'apice della carriera, quando era finalmente riconosciuto come uno dei migliori chitarristi del mondo, non si è mai preso troppo sul serio né ha assunto atteggiamenti odiosi da rockstar: Crain ricostruisce moltissimi episodi della vita personale, della musica, dei rapporti con gli sponsor (Dean, Washburn ecc.) e con le migliaia di fan, amici, conoscenti che hanno avuto la fortuna di incorociare la strada di questo straordinario musicista.
Questa biografia ha il pregio, tra l'altro, di non affidare al lettore una visione semplicistica e manichea della vita dei Pantera, con i suoi buoni (gli Abbott, i fan ecc) e i suoi cattivi (per molti: Phil Anselmo); un quadro obiettivo e preciso, insomma e una lettura completa, scorrevole, accuratamente documentata.

12 settembre 2013

Carlo Verdone, La casa sopra i portici.

Canto fuori dal coro delle recensioni positive. Addirittura estasiate, commosse. No. Questo libro rafforza la mia convizione che gli attori, anche quelli bravissimi, non dovrebbero farsi tentare dall'ulteriore autocompiacimento di credersi grandi scrittori. Chi si ricorda Mal di parola di Vittorio Gassman? Terribile. Un polpettone superfluo, scritto con un atteggiamento saccente. E parliamo del grande Gassman.
Verdone non ne esce meglio. Sconfitto su tutta la linea, se non quella del profitto economico, probabilmente.
La casa sopra i portici risulta una sfilacciata collezione di ricordi: è esile e privo di mordente. Nonostante l'indiscutibile carisma e la popolarità di Verdone, che da soli dovrebbero essere un solido sostegno a questo progetto editoriale, il libro non riesce a coinvolgere il lettore nelle vicissitudini di una famiglia importante e di un'epoca straordinaria, che avrebbero meritato un narratore, se non un biografo, di altra caratura. Non è un romanzo, non sono racconti e nemmeno sketch, genere nel quale Verdone dà il meglio di sé. Ed infatti le uniche parti gustose sono i racconti della preparazione di sketch per teatro e cinema. Ma per il resto, poche paginette che si leggono in tre ore, chiedendosi il perché di questa superficiale operazione della memoria. Pazienza.

10 settembre 2013

Filippo Logli, In Vespa a Capo Nord.


Filippo è un viaggiatore e navigante di lungo corso. Quando trova una Vespa PX del 1982, il suo istinto nomade e avventuriero, gli dice che, in sella a quello scooter, deve spingersi lontano, e raggiungere una meta che è anche il simbolo del confine delle terre emerse, perché più a nord di così non si può andare.
Supportati dall'entusiasmo di un Vespa Club, dalla fiducia di alcuni sponsor e da quella scintilla di follia che trasforma un viaggio in un'impresa, Filippo e il suo compagno di ventura partono da Pontedera, si mettono in marcia e affrontano migliaia di kilometri, freddo, pioggia, vento e un paio di scivoloni fino al traguardo di Capo Nord.
Lungo la strada ricevono l'accoglienza, l'ospitalità e l'ammirazione di chi offre loro un divano dove passare la notte, un pasto caldo, una riparazione urgente o una navigazione sui fiordi.
La narrativa di viaggio in sella a motocicli e Vespe ha tra i suoi autori precedenti illustri e ben più navigati, come il compianto Giorgio Bettinelli, nei cui testi ha sempre aleggiato, a parere di chi scrive, una strisciante malinconia senz'altro dettata dai tanti mesi trascorsi in solitudine; il libro di Logli, invece, è un continuo via vai di persone, di incontri anche rischiosi, di scambi e dialoghi in mille lingue, senza preconcetti. Anche i momenti critici, frutto più spesso dell'incoscienza che del caso, si trasformano in obiettivi da raggiungere e sfide da superare con un sorriso.
Un errare pieno di stupore tra paesaggi e persone che la lentezza del mezzo aiuta ad assaporare curva dopo curva.
Il viaggio è un tributo alla figura del nonno, operaio Piaggio, scrittore per diletto, custode di ricette che Filippo ricrea nelle cucine di Paesi lontani per i suoi commensali.
Durante il percorso, l'autore ha aggiornato un blog con cui comunicava con sostenitori, amici e famiglia. Da leggere insieme al libro.

Filippo Logli, In Vespa a Capo Nord.
Copertina semirigida, risguardie a colori, pp. 300 con foto
Giugno 2013, Collana “Scritti Traversi” Exòrma Edizioni: www.exormaedizioni.com
€ 15,90

04 settembre 2013

Le ultime pagine scorse.

Memo degli ultimi libri letti (in rigoroso disordine mentale):

Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi


Cormac McCarthy, Città della pianura


Jean-Christophe Grangé, I fiumi di porpora


Alice Blanchard, Respiro 

Zac Crain , Dimebag. La storia di Darrell Abbott


 Joel McIver, Slayer
James G. Ballard, Terra bruciata


James G. Ballard, Il mondo sommerso


Carlo Verdone, La casa sopra i portici


 Filippo Logli, In Vespa a Capo Nord


Di qualcuno scriverò qualche nota. Di un paio una sonora stroncatura.

02 settembre 2013

Sandro Bonvissuto, Dentro.

Non scriverò una (l'ennesima) recensione di Dentro. Cercate sul web, e ne troverete a decine, alcune molto ben scritte e profonde.
La maggior parte di esse sono pienamente condivisibili nel salutare l'opera prima di Bonvissuto come un piccolo e aggraziato capolavoro di narrativa (il libro è una raccolta di tre racconti).
Lo stile essenziale e pulito e l'equilibrio (delicato ma sempre rispettato) tra sintesi descrittiva e declinazioni del sentimento dell'esistere (*) sono le due qualità straordinariamente espresse di Bonvissuto. Non si contano in rete gli elogi (e ad essi mi unisco) della sua ormai nota descrizione del muro come forma architettonica che rappresenta il male. Ma il lettore si troverà affascinato fino alla commozione anche nell'educazione di un bambino all'uso della bicicletta, strumento che segna la conquista delle categorie di età adulta, autonomia e libertà, esperienza che si accompagna alla metamorfosi della figura paterna da autorità immobile e severa a quella di educatore che svela il segreto mistico ed innato dell'equilibrio e del moto lineare.
A Dentro riconosco, più di tutto, il pregio di avermi fatto riconciliare con la narrativa (ed in particolare quella italiana), da cui mi ero allontanato senza remore né reticenze dopo alcuni disastrosi incontri partoriti da un marketing editoriale per me ormai incomprensibile. Un libro da leggere e rileggere e avere sempre a portata di mano.

Sito web dell'autore.

Scheda
Titolo: Dentro
Autore: Sandro Bonvissuto
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Pagine: 184
Prezzo: libro € 17,50
ebook € 9.99
ISBN: 9788806208448
Data pubblicazione: maggio 2012

14 aprile 2013

Antonio Pennacchi, Palude.

Dovunque leggiate, di Pennacchi e dei suoi libri leggerete sempre un gran bene. Lo scrittore popolare, l'operaio riscattato, il narratore avvincente, l'autore di affreschi della nostra storia contemporanea. Per carità, è tutto vero, e pure io ho amato molto Canale Mussolini, lo stile colloquiale, l'invenzione (o la descrizione) dei personaggi. 
Scorrere le pagine di Palude è stato però un continuo déjà vu -- vuoi per l'ambientazione geografica nell'Agro Pontino, vuoi per la collocazione storica tra il fascismo e il dopoguerra, vuoi per i personaggi forti e ingombranti.
In effetti Pennacchi ha rimesso mano a questo romanzo, ripubblicandolo, dopo il successo di Canale Mussolini. Inevitabile l'osmosi tra le due opere.
Ma se la prima parte di Palude è coinvolgente e non di rado ironica, la seconda parte si trascina con stanchezza, in un'allegoria di fantasmi più lunga del necessario. Ma alla fine è un libro che lascia moderatamente soddisfatti per come ci restituisce lo sguardo sulla nascita di una nazione vista dal basso, da chi l'ha fatta con il lavoro e l'obbedienza, e per l'innegabile creatività con cui l'autore ha dato vita ai personaggi del romanzo. 
A chi vuole approfondire, suggerisco la lettura di questa recensione di Mario Grossi, un commento equilibrato e condivisibile.

05 marzo 2013

Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi.

Chi segue il mio blog e le recensioni di libri sa bene che alla narrativa preferisco di gran lunga la saggistica. Ma se posso suggerirvi un titolo, certo che vi coinvolgerà e lascerà soddisfatti quando girerete l'ultima pagina, Non è un paese per vecchi è sicuramente uno dei migliori candidati. E lo scrivo pur ammettendo di non aver avuto la predisposizione per veder per intero il film dei fratelli Coen -- la cui sceneggiatura, sia detto per inciso -- è fedelissima alla stesura del romanzo.
Lo stile di McCarthy è avvincente e al contempo asciutto, hemingwayano, direi, se il termine non fosse abusato: prova ne sono i dialoghi, quasi sospesi in un silenzio irreale, come se i personaggi non fossero in grado di colmarlo con le parole e i ragionamenti.
La figura di Chigurh è agghiacciante, la personificazione del male: un demone irredimibile che, alla fine, muove quasi a pietà perché si guadagna il pane sporcandosi le mani con lavori che in qualche modo vanno fatti, ma che debbono rimanere lontani dalla luce dei piani alti.
Le descrizioni dei paesaggi del Texas meridionale sono intrise di fascino, dolore, e desolazione.
Un racconto violento, spietato, sanguinario. Ma non è un libro privo di speranza; la luce la si intravede nell'etica incrollabile dei buoni, come lo sceriffo Ed Bell; una luce sbieca e fioca, ma capace di sollevare l'animo.
McCarthy ha avuto per me anche un effetto volano: ho letto, sbagliando sequenza (il bello del caso) Città della pianura, il terzo capitolo della Trilogia della frontiera.

Einaudi 2006
Supercoralli
pp. 254
€ 17,00
ISBN 9788806179670
Traduzione di Martina Testa


La scheda su Einaudi.it
La voce su Wikipedia.

26 novembre 2012

Alice Munro, Troppa felicità.

Quando mi regalano un libro, specie se a regalarlo è un caro amico, il mio cuore di lettore si riempie di aspettative con cui riesco quasi a mettere da parte il mio ormai radicato (ma pur sempre sradicabile, basta volerlo) sospetto nei confronti della narrativa contemporanea, e in particolare dei racconti.
Non voglio qui soffermarmi sui motivi che mi hanno da tempo spinto ad abbandonare la fiction in favore della saggistica: si dica solo che, come sovente accade, i miei sospetti su certe tare della narrativa contemporanea (quel sapore di "già letto, grazie" e "siamo sicuri che ce ne fosse bisogno?") si rivelano non privi di fondamento allorquando giro l'ultima (più spesso la terzultima) pagina di un romanzo o di una raccolta di racconti.
Ma torniamo a Troppa felicità. Le prime pagine, fatalmente, mi catapultano indietro di alcuni anni, ai primi racconti di McEwan, un autore che ho divorato e amato fortemente ma che ultimamente non riesce più a stimolarmi; anzi, ad essere sinceri, sembra proprio una scopiazzatura del primo McEwan. Gli ingredienti ci sono tutti: personaggi ambigui, atmosfere cupe al limite del grottesco e, rullo di tamburi, un lieve senso di disagio nel procedere con la trama. Voilà: è sufficiente levare un istante gli occhi dalle pagine, ad onor del vero scorrevolissime, per essere persuasi di un fatto: il racconto che sto leggendo è un pretesto per creare una sensazione di imbarazzo, ansia e disagio nel lettore. Quasi un compitino da corso di scrittura creativa: non importa che succede riga dopo riga, ben poco valore hanno la psicologia e i tratti dei personaggi. La Munro riesce ad ottenere l'attenzione del lettore e a coinvolgerlo ma, al contempo, a creare un lieve ma persistente stato di ansia, quasi di fastidio.
Torniamo a McEwan. In questo genere è stato un maestro; non voglio dire uno dei primi ma, diamine!, rileggiamoci Primo amore, ultimi riti o Racconti fra le lenzuola o anche il romanzo breve Cortesie per gli ospiti (titolo magnifico sputtanato da quella congrega di lavativi della TV) o il capolavoro Il giardino di cemento: tra quelle pagine, di ansia, claustrofobia e angoscia ce n'era da portare via con il rimorchio, ma stiamo parlando di lui e di alcuni anni or sono. Già letto, grazie.
Sempre nel genere, è gradevole Bambinate, novella crudele e credibile, scritta bene ma conclusa in fretta. Peccato.
Non si sollevano di molto gli altri racconti: anzi, alcuni sprofondano nel parossismo o si trascinano inutili e sinceramente inconcludenti come Troppa felicità, farraginosa e dispersiva ricostruzione degli ultimi anni di vita di una matematica russa. Siamo sicuri che ce ne fosse bisogno?
L'intento di questa scrittrice era ed è probabilmente, come potete leggere nelle tante entusiastiche recensioni pubblicate in rete, quello di tracciare con maestria e abili pennellate un quadro impietoso delle nostre esistenze in tutte le loro sfumature e blablabla. Ma non funziona. Così come suona un po' patetico il tentativo di un'americana (anzi, meno: di una canadese) di sfoggiare una cultura "classica": ma l'approccio è goffo (da osteria la vulgata di Platone) e il risultato è più da Wikipedia che da liceo classico.


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Scheda del libro
Alice Munro, Troppa felicità.
2011, Einaudi Supercoralli
pp. 332
€ 20,00
ISBN 9788806200787
Traduzione di Susanna Basso

25 luglio 2012

Vi consiglio due libri.

In queste settimane sono stato abbastanza fortunato da leggere due saggi veramente ben scritti e coinvolgenti su tematiche che mi affascinano molto: l'impatto dell'uomo sull'ambiente e l'alimentazione. Se volete leggere qualcosa di impegnato (senza essere troppo impegnativo) e che vi faccia riflettere su aspetti che ci riguardano sempre più da vicino, con questi titoli andate sul sicuro.

Michael Pollan, Il dilemma dell'onnivoro (versione per giovani adulti). 
E' un libro molto conosciuto, soprattutto tra negli USA, e ampiamente recensito per cui rimando ai link in basso per approfondimenti. L'autore ricostruisce e racconta l'evoluzione dell'industria alimentare soprattutto in America e in Europa, analizzando la catena di vita del cibo, dalla coltivazione e dall'allevamento fino al piatto finito, servito (spesso) in un fast food o venduto nei banchi di un supermercato, svelando al lettore tutti i costi indiretti e nascosti legati alla produzione e alla distribuzione del cibo nel moderno ciclo industriale; accanto a questa analisi, propone e valuta modelli alternativi, quello del "bio industriale" e quello del "bio a km 0", una tendenza che si sta diffondendo sempre di più anche in Italia. Una lettura coinvolgente che spiega il lato oscuro di molti processi industriali della produzione del cibo (e fa passare la voglia di pranzare da McDonald's).


Per approfondimenti: recensioni: 1 e 2 , Scheda del libro. Di questo saggio, ho scoperto, è disponibile anche una versione completa, più lunga e probabilmente con un taglio meno divulgativo.

Il saggio è citato sovente nel documentario  Food, inc.  (in Italia Cibo SpA), ecco il trailer ufficiale.


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Alan Weisman, Il mondo senza di noi. 
Il libro mi era stato raccontato brevemente e consigliato da un amico, e la sinossi mi aveva convinto a comprarlo. Vi rimando, per i dettagli a Scheda e recensione.
Il filo conduttore del saggio non è pedissequamente, come si potrebbe evincere dal sottotitolo, una visione complessiva del mondo alla nostra improvvisa e totale scomparsa ma un'analisi approfondita, documentata e corredata di testimonianze scientifiche importanti di quello che accadrà a tutto ciò che abbiamo costruito, creato, modificato e abbandonato sul pianeta: dalla coltivazione all'allevamento di animali domestici, dalle infrastrutture alle dighe, dagli impianti industriali agli ecosistemi che abbiamo pesantemente modificato con la nostra presenza.


Si apprezza molto l'approccio rigoroso e scientifico che prevede per ogni aspetto l'intervento e la consulenza di esperti dei vari settori (tecnici, accademici, ricercatori, scienziati ecc) che, sulla base di dati, modelli , simulazioni ed esperienza, aiutano l'autore a tracciare scenari, la maggior parte davvero inquietanti.

10 luglio 2012

Quest'estate sotto l'ombrellone...

...anche nelle mani di chi non è mai andato oltre la Gazza (per lui) e Confidenze (per lei).




Azzardo anche i commenti sul bagnasciuga:
"E' così coinvolgente!"
"Ne parlavano tutti, ero curiosa di leggerlo"
Scommettiamo?

(Tre anni fa c'era Dan Brown o giù di lì, per il resto cerco di stare alla larga dalle spiagge).

Se mi cercate per smentirmi o complimentarvi (a seconda dell'umore), mi trovate nascosto dietro qualche palloso saggio di storia contemporanea.