26 novembre 2012

Alice Munro, Troppa felicità.

Quando mi regalano un libro, specie se a regalarlo è un caro amico, il mio cuore di lettore si riempie di aspettative con cui riesco quasi a mettere da parte il mio ormai radicato (ma pur sempre sradicabile, basta volerlo) sospetto nei confronti della narrativa contemporanea, e in particolare dei racconti.
Non voglio qui soffermarmi sui motivi che mi hanno da tempo spinto ad abbandonare la fiction in favore della saggistica: si dica solo che, come sovente accade, i miei sospetti su certe tare della narrativa contemporanea (quel sapore di "già letto, grazie" e "siamo sicuri che ce ne fosse bisogno?") si rivelano non privi di fondamento allorquando giro l'ultima (più spesso la terzultima) pagina di un romanzo o di una raccolta di racconti.
Ma torniamo a Troppa felicità. Le prime pagine, fatalmente, mi catapultano indietro di alcuni anni, ai primi racconti di McEwan, un autore che ho divorato e amato fortemente ma che ultimamente non riesce più a stimolarmi; anzi, ad essere sinceri, sembra proprio una scopiazzatura del primo McEwan. Gli ingredienti ci sono tutti: personaggi ambigui, atmosfere cupe al limite del grottesco e, rullo di tamburi, un lieve senso di disagio nel procedere con la trama. Voilà: è sufficiente levare un istante gli occhi dalle pagine, ad onor del vero scorrevolissime, per essere persuasi di un fatto: il racconto che sto leggendo è un pretesto per creare una sensazione di imbarazzo, ansia e disagio nel lettore. Quasi un compitino da corso di scrittura creativa: non importa che succede riga dopo riga, ben poco valore hanno la psicologia e i tratti dei personaggi. La Munro riesce ad ottenere l'attenzione del lettore e a coinvolgerlo ma, al contempo, a creare un lieve ma persistente stato di ansia, quasi di fastidio.
Torniamo a McEwan. In questo genere è stato un maestro; non voglio dire uno dei primi ma, diamine!, rileggiamoci Primo amore, ultimi riti o Racconti fra le lenzuola o anche il romanzo breve Cortesie per gli ospiti (titolo magnifico sputtanato da quella congrega di lavativi della TV) o il capolavoro Il giardino di cemento: tra quelle pagine, di ansia, claustrofobia e angoscia ce n'era da portare via con il rimorchio, ma stiamo parlando di lui e di alcuni anni or sono. Già letto, grazie.
Sempre nel genere, è gradevole Bambinate, novella crudele e credibile, scritta bene ma conclusa in fretta. Peccato.
Non si sollevano di molto gli altri racconti: anzi, alcuni sprofondano nel parossismo o si trascinano inutili e sinceramente inconcludenti come Troppa felicità, farraginosa e dispersiva ricostruzione degli ultimi anni di vita di una matematica russa. Siamo sicuri che ce ne fosse bisogno?
L'intento di questa scrittrice era ed è probabilmente, come potete leggere nelle tante entusiastiche recensioni pubblicate in rete, quello di tracciare con maestria e abili pennellate un quadro impietoso delle nostre esistenze in tutte le loro sfumature e blablabla. Ma non funziona. Così come suona un po' patetico il tentativo di un'americana (anzi, meno: di una canadese) di sfoggiare una cultura "classica": ma l'approccio è goffo (da osteria la vulgata di Platone) e il risultato è più da Wikipedia che da liceo classico.


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Scheda del libro
Alice Munro, Troppa felicità.
2011, Einaudi Supercoralli
pp. 332
€ 20,00
ISBN 9788806200787
Traduzione di Susanna Basso

04 novembre 2012

Lo strano caso della palestra Sport Village, Torino.

Forse avrei dovuto insospettirmi maggiormente quando, alla mia richiesta del perché  l'acqua della doccia fosse fredda, un pomeriggio dello scorso luglio mi sono sentito rispondere, con candore: "E' fredda perché  abbiamo portato via le caldaie", come se tutti, prima o poi, nella propria vita, dovessero almeno una volta portare via una caldaia da un luogo dotato di spogliatoi e docce.

Ma partiamo dall'inizio, altrimenti chi legge non capisce nulla.
Immagine La Stampa
copyright La Stampa
La palestra Sport Village l'avevo scelta per allenarmi nel gennaio 2010, rientrato a Torino dopo 18 mesi vissuti a Venezia, per due motivi semplici: luogo (sulla strada tra ufficio e casa) e possibilità di parcheggio. Intendiamoci, c'era qualcosa di più. Era (adesso vediamo perché  uso il passato) una struttura discretamente attrezzata, molto spaziosa, recente (il che significa, in genere, meno muffa sulle pareti degli spogliatoi) e maschia. Si', maschia: una sala pesi che trasuda testosterone, pile di Muscle&Fitness vecchi di quindici anni e gente piuttosto ipertrofica: insomma, non un health club da fighetti, ma il posto giusto se hai voglia di allenarti senza perderti in chiacchiere.

Ed era un posto giusto. Tant'è  che per 3 anni ho rinnovato l'abbonamento annuale: 2010, 2011 e tutto il 2012, con scadenza, se ben ricordo, a gennaio 2013.

Ora, non voglio dire di essere un cliente fondamentale e nemmeno, con i miei 65 kg di peso, un testimonial efficace dell'immagine di Sport Village in giro per il mondo; ma un cliente si', pagante e per giunta in anticipo.
Per un paio di anni, anzi diciamo due e mezzo, le cose sono andate bene, anche se talvolta si verificavano cambiamenti. Negli attrezzi, ad esempio: apparivano e sparivano o venivano spostati, ma alla fine quelli che servivano c'erano, e quindi non ho mai fatto domande in giro. Anche negli allenatori, negli allenati e nel personale di segreteria e del bar; ma, lo ripeto, sono di poche parole e che il caffè lo facesse Tizio o Caio a me cambiava poco perché un caffè, al bar della palestra, io non l'ho mai bevuto.

Guai grossi non ne sono mai accaduti o, meglio, uno si', un fattaccio da nera, ma io non c'ero e nessuno me lo ha raccontato. L'ho letto in rete, due anni dopo, e mi e' pure dispiaciuto per lo spavento che si devono essere presi.

L'estate passata, parlo del 2012 ovviamente, nello spogliatoio e' apparso un foglio A4 con scritto CI SCUSIAMO PER I DISAGI CHE POTREBBERO VERIFICARSI NEI PROSSIMI GIORNI PER TRASFERIMENTO ATTIVITÀ , frase a dire il vero piuttosto generica, sia in termini di ambito (che tipo di disagi?) che temporali (prossimi giorni quanti?) e causali (cosa significa trasferire un'attività?), ma oltre a questo sintetico quanto collettivo appello alla pazienza degli iscritti, non sono stato coinvolto in alcun tipo di comunicazione specifica, ne' a voce ne' per iscritto. Sintetizzo: se qualcosa stava per succedere, a me non l'ha detto nessuno.

Allora ho chiesto. Che cosa sarebbe successo, l'ho chiesto ad un trainer maturo (tanto da meritarsi l'appellativo di maestro, titolo che gli riconosco) che mi ha risposto: "La palestra si sposta". Mi ha detto anche altre cose, ma qui non le scrivo perché, come dicevo poc'anzi, io sono uno di poche parole.
La palestra si sposta. Ecco qual era il recondito significato dell'espressione "trasferimento attività". Pero', di questo spostamento, a me nessuno ha informato ne' mi ha chiesto se ero d'accordo o se mi arrecasse disagio. Nada de nada. Alla faccia della customer relationship. Ma come, io ti pago in anticipo per l'erogazione di un servizio in un luogo da me scelto e tu nemmeno ti prendi la briga di controllare che sappia che alzi i tacchi e te ne vai da un'altra parte? Ti pare gentile e corretto?

Dalle chiacchiere sulle panche dello spogliatoio ho poi scoperto di non essere l'unico ad aver appreso fortuitamente di questo trasferimento ne' di averlo apprezzato ben poco. E qui veniamo alla mia seconda ed ultima doccia fredda presso lo Sport Village: stavolta in senso letterale poiché, come accennato all'inizio, le caldaie avevano preso il volo.

In capo a poche settimane di mia assenza (sia per i disagi evidenti che per le ferie), della palestra rimanevano l'insegna e un portone sbarrato. A conti fatti, avevo perso 5 mesi di iscrizione pagata. Telefoni staccati. Nessuno a cui chiedere spiegazioni. Pure la pagina Facebook, su cui ricordo di aver cliccato Mi piace, era sparita dal social network.

Ma un pomeriggio di agosto ho incontrato, proprio nei pressi del fu Sport Village, la titolare o, per lo meno, colei che credo gestisse la società (come detto, non vado in giro a chiedere visure camerali); due chiacchiere al volo, per manifestare garbatamente il mio disappunto e sconcerto, ricevere una imbarazzata giustificazione ("Ma come? Le ragazze non ti hanno detto nulla?" -- ma quali ragazze, mi chiedo io) e una formale rassicurazione: "lo Sport Village si sta trasferendo in un altro locale, presso il Palazzo della Moda, e sara' riaperto non prima di fine settembre, ma stai tranquillo, ti contatteremo per email o per telefono e potrai recuperare i mesi di abbonamento".

Il Palazzo della Moda e' un condominio adiacente al Novotel di Corso Giulio Cesare, quindi non lontano dalla precedente sede e, per me, non disagevole ne' scomodo dal punto di vista logistico. Una buona notizia, no?

No. Perché  da quel giorno sono passato due volte nella ipotetica nuova sede, e in giro non c'era l'ombra di un manubrio o di un asciugamano sudato. Ma c'erano baristi e portieri. Se volete informazioni, i baristi e i portieri sono le risorse più  preziose a cui potete rivolgervi: primo, stanno li' tutto il giorno con gli occhi aperti; secondo, ascoltano un sacco di discorsi, quindi state tranquilli che se c'e' una novità  nell'aria, loro sono i primi ad annusarla.

Ai primi di ottobre, la mia prima visita; il bar sta chiudendo, e una ragazza graziosa a cui chiedo se sa nulla di una palestra, mi risponde sorridendo divertita, come a dire: campa cavallo.

Non metto briglie al mio ottimismo e torno a fine ottobre. Questa volta chiedo in portineria, ma l'antifona non cambia: stesso sorriso, nessuna palestra. Anche altre informazioni, che qui non scrivo perché,  come noto, sono di poche parole. Una cosa pero' la posso condividere: pare che la palestra risorgerà si', ma in un'altra zona ancora, nota come Cebrosa. Ottimo, sulla strada per casa; una buona notizia, allora?

No. Perché al succitato complesso produttivo di palestra hanno sentito parlare ma nel senso che non si farà, fine della faccenda. E anche qui, nella risposta, un malcelato sorriso sardonico.

Fine, quindi. Cosi' pare. E già. Un'attività chiude senza avvisare i clienti (soci) paganti, e buonanotte.
In questa faccenda, io ho una colpa, che e' quella di essere di poche parole: difatti in oltre due anni di frequentazione non ho scambiato molte chiacchiere, ne' tanto meno email e numeri di telefono, con gli altri soci iscritti, per cui non ho potuto ne' posso contattare nessuno per avere aggiornamenti.

Cosa rimane alla fine di questa storia? Facciamo una breve lista:
1. una perdita economica per i mesi di servizio non fruito, non una fortuna, ma occhio e croce stimabili sui 120-130 euro
2. la percezione di essere stato considerato molto poco, come cliente e come persona
3. una forte disistima nei confronti del personale operativo e amministrativo
4. last but not least, LA domanda: perché  tutti coloro a cui ho chiesto dello Sport Village mi hanno risposto con un sorrisetto?

Ecco, questa e' proprio la fine della storia. Adesso devo cercare un altro posto in cui allenare i miei striminziti 65 kg e in cui portare un po' di soldi. Sperando di essere trattato un po' meglio , come cliente e come persona. Sperando che, all'improvviso, non spariscano ne' le caldaie ne' le persone.

26 ottobre 2012

Perché non cambierò il medico di famiglia.

Del mio medico di famiglia vi ho già parlato su queste pagine. Uomo di poche parole, alcuni scritti e fatti quasi sempre azzeccati. Qualche volta ho pensato di andare alla ASL e sceglierne un altro. Senza una ragione precisa.
Frequento raramente il suo ambulatorio, a differenza di un numero elevato di persone che evidentemente hanno molti acciacchi o moltissimo tempo libero, e affollano la sala d'attesa ogni santo giorno.
Ieri ci sono andato. Ci sono dovuto andare. Perché da un mese ho un dolore al gomito che non passa. Uno dopo un po' si chiede se è tutto ok.
Mi siedo di fronte a lui. Non proferisce parola. Mi adeguo e silenziosamente denudo il braccio fino al bicipite. Dico cosa e dove mi fa male e da quanto.
Si alza, mi tasta, torna al PC. Mi mostra sullo schermo un sito web dedicato al gomito (sì, esiste), e lo fa con un intento didascalico, non perché non conosca l'articolazione.
Mi indica una roba apparentemente molle che si chiama borsa e che, sollecitata, potrebbe essersi infiammata. Quando gli dico che non mi ricordo di cadute e traumi, mi risponde: "Piersantelli, lei va in bici, magari ha sollecitato di più il braccio sinistro. Usi questo antinfiammatorio".
Ricorda il mio nome e che vado in bici. Per me è un bravo dottore.

10 ottobre 2012

Che cos’è Reddit (e perché in Italia non ha successo).


Scommetto che molti di voi si sono fermati per un istante alla quarta parola del titolo: Reddit. “Dove ho già letto o sentito questo nome?”
In questo articolo proverò a raccontarvi che cos’è Reddit, i motivi del suo successo negli USA, perché io ne sono un assiduo frequentatore e perché in Italia, a quanto pare, ha poco seguito.
Comincio con il dire che ho scoperto Reddit in tempi abbastanza recenti, quando nel 2009 Wired Italia ha iniziato a integrare nella propria homepage un pannello dove erano visualizzati gli “hot topics” del giorno (ovvero gli argomenti e le notizie più discussi sul web); la funzionalità era erogata da Reddit e la trovavo geniale perché in pochissimo spazio era davvero in grado di darmi suggerimenti sulle news più controverse o discusse in quel momento. Ho così deciso di abbandonare l’intermediazione di Wired e di visitare il portale Reddit: il punto di non ritorno!
Reddit è nato nel 2005 e da allora è in costante evoluzione, pur mantenendo una coerenza strutturale e funzionale. Ha aggiunto alcune caratteristiche e servizi, ha espanso le sezioni, offre profili premium ed è anche una piattaforma per l’advertising. Ne ha fatta di strada.
Affermare che Reddit è un social network sarebbe per lo meno restrittivo, o incompleto. Così come il termine “aggregatore” non rende giustizia al portale del piccolo alieno (non me ne vogliano i seguaci di Alien e i neofolgorati di Prometheus: per gran parte del popolo di Reddit, the Alien è quel piccolo omino sorridente che campeggia a fianco al logo).
Per rimanere abbastanza sul generale, si può dire che Reddit è una grande community che consente agli utenti di condividere link, opinioni, contenuti e notizie in tempo reale e quindi di conoscere, mediante un’interfaccia semplice, ciò di cui si parla (e si scrive, si vede, si legge, si commenta…) sul web. Questo fa di Reddit the front page of the internet, motto che non a caso è il titolo della home page.
Reddit si presenta come un portale dalla grafica semplice (sfondo chiaro, menu nella topbar, spazi pubblicitari circoscritti e ben individuabili) in cui sono elencate in ordine di popolarità le news del giorno. I corsivi sono funzionali:
  • i “redditors”, ovvero gli utenti del servizio, possono pubblicare link a notizie e contribuiscono alla popolarità dei contenuti pubblicati mediante un sistema di voto (upvote e downvote, i primi fanno “salire” le notizie in graduatoria, i secondi le fanno scendere, proprio come nelle classifiche) e un sistema di commenti. Più una notizia riceve upvote, più rimane in cima alla classifica, guadagnandone in popolarità. È dunque il web che decide che cosa è popolare del web.
  • ho usato il termine molto generico news: ma cosa c’è nella home page di Reddit? Link a notizie, immagini, video; post pubblicati su blog, tweet, idee, recensioni… in una parola, tutto quello a cui possiamo accedere con una connessione internet.
Oltre la home page, Reddit è diviso in molti subreddit, ovvero community tematiche create dalla redazione e dagli utenti (tutti gli utenti possono creare nuovi subreddit), accessibili dalla topbar. A seconda del subreddit selezionato (ad esempio PICS, POLITICS, VIDEOS) si possono visualizzare solo le notizie e i contenuti appartenenti a quel contesto; in PICS i redditor pubblicano e commentano immagini, in POLITICS si scambiano idee e opinioni su argomenti politici (pensiamo alle primarie negli USA) e così via.
A Reddit si può accedere come lurker (per leggere gli argomenti e scorrere le sezioni) oppure come utente registrato (e quindi scrivere, pubblicare, commentare e votare). La registrazione richiede meno di un minuto, un’altra idea vincente. Gli utenti registrati hanno anche un altro vantaggio: personalizzare il proprio Reddit (da quanto tempo stiamo parlando di personalizzazione dei portali in Italia?)
Per gli utenti registrati, Reddit è completamente configurabile. Si può scegliere la lingua del menu, filtrare la lingua degli argomenti visualizzati, gestire le sottoscrizioni per visualizzare o nascondere i singoli subreddit dalla propria home page. Il risultato è di poter accedere rapidamente alle sole informazioni rilevanti, sia nella pagina principale che nelle sezioni sottoscritte.
A qualcuno tutto questo potrà ricordare gli aggregatori di feed RSS della metà degli anni 2000. C’è del vero, ma fino ad un certo punto: i feed aggregator sono unidirezionali e non contemplano l’interazione di altri utenti. Reddit unisce almeno tre componenti: l’aggregazione di notizie, lo spirito delle web community e gli strumenti di una social network.
Vi è un esempio di portale che ricalca alcune delle funzionalità di Reddit: si chiama OK Notizie (ospitato da Virgilio) e consente di pubblicare e votare news (quindi aumentare o diminuire la popolarità).
Reddit negli USA è popolarissimo. E anche in Australia e nel mondo anglosassone in generale. Leggo molti interventi di utenti scandinavi e tedeschi. Gli italiani sono mosche bianche. Quando chiedo a qualche amico se usa Reddit, mi risponde puntualmente: “Uso cosa?”, una frustrazione in parte mitigata dal “of course I do!” degli americani a cui rivolgo la domanda. La sua popolarità è testimoniata da episodi che hanno superato i confini americani. Ad esempio quando ad inizio settembre il presidente Obama ha accettato di dialogare con i Reddit, o quando gli studenti del Virginia Tech hanno testimoniato in tempo reale su Reddit la tragedia che stava consumandosi lo scorso dicembre. Molti lo definiscono il migliore strumento di citizen journalism.
Sono solo pochissimi esempi della sua popolarità che, anche se può sembrare strano, si unisce ad un sentimento che potremmo definire di esclusività e appartenenza, ovvero: a differenza di social network come Facebook, basati sull’interazione e relazione costante tra membri, in Reddit i legami personali sono deboli e l’interazione è principalmente basata sullo specifico contenuto o link condiviso; per tale motivo, i redditors condividono un sentimento di (fiera) appartenenza che sconfina, con umorismo e goliardia, in un malcelato elitarsimo: sono decine le “storie” (sovente raccontate in vignette) della scoperta che il collega, il capo, la nuova fidanzata o il vicino di banco in biblioteca sono redditor e che, magari, frequentano e animano i subreddit più improbabili (lo sviluppatore che commenta le sacre scritture o la baby sitter dei figli che pubblica immagini nelle sezioni per adulti). In sintesi, se tutti sono su Facebook, dicono di esserci e fanno di tutto per farsi trovare, moltissimi sono su Reddit, si considerano dei privilegiati e si concentrano sui contenuti più che sulle relazioni (content is king!)
Si potrebbe parlare di Reddit ancora a lungo, ma tanto vale che ciascuno lo scopra e se ne appassioni. Voglio solo darvi qualche indizio su due dei subreddit che più frequento e apprezzo: f7u12 e IAMA.

Se di recente avete visto questa immagine da qualche parte, magari pubblicata sulla bacheca Facebook di un amico, e associata ad una situazione comica, ma non avete idea da dove venga, ve lo dico. E’ uno dei tanti meme nati su Reddit e diffusi in rete in questa sezione il cui nome FFFFUUUUUU richiama… un’esclamazione inglese non molto educata (cercate da voi). E’ un subreddit che ospita fumetti generalmente articolati in quattro tavole ed interpretati dai numerosi meme (il troll della figura, cereal guy, Jackie Chan ecc…) cui i redditors affidano il compito di raccontare situazioni generalmente grottesche, tragicomiche, frustranti o imbarazzanti che caratterizzano la vita di tutti i giorni (si va dagli approcci goffi con la ragazza carina del college all’imbarazzo nelle toilette pubbliche ma anche al dolore per la perdita di un amico). Anche qui sta ai redditors votare (e rendere popolare) i migliori fumetti.
IAMA sta per “I Am A” e Ask me about”: in questa sezione i redditor possono raccontare la propria storia o condizione e dirsi disposti a rispondere a tutte le domande che, spesso senza delicatezza o preamboli, gli altri utenti rivolgono. Gli AMA più ricorrenti ed apprezzati sono in genere quelli postati da appartenenti (o ex) a forze dell’ordine, corpi armati, società hi-tech come Google e Apple, scienziati, scrittori, politici; ma sono frequenti gli interventi di persone affette da malattie, anche imbarazzanti, o dipendenze da stupefacenti o comunque situazioni inusuali. Due motivi per apprezzare questi post: si leggono un sacco di storie interessanti (con un accettabile margine di menzogna) e si fa un ottimo esercizio per l’inglese “parlato” (slang, termini tecnici, gergo).
Sono tutti aspetti che rendono Reddit un portale di grande successo. Si potrebbero anche spendere due parole su un modello di business vincente (l’ingresso e l’uscita dal gruppo Condé Nast, la completa piattaforma di advertising, i profili gold a sottoscrizione, il network di altri siti “indie” ecc.) ma non voglio dilungarmi troppo.
Vediamo invece perché ogni volta che chiedo ad un amico se usa Reddit, la sua bocca fa una perfetta O di meraviglia e mi risponde che ha già un account Facebook.
  1. Reddit è solo parzialmente regionalizzato in italiano a livello di interfaccia utente e menu. E gli italiani, si sa, sono un po’ pigri con l’inglese.
  2. I contenuti più popolari e commentati su Reddit sono in lingua inglese o afferiscono alla cultura anglosassone (soprattutto americana), il che fa sentire il redditor italiano un po’ spaesato; vedi punto 1.
  3. L’interazione richiesta da Reddit è generalmente più articolata e complessa di quelle richieste da altri social network: partecipare alle discussioni richiede tempo e conoscenza. Non che da noi non si dibatta in rete, ma gli strumenti verticali (forum dedicati, blog, giornali ecc) raccolgono ancora molti consensi.
  4. Come si diceva, su Reddit Content is king e noi italiani amiamo più chiacchierare e curare relazioni che contribuire con strumenti di crowdsourcing.
Credo di essere giunto al termine della mia opera di evangelizzazione di Reddit. Nel frattempo continuo a cercare nei parcheggi e nelle strade automobili con l’adesivo Reddit Alien incollato sul paraurti per scambiare un’occhiata complice e compiaciuta con il guidatore, e magari riconoscerci con la parola d’ordine segreta. Per ora solo mele morsicate. Ma sono fiducioso.

27 settembre 2012

Manopole MVTEK: tanto grip e prezzo OK.


Un po’ come accade per le coperture, anche alla scelta delle manopole giuste si arriva per prove e opinioni; molto dipende dal nostro stile di guida piu’ o meno aggressivo, dal tipo di attivita’ (escursioni in montagna, giornate nei bike park o percorsi cross country), dalla dimensione delle mani e anche dalle caratteristiche che riteniamo prioritarie (ad esempio la robustezza, il grip, la massima leggerezza).


Dopo aver provato un po’ di manopole di tipo tradizionale (quelle che si infilano e sfilano a pressione per intenderci) , ormai da qualche tempo uso quasi esclusivamente manopole di tipo lock on che, a fronte di qualche grammo in piu’ hanno indubbi vantaggi quali la facilita’ di montaggio / smontaggio e la presa affidabile al manubrio. C’e’ anche il plus estetico: la maggior parte dei produttori offre una scelta abbastanza varia di colori dei collarini in alluminio per fare accostamenti cromatici con altri componenti o con le grafiche dei telai.

Per un po’di tempo ho utilizzato manopole lock Specialized con cui mi sono trovato relativamente bene per il grip offerto e il comfort anche nelle discese lunghe; hanno, tuttavia, due difetti: la gomma molto morbida si consuma rapidamente ed e’ soggetta a lacerazioni (per cadute o operazioni di carico/scarico dalla macchina); inoltre i tappi forniti in dotazione mi sono sempre sembrati di fattura un po’ debole. Difetti veniali, se non fosse che questi articoli si sostituiscono regolarmente e che qualche soldo lo costano.

Recentemente ho comprato le MVTEK lock on. Guardandole sul web, mi hanno convinto i colori disponibili (le cercavo blu per l’accostamento cromatico con il telaio LaPierre) e il prezzo molto invitante (8 euro); come dicono gli inglesi, “at this price you can’t go wrong!”. Per materiali, feeling e durata non restava che la prova sul campo.


Appena arrivate, ho apprezzato la confezione: solo cartone riciclabile, niente blister di plastica, niente chiave a brugola “inclusa” (che si paga, e poi chi non ne ha i cassetti pieni dopo anni di bici?); i materiali appaiono di buona qualita’ cosi’ come anche l’anodizzazione; il logo MVTEK e’ invece impresso in maniera leggermente imprecisa.




Il corpo delle manopole e’ realizzato in kraton, un polimero sostitutivo della gomma naturale; al contatto e’ sufficientemente morbido e la superficie presenta una lavorazione a zigrinatura fitta, con una disposizione originale: pr meta’ della lunghezza la zigrinatura e’ inclinata di 90°, per l’altra meta’ a 45°. L’interno e’ in plastica, liscio e scorrevole, senza sbavature di lavorazione, mentre i collarini sono in alluminio, e si bloccano come di consueto con due viti a testa cava esagonale. I tappi sono proprio ben fatti, flessibili quanto basta per essere montati nei manubri, con alette che non si rovinano al secondo montaggio. L’operazione di montaggio al manubrio e’ quella consueta.

Sul piatto della bilancia. Non sono la scelta d’elezione per i grammomaniaci, ma nemmeno un mattone: la bilancia si ferma a 115 grammi la coppia (con tappi).


Grip. Una bella sorpresa: nonostante il materiale utilizzato non sia morbidissimo al tatto, il grip offerto con un normale paio di (vecchi) guanti e’ ottimo; anche a mani nude, dove molte manopole tendono a diventare scivolose per via del sudore, hanno dato un buon feeling. Probabilmente la doppia inclinazione della zigrinatura incrementa il grip. Sono pure facili da lavare con la spugna!

Resistenza. Finora l’usura e’ contenuta e uniforme. Non ci sono zone deformate o rovinate per l’uso (di solito, sulla parte superiore mi accade in prossimita’ del punto di unione tra il palmo e l’anulare) e sembra che il kraton sopporti bene anche i traumi consueti (caricare e scaricare la bici dalla macchina, appoggiarla a muretti o a terra, qualche scivolone di rito ecc.) I tappi (evviva!) se ne stanno al loro posto e quando li ho smontati e ispezionati non ho trovato alette rotte o troppo storte.

Comfort. Qui e’ un fatto tutto personale, perche’ abbiamo tutti mani diverse. Nell’ambito delle lock on, le trovo confortevoli anche nelle discese lunghe e veloci: zero formicolii o intorpidimenti (tipicamente tra palmo e pollice). 

Difetti riscontrati. Ad esser pignoli, la grafica del logo MVTEK potrebbe essere piu’ precisa.

Giudizio complessivo. “At this price you can’t go wrong” e’ riduttivo. Non c’e’ solo uno dei prezzi migliori che si possano trovare (nei negozi e in rete) ma una qualita’ costruttiva e di materiali senz’altro interessante; un prodotto senza fronzoli, essenziale e che fa (benissimo) il suo lavoro.

21 settembre 2012

Test e recensione: CTK Light Sganci Rapidi Ultralight MTB

Quando ho venduto la mia mountain bike front ho dovuto salutare anche molti componenti con cui l’avevo personalizzata, tra cui una coppia di sganci rapidi CTK Light 2012.


La front è stata subito rimpiazzata da una full da 130 mm, usata ma in gran forma. Dopo una veloce messa a punto, ho iniziato a sostituire alcuni componenti usurati o poco “personali”: i dischi di primo equipaggiamento hanno ceduto il posto ad una coppia di Ashima Aro con spider rosso; la scelta dei sganci rapidi è venuta di conseguenza ed è stata facile. Siccome “squadra che vince non si cambia”, sono rimasto in casa CTK Light e ho preso una coppia del nuovo modello 2013.


Rispetto a quelli comprati l’anno scorso, questi sganci presentano leve di forma più tradizionale, larghe e forate.

Dal punto di vista dei materiali, l’asse è realizzato in titanio grado 5, mentre le leve, i riscontri e gli snodi sono in alluminio 6061-T6 anodizzato (rispettivamente in colore rosso e oro).

Chi vuole approfondire la conoscenza di questi materiali, può trovare utili questi documenti:

Gli assi hanno un passo standard M5 e lunghezze 114 mm per il perno anteriore e 153 mm per il perno posteriore. Per facilitare lo scorrimento e lo sgancio delle leve, tra lo snodo e il riscontro è stata posizionata una rondella in nylon.


Le finiture, l’anodizzazione e gli accoppiamenti sono di livello elevato, con un aspetto estetico molto gradevole. L’asse in titanio, oltre ad essere leggero e resistente alla trazione e alla fatica, ha il grande pregio di non ossidarsi né arrugginirsi, a differenza della maggior parte degli assi in acciaio. È un vantaggio non da poco perché negli sganci comuni l’ossido indebolisce il materiale e si trasferisce sul mozzo.


La prova della bilancia. Gli sganci sono leggerissimi, lo si sente maneggiandoli: il peso rilevato è di 43 grammi la coppia, quindi in linea con quello dichiarato dal costruttore.

Il montaggio. Trattandosi di un componente molto comune, non vi è alcuna difficoltà nel montaggio. Nella chiusura si rileva una minima flessione delle leve che però appaiono robuste e ben costruite, senza giochi. Le filettature sono realizzate con precisione. I riscontri si serrano facilmente grazie alla zigrinatura e grazie alle dimensioni ridotte, una volta a battuta nel forcellino del fodero, non ingombrano né sporgono facilitando l’accesso a viti e manopole di regolazione (ad esempio rebound o threshold del blocco).








Problemi riscontrati. Nessuno.

La prova su strada. Pur non essendo i classici sganci heavy duty, questi CTK Light sono costruiti per essere robusti; l’asse in titanio contribuisce alla rigidezza, nell’ambito dei QR da 9 mm. L’anello di nylon protegge l’anodizzazione nelle ripetute operazioni di apertura e chiusura delle leve. La finitura resiste bene ai “traumi” tipici dell’uso in MTB.

Rapporto qualità/prezzo. Ottimo. Sotto i 30 euro per la coppia, prezzo molto competitivo per la qualità offerta.

Giudizio complessivo. Leggerissimi, resistenti, costruiti e rifiniti con cura; costano come un paio di sganci rapidi in acciaio di fascia intermedia. Disponibili in più colori per personalizzare la bici. Packaging molto essenziale (una busta di plastica con etichetta).

17 settembre 2012

Test e recensione: Reggisella in alluminio CTK Light Sp13 Al

Se come il sottoscritto siete alla (costante) ricerca di componenti affidabili, leggeri ed esteticamente gradevoli per “upgradare” la vostra bici, sono certo che questo reggisella in alluminio possa incontrare i vostri favori.



Analisi complessiva. Prodotto dalla taiwanese CTK Light, di cui sono già soddisfatto e fedele cliente, è realizzato in alluminio 7075 T6 (noto come Ergal) anodizzato in nero o in rosso (il mio prossimo acquisto per il muletto!); la superficie del tubo presenta una sottile zigrinatura a linee parallele, una lavorazione adottata anche da altri costruttori per incrementare tanto il grip del collarino (evitando scorrimenti verticali nel tubo del telaio) quanto la resistenza a graffi ed usura causati da eventuali imperfezioni o sbavature nella superficie interna del tubo del telaio.

La parte esterna della culla è invece lavorata a superficie ruvida con una resa leggermente più opaca rispetto al corpo del reggisella. La viteria fornita è in titanio. Completano la dotazione l’attacco della viteria, non integrato nel tubo ma realizzato con una barra cilindrica passante dotata di o-ring in gomma, e le due ancorine filettate che accolgono le viti di serraggio.




Ad una attenta osservazione emergono la pulizia e la precisione della manifattura, priva di sbavature o irregolarità visibili ad occhio nudo, e la precisione degli accoppiamenti tra tubo e testa.
La linea, come in altri prodotti CTK Light, è minimale e sobria: le grafiche si limitano al logo dell’azienda, alla scala graduata per la regolazione in altezza, ai valori di serraggio (espressi sia in Nm che in Kgf.cm, per chi dispone di una chiave dinamometrica) delle viti e al verso di montaggio; le scritte sono incise al laser con precisione.


La prova della bilancia. In linea con la filosofia CTK Light, il reggisella SP13 è leggero: il modello 31,6 x 400 mm (il più grande tra quelli disponibili) fa fermare la bilancia a 197 grammi , il peso rilevato è conforme a quanto dichiarato dal costruttore (195 grammi per il modello da 30,9 mm).

Il montaggio. Dopo questa disanima su materiali e lavorazione, procediamo con l’installazione della sella. L’operazione preliminare, sempre raccomandata, è quella di controllare che l’interno del tubo del telaio sia pulito e liscio; se sono presenti sbavature di metallo della lavorazione, è sufficiente passare un foglio di carta abrasiva a grana fine (100-200) per eliminare le scabrosità che possono graffiare la superficie del reggisella. Per il montaggio, personalmente, preferisco prima inserire il cannotto reggisella nel tubo del telaio e poi, assicurando la bici al cavalletto da officina, montare la sella.


È sufficiente allentare una delle due viti in titanio per liberare il morsetto. Con un po’ di attenzione, si posizionano i binari della sella nelle parti scanalate della testa e quindi li si assicurano con le due ancorine filettate. Rispetto ad altri reggisella dotati di morsetto integrato sulla culla, questo CTK Light richiede un minimo di attenzione in più nel posizionamento delle ancorine e nella chiusura delle viti, ma non è un’operazione difficile.
Quando la sella è posizionata sulla culla con le viti appena strette, è possibile procedere con le regolazioni fini, ovvero: arretramento/avanzamento e inclinazione. Circa l’arretramento, preferisco la sella in posizione centrale (la maggior parte dei binari dispongono di scala graduata per un corretto posizionamento).




Per l’inclinazione in genere si usa la bolla: con la bici appoggiata su una superficie piana (ad esempio il pavimento del garage) si appoggia una livella a bolla sulla sella e la si regola fino alla posizione orizzontale. Sebbene la livella a bolla sia più che sufficiente ed affidabile, sarebbe stata utile un’indicazione goniometrica in corrispondenza della testa del reggisella.




La presenza di una scala graduata sulla parte posteriore del tubo è utile per regolare e ricordare l’altezza della sella. Il montaggio non presenta difficoltà e la regolazione si completa velocemente. Da montato ha una linea molto sobria, semplice.

La prova su strada (e fuoristrada). Il cannotto reggisella è un componente fondamentale della bici: determina l’altezza della sella, deve essere solido, confortevole, resistente ai graffi, all’acqua; deve essere, almeno per me, costruito con tolleranze bassissime per scorrere senza incertezze (ma senza scivolare) nel tubo del telaio.

Dopo un po’ di giorni di prove, il bersaglio è centrato: le viti del morsetto sono ancora strette e non necessitano interventi, l’inclinazione è perfettamente “in bolla”, segno che l’accoppiamento tra la culla e il tubo è ottimale; le ripetute regolazioni dell’altezza, necessarie nei percorsi alpini, non sembrano intaccare la superficie anodizzata del tubo, grazie anche alla lavorazione a zigrinatura; pietre e acqua non hanno lasciato segni. Il comfort è quello che ci si aspetta da un prodotto in alluminio. In una parola, ci si dimentica di averlo se non quando lo si guarda.

Rapporto qualità/prezzo. Decisamente favorevole; è difficile, quasi impossibile, trovare prodotti equivalenti per qualità dei materiali (come le viti in titanio), livello di finiture e peso ridotto nella zona dei 50 euro. È senza dubbio uno dei punti di forza di CTK.

Problemi riscontrati. Nessuno.

Giudizio conclusivo. Come detto, un componente tanto cruciale quanto solido e affidabile, costruito con cura e durevole nel tempo. Leggero, ben rifinito, con un prezzo molto interessante. La viteria in titanio e la zigrinatura sono un plus. L’indicazione goniometrica sulla testa potrebbe aiutare nella regolazione dell’inclinazione, ma è una mancanza da poco.

12 settembre 2012

Smartphone, anche Amazon rilascia il proprio terminale?


Questi giorni sono caratterizzati da un susseguirsi di rumors, a quanto pare molto attendibili, dell’imminente ingresso di Amazon nell’agguerrito e affollato mercato degli smartphone.
La notizia, per la verità, rimbalzava già da qualche settimana, e non sono mancate analisi particolarmente puntuali e condivisibili: ma ora un articolo pubblicato su The Verge porta a pensare che il lancio possa avvenire a brevissimo.
D’altronde è notizia ormai assodata che Amazon stia intrattenendo da tempo rapporti con il costruttore Foxconn; a questo si aggiunga che Amazon ha già sondato il terreno dei dispositivi smart con due classi (ben distinte): il Kindle, nelle sue varie configurazioni ed evoluzioni, e il Kindle Fire, un tablet basato sul sistema operativo Android anche se pesantemente customizzato.
Sono cliente Amazon da anni, prima sullo store americano (organizzando le spedizioni con qualche collega in trasferta negli USA) e poi su quello italiano, da cui mi rifornisco praticamente per tutto, dai regali di Natale per gli amici agli attrezzi da cucina; usufruisco di molti servizi Amazon, come Cloud Drive. Ritengo quindi di conoscere bene l’azienda e il suo ecosistema.
Credo pertanto che Amazon, che è oggi probabilmente il più grande, fornito ed efficiente marketplace di beni materiali, immateriali e servizi IT, possa trarre alcuni interessanti benefici dal lancio di uno smartphone; ci sono però alcuni punti delicati e meritevoli di attenzione.
Iniziamo con i pro di questa azione commerciale.
1. Innanzitutto, come già accennato, Amazon ha acquisito una discreta esperienza sia con lo sviluppo di dispositivi elettronici connessi (Kinlde) che con i rapporti con i Telco (l’accordo con AT&T per la connettività 3G del Kindle negli Usa). L’esperienza si è allargata con lo sviluppo di Fire, un tablet con schermo a colori e OS Android 4.0. E proprio Fire è indicato come la buona base di partenza per lo sviluppo di uno smartphone.
2. Amazon ha realizzato e consolidato uno dei più potenti, capillari, affidabili e riconosciuti (ma il termine corretto sarebbe trustedcanali di distribuzione di beni materiali e immateriali, con esempi di successo di distribuzione esclusiva (Kindle), tanto efficace quanto potenzialmente pericolosa. Un vantaggio competitivo significativo per la vendita di un nuovo smartphone.
3. Come correttamente suggerito da un articolo pubblicato su Business Week, Amazon non è obbligata a realizzare profitti dalla vendita di uno smartphone col proprio brand; può venderli anche in perdita. Uno smartphone non è il core business aziendale, bensì un canale privilegiato, abilitatore e facilitatore per la distribuzione di contenuti e la vendita di beni (il sistema operativo Android, privo delle legacy tipiche di altri OS, è un ulteriore elemento di facilitazione); per citare Free! di Anderson, Amazon può applicare il modello di business inaugurato cent’anni fa con i rasoi Gillette (o le stampanti a getto di inchiostro), ovvero sussidiare il terminale per realizzare profitti dai contenuti. Si tratta di un secondo vantaggio competitivo rispetto ad altri costruttori i cui profitti dipendono dai volumi di vendita dei terminali.
In sintesi, la scelta di Amazon, corredata dalle giuste partnership (ad esempio Nokia per la fornitura di mappe e servizi di navigazione), può rilevarsi un buon successo, ma è innegabile che l’azienda dovrà fare i conti con alcuni punti aperti. Vediamo quali:
1. Nell’arena degli smartphone combattono, senza esclusione di colpi (recentemente più che altro nelle aule di tribunale…), gladiatori del calibro di Apple, Samsung e (in tono minore, ma con il Lumia si sta rifacendo un nome) Nokia. Nessuno di loro è intenzionato a perdere terreno e cedere i propri affezionati clienti all’ultimo arrivato; anzi il loro obiettivo è di fare piazza pulita, e molti obiettivi sono stati raggiunti, dei nomi consolidati della industry.
2. Se da un lato Amazon ha siglato un buon successo con Kindle, non possiamo dare per scontato che l’esperienza acquisita, pur importante, si possa applicare tout court allo sviluppo e alla produzione di un dispositivo complesso come uno smartphone. È sufficiente pensare agli errori progettuali e strategici, anche macroscopici, commessi in passato dai grandi costruttori: solo per citarne due, i problemi elettromagnetici dell’iPhone 4 o il non corretto posizionamento dei terminali Nokia con OS Symbian, a lungo sospesi tra il segmento feature phone e quello smartphone.
3. Quando si tratta di acquisti on line di libri, musica, elettronica di consumo, orologi, abbigliamento e gadget in genere, Amazon è il brand più riconosciuto e affidabile (trusted): non ha concorrenti in termini di rapidità ed economicità della spedizione, gestione del magazzino e dei resi, presentazione e recensione dei prodotti. Ma quando si parla di smartphone, il discorso è diverso: il consumatoretech savvy riconosce Apple, Samsung, Nokia, LG Mobile, RIM… ma quali sentimenti e aggettivi assocerà al marchio Amazon?
Un terreno non facile, insomma, ma anche una sfida che, se accolta con la giusta strategia, può portare a risultati interessanti non solo per i soggetti coinvolti direttamente: si tratterebbe di un modello innovativo di distribuzione, un ecosistema completo e complesso il cui driver principale è il più forte marketplace on line del mondo.
Non resta che attendere la comunicazione ufficiale alla stampa: nuovi rumors non mancheranno.

Originariamente pubblicato su Voices.

16 agosto 2012

Late summer riding :-)

La mia fida Dawg mi ha tenuto compagnia per i sentieri delle montagne svizzere. E basta un occhio un po' allenato per trovarne sempre di nuovi e divertenti, a pochi metri dai track del bikepark (comincio a sentirmi vecchio quando vedo ragazzini scendere a bomba e provare nuovi trick sui drop).
Meteo superfavorevole, anche troppo secco (il park è polvere come il far west), pochissimi compagni di viaggio ma va anche bene così, per meditare nella solitudine del bosco, scendendo lentamente, copiando con delicatezza e rispetto ogni pietra e ogni radice.
Perché se si corre si perde l'odore intenso della resina che sgocciola piano dagli abeti.