23 maggio 2005

Settimo: non fumare.



I miei vicini di casa - poveri ma onesti, per ammissione del caposcala - hanno un senso tutto loro del concetto di regolamento.

Prendiamo l'ascensore, ad esempio. Un anno fa ha fatto la propria apparizione un foglio formato A4, diligentemente stampato a getto d'inchiostro in rosso e nero, e protetto da una cartellina di plastica trasparente, che recitava:

PER IL QUIETO VIVERE E IL RISPETTO ALTRUI IN ASCENSORE E' VIETATO FUMARE.

La norma fa leva sul concetto di comunità. Pertanto, misteriosi e solerti inquilini hanno subito provveduto ad aggiungere, con penna a sfera e grafia incerta, la postilla SIGARETTE, ad intendere che altri tipi di prodotti da fumo sarebbero stati ben accetti dalla piccola ma efficiente comunità.

Meno cortesemente, qualcuno ha usato poi l'accendino per sciogliere la cartellina di plastica che conteneva il cartello.

Reso inservibile dal tentativo piromane, il cartello è stato sostituito da un nuovo divieto cartaceo (trafugato in qualche ufficio pubblico e opportunamente ritagliato) che, questa volta, fa leva sulla salute privata come bene inalienabile del singolo e della comunità.

Curioso il bisticcio diacronico di parole COMINCIARE / SMETTERE / CONTINUARE.



Che cosa escogiteranno i fantasiosi vicini al prossimo tentativo di deturpare il divieto di fumo? Pagherei per avere il neon animato con il cowboy della Marlboro, non tanto per par condicio, ma per sostituire l'orribile plafoniera che illumina di una luce giallastra la cabina dell'ascensore.

20 maggio 2005

Le mani sulla città.



Le mani sulla città sono quelle dell'amico Delio che, sfidando i ghiacci torinesi, i tagliagole di Genova, il coprifuoco di Settimo e le finestre a ghigliottina di Nuova York, ha prodotto una serie di scatti di grande valore, portando sovente l'occhio dello spettatore sulla scena di un thriller inquietante.

Il Maestro Fulvio ci ha messo a sua volta le mani, e il risultato è la mostra The Hand: La mano, metonimia quanto mai diretta dell'Io, si muove come un'entità aliena dotata di vita autonoma in cerca di appigli... (F.B.)

Online anche le foto della serata inaugurale al Soundtown di Torino.

Foto dell'amico Romano. Courtesy of Nippon Kogaku, Tokyo, Japan.

17 maggio 2005

iPodder e Proxy authentication.



Se vi connettete da una rete aziendale che richiede l'autenticazione su un proxy per uscire sulla Internet, è probabile che il vostro client iPodder non funzioni.

Infatti, esso prevede di poter configurare manualmente il proxy ma non le credenziali di autenticazione sullo stesso; il risultato sarà che il client non riuscirà a scaricare nuovi podcast dai feed RSS sottoscritti.

Cercando un po' in rete, ho scoperto che è sufficiente utilizzare la seguente sintassi nel campo Use a proxyserver delle impostazioni di rete (Network settings) di iPodder:

http://user:pwd@111.222.333.444


dove user e pwd sono le credenziali di autenticazione (username e password) e 111.222.333.444 è l'indirizzo IP del server proxy.

16 maggio 2005

Toponomastica.



Sabato, controllando una lista di indirizzi, riflettevo sul fatto che nelle città italiane (almeno, nelle città che conosco) NON esistono strade, piazze, corsi o viali che abbiano il nome di città straniere o di Paesi dei continenti Asia, Africa e Oceania, anche importanti.

Avete mai comprato un gelato in Corso Parigi? Una ragazza vi ha mai dato buca un pomeriggio d'estate, lasciandovi aspettare per ore in Piazza Joahnnesburg? Ricordate di un compagno delle elementari che abitava in Viale New York e la mamma non voleva accompagnarvi in auto perché non c'era parcheggio? E da ragazzini avete mandato per scherzo dieci pizze Largo Cina o un taxi in Via Finlandia?

Se ci pensate, è assurdo.

13 maggio 2005

Peggio di così.



Paolo ci annuncia che la Fiat si è messa a produrre scarpe.

Il manufatto costerà 250 euro (*) ma puzzerà di gomma e taleggio come una qualunque scarpa da ginnastica usata in un pomeriggio di luglio.

Affondato il Salone dell'Auto, all'azienda torinese non resta che presentare i suoi nuovi prodotti al Salone del Mobile nel 2006.

Come dire, se va male la prima, magari la seconda...

Non è industria: è cabala.


(*) mezzo milione del vecchio conio, direbbe quel tipo di Rai Uno.

12 maggio 2005

Tassonomia dei meccanici Ford (*).




L'assistenza ufficiale. L'accettazione sembra una clinica svizzera, con hostess in camice immacolato e l'aria condizionata. Entri per sostituire lo specchietto sinistro rotto in un parcheggio ma non fai a tempo ad aprire bocca che due bodyguard vestiti di nero (sei sicuro di averli già visti all'ingresso di una discoteca di Riccione) ti sollevano di peso e un tecnico collega la tua auto a un computer dicendo: "Occorre aggiornare il software della centralina, riprogrammare l'apertura delle valvole e debuggare l'aria condizionata". A nulla valgono le tue grida per avere uno specchietto nuovo e lasciare stare la centralina: uno dei due man in black ti sferra un pugno al plesso solare e perdi i sensi. Ti risvegli a notte fonda nel cortile della concessionaria. Non sai ancora di avere autorizzato un addebito di 350 euro più IVA sulla tua carta di credito. Lo specchietto continua a penzolare sulla portiera sinistra.

Tony o' meccanico. L'officina è un caos di attrezzi abbandonati ovunque, clienti che litigano e radio a tutto volume. Calabrese, competente di motori come di punto croce, Tony è smodato in tutto: entri per cambiare l'olio e subito ti fa la fiancata con una manovra, poi ti versa metà dell'olio sul motore e sui sedili, dice: "Non è niente!", e bestemmia come una comitiva di camionisti, il tutto per 150 euro in nero. Invece del poster di Manuela Arcuri ha tappezzato l'officina coi paginoni centrali di Le Ore. Ha un aiutante brufoloso di 13 anni e un pastore tedesco spelacchiato: entrambi vengono presi regolarmente a calci. Intanto entra un cliente e Tony gli grida: "chemminchiavvuoiancoraeh?" Poi tira quattro bestemmie, un calcio al cane, uno sputo al garzone e, allontanando tutti dall'officina, urla: "Ecchemminchia, me lo lasciate prendere un caffè in pace?"

La gloria del passato. Renato si avvicina zoppicando alla tua auto. Gli dici: "Devo solo fare il bollino blu", e lui scuote la testa: "Tutta questa tecnologia... e l'elettronica... ai miei tempi (intanto indica 4 trofei impolverati su una mensola, probabilmente vinti al Luna Park)... ai miei tempi mica c'era, sa, giovanotto? Si passavano le notti a smontare e rimontare motori, ad alesare i cilindri! Ora mi vede così, ma una volta... una volta!" Cerchi di fargli capire che vorresti solo che analizzasse il tuo scarico, che ti appiccicasse al parabrezza quel bollino blu e tanti saluti. Macché. Seduto su tuo cofano prende a raccontarti della sua prima Seicento Abarth, della gamba persa in Africa e pure della sciatica di suo cognato, che non c'entra niente, ma già che c'era. Si sta facendo tardi. Stai sudando. Guardi l'orologio ogni venti secondi. Niente. Lui è ancora alle corse clandestine del '72, "se ci avesse visto allora, giovanotto...". Di questo passo la tua auto uscirà di produzione prima di aver finito di pagare le rate. Non hai scelta: con una grossa chiave inglese lo colpisci in pieno volto, arraffi dal bancone un bollino blu e te lo appiccichi da solo al parabrezza. Tutto ha un limite.

La ditta Rossi. E' aperta da sempre, sette giorni la settimana, anche sedici ore al giorno. Davanti alla porta è stanziale un cappanello di vecchietti sordi che parlano a voce altissima senza capirsi. Il titolare dell'officina, signor Carmine Rossi, ha 115 anni e ha iniziato a 4 con le Ford T. Meccanico di stampo tradizionale, è di tempi biblici. Per cambiare una cinghia ti tiene l'auto due settimane che trascorrerà per gran parte parlando a voce altissima con il capannello di vecchietti, brandendo di volta in volta uno straccio sporco, una chiave del 13 o il tuo peluche preferito, con frasi del tipo: "Se io mi dassero una Fiesta fatta come dico io!", frase che i vecchietti non sentono ma accolgono con ossequioso consenso. Quando, dopo un mese, cercherai di riavere la macchina, ti accoglierà brontolando :"Voi giovani, avete sempre fretta!", per dirti di ripassare l'indomani. Stremato, tenterai di rubare la tua auto nottetempo ma sarai colpito da una pioggia di stampelle, pannoloni e apparecchi acustici lanciati dai vecchietti che fanno la guardia all'officina.

(*) Dedico questa tassonomia a personalitaconfusa.

11 maggio 2005

Brand new shoes.



Siccome le mie Timberland, dopo tre anni, cominciavano a puzzare in maniera imbarazzante e ad avere un aspetto ancor più imbarazzante, ho fatto quello che avrei fatto con qualunque indumento sporco: le ho messe in lavatrice.

Programma delicato per capi sintetici, detersivo liquido per lana e capi delicati, 50° e centrifuga al minimo (450 giri/min).

Poi le ho messe ad asciugare all'aria, lontano dalla luce diretta del sole e, una volta asciutte, ho applicato una crema protettiva per scarpe.

Adesso sembrano quasi nuove. Figo, no?

10 maggio 2005

Botteghe oscure (*).


Click to zoom

A San Mauro T.se (TO) c'è qualcuno che la sa lunga e dà alla propria bottega un'insegna che è tutto un programma.

Se la vogliamo mettere sulla violazione del copyright, siamo a Davide contro Golia. Ma non credo che i ragazzi della Disney (TM) si muoveranno dalle loro scrivanie a forma di Clarabella per pretendere le royalties da una cartoleria di provincia.

(*) dedico questa bottega oscura a .mau.

Sbarre.




Hanno dato dieci giorni di gabbio a un cardinale e a un sacerdote per la storia di Radio Vaticana. Non ci è andato Previti, figuriamoci se ci vanno due preti.

Tra l'altro Sirchia, ora disoccupato, ha subito cercato le luci dei flash per dare aria ai denti: "Ma va', mica fanno venire la leucemia, le onde elettromagnetiche."

Se lo dice lui...

08 maggio 2005

Pueblograd!



E c'era davvero tanta bella gente al Pueblo per il 4° raduno torinese dei blogger. Tutti carini, gentilissimi, pure con un orso timido come me. Vediamo se ho buona memoria tra quelli che ho conosciuto Urza, Chiara, Darkangel, Iso9660, Pippoguitar, Un pirla qualsiasi...

Uno di quegli eventi che quando finisce vorresti ricominciasse daccapo, magari per scambiare una parola di più.

Io, che sono genovese, devo dire che questa città, Torino, mi ha accolto a braccia aperte. Un abbraccio composto, magari non stretto come quello di Genova, ma pur sempre un abbraccio.

E dite niente?

Parola di viandante.