Il figlio di Cesare Previti, un ragazzino di 17 anni,
gioca a calcio, e pare benino, nella Primavera della Lazio. Ovviamente, non manca il commento
politically correct a favore del giovane portiere:
il suo è un cognome che pesa.
Vabbe', lasciamo perdere Previti junior, che se poi non prende una palla, non è che suo padre può farci molto (ma non era in carcere o ai domiciliari? mah).
Tutte le volte che qualche figlio d'arte o comunque
figlio di qualcuno si cimenta in un'attività, i commentatori non mancano mai sottolineare che
ha un cognome ingombrante,
raccoglie un'eredità difficile, come se fosse un handicap, un impedimento, un marchio di disonore, un ostacolo che ha reso il cammino artistico o professionale ancora più impervio. E che, certo, nessuno ha raccomandato nessuno.
Ma per cortesia.
Prima o poi mi piacerebbe leggere, in occasione di un libro scritto dal figlio di uno scrittore o di un film girato dal figlio di un regista (gli esempi possono continuare) che in fondo, sì, è stato solo per la sfacciata fortuna di nascere proprio in quella famiglia, e questo alla faccia dei tanti figli di nessuno che continueranno a sgomitare, fare anticamera, dormire quattro ore a notte senza ottenere un decimo di quello che il solito figlio di qualcuno ottiene facendo fare un paio di telefonate.
Mi va benissimo. E' sempre stato così. Ma almeno la si smettesse di scrivere certe vaccate in nome del
politically correct.