Il 2008 inizia così, con una bella spruzzata di neve sulla periferia di Settimo Torinese (come in molti altri luoghi del centro nord). Ovviamente la foppa di cui sopra non ha alcuna velleità artistica (ci mancherebbe): sono due scatti fatti in fretta e furia mentre la caffettiera era sul fuoco. Mi bastavano per ricordare questo risveglio.
La neve ha sempre avuto il compito ingrato di mascherare gli errori e le brutture dell'uomo. Ma non è nevicato abbastanza, a Settimo, questa notte. Camminando verso l'auto parcheggiata per strada, i miei passi scoprivano l'asfalto coperto da uno strato troppo sottile di neve, mostrando il bitume bagnato, scabroso e grigio.
Non mi interessa né intendo scrivere uno bilancio dell'anno passato. Dio me ne scampi. Ci sono stati eventi personali troppo belli e importanti per stilare una banale lista a mo' di servizio di fine anno della CNN.
Tuttavia, la neve che per poche ore ricopre le strade le case le auto in sosta, e si spazza via con la suola delle scarpe, continua a tornarmi in mente. Sta diventando una piccola ossessione. Molti aspetti della mia vita di migrante possono essere riassunti e descritti con la metafora della neve sottile. Ho dovuto rassegnarmi di fronte all'evidenza di una rete sociale di amicizie che va via via riducendosi per dimensione, portata e affidabilità, come se le maglie diventassero progressivamente più larghe perché alcuni nodi stano cedendo o si sono già rotti. Così, un'amara solitudine di fondo ha preso il posto delle belle parole del passato.
Penso di avere, in alcuni momenti, mitizzato e idealizzato la mia provenienza: la città dove sono nato e vissuto, le persone che ancora sono là perché vi sono tornate o non si sono mai mosse. Ho a lungo sperato che tutto ciò per cui ho speso impegno e energia - principalmente mantenere in vita amicizie geograficamente remote - avrebbe dato, un giorno, i suoi frutti. Già: come il grano sotto la neve. Avevo la speranza che, una volta disciolta la neve, il grano uscisse dalla terra e portasse frutto, e con il frutto il pane. Invece, spostando di poco la neve, non è sempre terra fertile quella che si vede, ma asfalto e cemento. Duro, grigio, senza vita.
La neve fa quello che può, e rende tutte le cose uguali per forma e per colore: coperta di bianco, la mia vecchia auto non è così dissimile dalla Lexus parcheggiata accanto; le strade della periferia dove vivo sono bianche come quelle del centro. E' già pomeriggio, e continua a scendere, lenta e silenziosa. È tutto bello, qui intorno, finché non si scioglie.
La vita, la vera vita senza speranze ingenue, inizia quando il sole o i passi portano via lo strato sottile della neve di gennaio, e scoprono le cose per quello che sono. Asfalto, rifiuti, e qualche erbaccia.