Da quando vivo a Torino la mia presenza a Genova è diventata episodica. Questo mi permette di gustare certe piccole cose della mia città di mare che un tempo davo per scontate e che in terra sabauda non sono riuscito a ritrovare. È un bel sabato pieno di sole, questo sabato, ed è ancora più bello camminare sotto al cielo blu Fuji Velvia perché ho potuto assaporare alcuni degli aspetti per cui vale la pena vivere a Genova.
I punkabbestia.
Sarà perché mi muovo poco da casa, ma a Torino i punkabbestia non li vedo mai. Anzi, credo di non averli mai visti. Io penso che in parte sia colpa del freddo. Genova, con il suo clima mite e i suoi vicoli riparati, accoglie come un ventre generoso queste curiose specie di ominidi (o presunti tali) che vivono in simbiosi con numerosi cani più o meno portatori di pulci e zecche. I punkabbestia sono tutti uguali: sui vent'anni, capelli sporchi attorcigliati in trecce, piercing ovunque. L'uniforme è rigorosamente serializzata: pantaloni extra large bisunti, coperte, maglioni sdruciti; la dotazione di serie comprende un bicchiere McDonalds per gli spiccioli e un cartone di Tavernello. E' lecito sospettare che esista una linea di abbigliamento dedicata solo a loro. Vivono per lo più elargendo grandi e sdentati sorrisi in cambio di elemosine, mentre mute di cani sonnecchiano acciambellati ai loro piedi, grattandosi, di tanto in tanto, qualche rogna sul collo. I due esemplari di punkabbestia che ho osservato oggi in Piazza de Ferrari, di sesso imprecisato e fatti come biglie, stavano aizzandosi i cani a vicenda e ridevano sguaiatamente molto compresi nel loro ruolo di reietti volontari.
Le risse.
A Genova sono sempre volate botte da orbi. Di quelle in vecchio stile, mica roba da ridere. Oggi stavo scendendo in Via San Lorenzo, il cui suolo pubblico era occupato da una mezza dozzina di banchetti di punkabbestia intenti a vendere irrinunciabili ammenicoli di fil di ferro, pipe per fumare hashish e altro ciarpame, quando mi trovo testimone di una scena cui non assistevo da anni. Con uno scatto da centometrista, due giovani punkabbestia si gettano verso un banchetto poco distante, e nei primissimi istanti sembra che stiano correndo insieme: ma in realtà il n°1 corre e il n° 2 lo rincorre. Giunto alla meta, il punkabbestia n°1 lancia in aria il banchetto con tutta la mercanzia che, dopo un breve volo, soggiace alla legge di Newton rovinando sul sagrato. Gli altri punkabbestia presenti bloccano a terra il n°1 mentre il n°2 - che si scopre essere (o essere stato) di sesso vagamente femminile - gli sferra una serie di calci in faccia, uno dietro l'altro. A sedare la rissa accorrono subito un vigile urbano, un finanziere, un volontario della Croce Bianca e due anziani pensionati di Sampierdarena che stavano comprando un pezzo di fociaccia con le olive: quest'improvvisata compagine con non poco sforzo salva il punkabbestia n°1 dal linciaggio degli altri ambulanti, che nel fattempo minacciano denunce e querele e richieste di risarcimento. Passo dopo un'ora e sono ancora lì a ratellare (litigare, NdA) su chi ha torto e chi ha ragione.
Figge de famiggia.
Categoria esclusivamente genovese, le ragazze di buona famiglia provengono da lussuosi appartamenti in Albaro e Catelletto, e sono facilmente individuabili per alcuni segni particolari, altrove non reperibili, che le rendono uniche negli esseri di sesso femminile: capelli con meches di colore e lunghezza prefissata con norma UNI-EN-ISO9001, occhiale con montatura rettangolare, Rolex di serie, abbilgliamento sobrio ma ricercato, tacchi bassi, borsa di Louis Vuitton da un lato e sacchetto di Ghiglino dall'altro, repertorio di pettegolezzi da spifferare con naturale eleganza. Dall'eta scolare a quella nuziale, le figge di famiggia sono territorio esclusivo di caccia degli esemplari maschi di pari o superiore lignaggio con i quali si accoppiano di rado e silenziosamente, e solo dopo approfondite indagini sulla situazione finanziaria. Quando le figge de famiggia raggiungono i trent'anni, diventano pressoché indistinguibili dalle inossidabili madri alle quali si accompagnano spesso per i necessari approvvigionamenti in pochi, fidatissimi negozi, dove vengono accolte e chiamate con vezzosi soprannomi (Cuchi e Chicca vanno per la maggiore). Superati i trenta, le femmine si riproducono dando alla luce piccoli esemplari che vengono di norma portati all'asilo a bordo di enormi fuoristrada con vetri oscurati, in perenne divieto di sosta: le anziane ma immortali madri occupano il posto del passeggero e attirano nell'abitacolo sprovveduti vigili urbani che, sovente, vengono ingoiati interi, e ancora vivi. Addendum: le figge di famiggia, così descritte, non hanno molto sex appeal. Eppure, ogni volta che ne vedo una, qualcosa mi ribolle all'interno.
Il negoziante sprovvisto.
Un'altra caratteristica di Genova sono i negozi che non hanno mai l'articolo che cerchi ma possiedono la ferrea certezza dell'inesistenza o dell'irreperibilità dell'articolo cercato. Ad esempio, oggi sono andato in un negozio di strumenti musicali e ho chiesto alcune comunissime viti per fissare il battipenna della chitarra. Viti di metallo. Dopo una riflessione, il commerciante ha consluso che no, non aveva quelle viti né sapeva dove avrei potuto comprarle e se non le ha lui non le ha nessuno, anzi forse sì, perché secondo una leggenda tramandata oralmente, un negozio nei pressi di Torino, ma non saprebbe essere più preciso di così, dovrebbe avere delle viti, forse non quelle che stavo cercando, magari simili, ma non è detto. E comunque, essendo il giorno 11 del mese di febbraio, aveva era ancora un po' disorientato dalla chiusura natalizia e mi ha pregato pertanto di portare via il belino, elegante espressione del vernacolo genovese utilizzata per accomiatarsi dall'ospite.