20 aprile 2010
Vivere ogni giorno l'incertezza della crisi.
Diventeremo un Paese di inoccupati senza speranza, dediti ad un triste commercio (cui segue il baratto) di beni importati (perché nel frattempo avremo smesso di produrli), strangolati dal cancro del credito al consumo con cui una parte della popolazione, per qualche anno, si è sentita più ricca e libera. Noi.
Loro no. Non accadrà all'elite della vorace classe dirigente che ha senz'altro approfittato della crisi del credit crunch per aumentare i propri personalissimi profitti a danno dei redditi delle famiglie; che ha senz'altro contribuito alla polverizzazione di un tessuto capace di innovare, produrre, adattarsi e reagire. Perché a leggere le cronache di fallimenti e chiusure, da uomo della strada capisco che il conto lo stanno pagando sempre e comunque gli ultimi anelli dell'infame catena. Nemmeno per un istante si pone il dubbio se davvero proprietà e management di tante piccole e medie imprese abbiano agito negli interessi di aziende che sono fatte di persone, cultura, famiglie. Mai.
Quando nell'ottobre del 2008 è iniziata la grande (imprevedibile?) crisi finanziaria, l'uomo della strada, sempre lui, quel poco che ha capito è che grande parte della responsabilità di una situazione che sarebbe precipitata da lì a poco era da attribuirsi alle banche. Banche che hanno chiuso (in pochissimi casi, e sempre a danno degli impiegati dacché il top management si è ingrassato), banche che hanno ottenuto aiuti governativi (quindi con le tasse di quella che un tempo lontano fu la classe media), banche che dopo qualche titolo in prima pagina hanno ricominciato ad agire senza che alcuno di quei controlli reclamati a gran voce sia stato effettivamente messo in atto. Tutta colpa delle banche? L'uomo della strada questo dubbio ce l'ha. Ma se guardiamo al bollettino di guerra, sono solo gli altri a rimetterci: imprese in sofferenza, piccole ditte artigianali. Poi ci sono altri casi, che hanno tanto l'aria di essere un pretesto per tagliare costi ed arricchirsi ulteriormente, anche se le cose continuano ad andare bene o benino: e qui la delocalizzazione in Cina è la parola d'ordine, una brillante strategia industriale che lascia a casa le famiglie e le loro vite.
E anche chi un lavoro ancora ce l'ha (ma non appartiene ad elite né club né reti di amici di amici) vive e lavora ogni giorno con la paura che sia l'ultimo e che il successivo sia solo una lettera sulla scrivania che dice: ci dispiace, è la crisi, è il mercato. E di trovarsi in un Paese ormai privo di aziende grandi o piccole. Solo banche e commercio che si gonfia nei centri commerciali e che, ci scommetto, prima o poi si trascina nel baratto.
Per chi ha la tessera del club e della rete di amici di amici, qualcosa ci sarà sempre. Per gli altri, che però sono un po' di più, ci sarà poco. Così poco da poter stare tutto in una valigia.
15 aprile 2010
E adesso ammazzateci tutti.
Non sono un animalista intransigente né un vegetariano, ma negli anni ho maturato un certo disprezzo per la caccia, che mi sembra sempre più una manifestazione crudele e fine a se stessa. Privata del suo antico alone
di magia (il procacciamento del cibo, la sfida dell'uomo sulle fiere), oggi mi sembra del tutto insensata. Così come mi sembra ipocrita e pretestuoso legarla ad azioni di riequilibrio della fauna boschiva. Per la serie: sparate perché ci sono troppi fagiani. Ma quando mai: la natura si sa regolare benissimo da sola senza bisogno di doppiette e tagliole.
I coltivatori si lamentano perché i cinghiali rovinano nottetempo l'orticello? Innanzitutto, gli orti sorgono dove prima vivevano i cinghiali, quindi c'erano prima loro. E se le loro incursioni disturbano, magari sarebbe più facile mettere una recinzione seria che non sia la solita rete di un letto (quella non deturpa il paesaggio, vero?)
Lo scorso autunno mentre praticavo freeride sulla collina con un gruppo di persone, ci siamo dovuti fermare perché i soliti sanguinari stavano inseguendo un "pericoloso" esemplare di cinghiale, che è stato prontamente abbattutto a fucilate a un metro dai miei piedi. Una scena che avrei preferito non vedere: quel mammifero rantolante mi sembrava tutto tranne che pericoloso. Solo spaventato e sfortunato. E se lui è pericoloso, che si può dire dei gruppi di cacciatori abbattuti da fuoco amico in sciagurati incidenti? Si muore eccome, ma naturalmente per i diretti interessati sono conseguenze risibili (rispetto ai morti per incidenti stradali; paragone di indubbia pertinenza).
La caccia genera un bel business tra licenze ed equipaggiamento. Non siamo negli USA, ma anche da noi i produttori di armi sono gruppi dotati di una grande influenza sul governo. Una liberalizzazione sfrenata della caccia porterebbe solo ad un disastro ambientale e all'aumento degli incidenti, che sono morti e feriti, non solo tra i cacciatori.
La prossima escursione tra i boschi, a piedi o in bici, dovremo affrontare un altro pericolo?
31 marzo 2010
L'Organizzazione Amici.
Dall’Organizzazione bisognerebbe prendere le distanze, se non altro per un barlume di coscienza civile, scrive il brillante critico.Ero talmente assuefatto alle lodi sperticate offerte da telegionarli, blog, testate giornalisitiche e programmi TV che mai più avrei sperato in una presa di posizione così forte e condivisibile.
Solo per aver definito i discografici una famiglia di nobili decaduti in un tricamere di periferia, Grasso dovrebbe essere nominato senatore a vita.
E invece no, già tutti a pensare alla prossima edizione.
19 agosto 2009
Mendoza, l'ultimo drago del rock.
L'icona Mendoza sul messenger è offline. La guardo inebetito per un tempo abbastanza lungo. Vorrei che apparisse ancora una finestra con scritto "Ciao, De Niro" (per via del mio nickname taxidriver) o "Uei Beppe!", ma non accade nulla. Mendoza è offline.
Sulla Usenet si rincorrono decine di post: i gruppi Chitarra, Rock e Metal sono pieni di cordoglio, incredulità e ricordi. Tutti vogliono dire la loro, il loro pezzetto di vita con Mendoza. Ricordi, battute, stima. Anche sorrisi sul sarcasmo che Mendoza di certo non lesinava e che taluni non apprezzavano. Pian piano, l'incredulità cede il passo alla consapevolezza e alla rassegnazione. Stefano Petrelli, Mendoza per la musica, è volato via sulle note del rock.
Anch'io stento a crederci, tuttora. Rileggo il suo ultimo SMS: "Grazie, caro. Non preoccuparti per me, sai che sono un osso durissimo. Ci sentiamo presto". Sentirsi era possibile, ma faticoso: negli ultimi giorni, proprio a cavallo di Ferragosto, non poteva assumere liquidi e parlare al telefono lo disidratava ulteriormente. Non stava bene, era chiaro, ma con la sua voce calda era quasi lui a tirarmi su di morale. Aveva progetti per il futuro, mi raccontava del MetalFest che stava organizzando in Veneto ad ottobre. Non faceva misteri sulla propria salute, un filo di autocommiserazione: "Pago per i miei errori".
Il suo eloquio forbito e la sua competenza musicale mi hanno sempre colpito al pari della sua umiltà. Polistrumentista, compositore, già insegnante in scuole di alto livello, era talentuoso e molto competente. La teoria e l'armonia le conosceva a menadito. Con scarsissimi esiti a causa dell'infertile terreno, in chat aveva provato a spiegarmi l'uso delle scale modali e qualche rock riff. Sarei rimasto a leggerlo per ore. Bassista di professione, suonava la chitarra con una sensibilità non comune. Eppure credo che avesse comprato una Squier da pochi soldi giusto per registrare Another Rock 'n' Roll Swindle. Niente fronzoli.
21 luglio 2009
Appello a Endemol: Berté, fatela finire sul lastrico.
Sono rimasta senza soldi, ho un mutuo bimestrale da pagare di 8.500 euro.
Le alte spese condominiali mi hanno quasi ridotto sul lastrico. In casa non ho più i mobili, nè la cucina per poter mangiare. I rapporti con i vicini sono pessimi. Ogni scusa è buona per mandarmi la polizia.
Rivolgo un appello a Endemol e alla sig.ra Marcuzzi: non considerate la candidatura di Loredana Berté per la prossima edizione del GF. Lasciate che se la cavi, o che faccia definitivamente naufragio. Lasciate che provi (o faccia finta di provare) quello che milioni di italiani provano quotidianamente sulla propria pelle: la paura (e la vergogna) di non arrivare a fine mese, di dover fronteggiare debiti che crescono, di pagare la rata del mutuo (magari 800 euro al mese per un trilocale, non 8500 al bimestre per chissà cosa).
Lasciate che i meno critici si accorgano che la Berté ha e ha sempre avuto molto poco da offrire al mondo in cambio di tutto quello che ha avuto: attenzione, interesse, fama, soldi, successo. A quanto pare, sembra che l'egocentrica calabrese abbia dissipato senza rispetto tutti i doni che la vita le ha dato.
Saprà la signora Berté quanti musicisti seri e preparati non hanno mai avuto e mai avranno la possibilità di esprimere la propria arte e il proprio talento in Italia? Non è forse la sua personale vicenda uno schiaffo alla miseria della cultura musicale moderna?
Adesso l'unica merce di scambio di Loredana Berté con il gettone di presenza del GF (e forse qualcosina dagli sponsor, e forse non sempre alla luce del sole, chissà) è la compassione per la miseria in cui racconta di versare. Non ha un talento o una capacità da offrire né un lavoro, un impegno, un progetto: solo la speranza di poter stare ancora una volta al centro dell'attenzione (richiamata a squarciagola con qualche consumato trucchetto) per arraffare qualche quattrino e tirare a campare.
Spett.le Endemol, sig.ra Marcuzzi, non prendetela. Dimostrate che la diceria secondo cui lo star system è spietato è ancora vera. Lasciate che si arrangi. Anche se il GF non è esattamente una fucina di virtuosi, la Berté è tra i peggiori esempi che si possa dare a questo Paese.
Cercate qualche giovane lampadato o una ventenne con il seno rifatto. Ci sarà comunque da rimestare nel torbido a sufficienza.
14 luglio 2009
Carfagna, dal calendario al libro il passo è breve.
Cambiano l'editore (da Max o chi per esso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), i costumi di scena e le location, ma per il resto è sempre lì a dire quanto sono bella, quanto sono brava.
Grillo e l'assedio del PD.
08 luglio 2009
Jacko e Viareggio, due funerali senza un corpo.
In queste ore si stanno celebrando due importanti cerimonie funebri che sembrano non avere nulla in comune.
A Viareggio, circa 30000 persone tra familiari, conoscenti e cittadini, si stanno stringendo intorno alle bare delle vittime del recente disastro ferroviario. Una cerimonia solenne, sobria, ordinata pregna di dolore e commozione. Tragicamente, la manifestazione simbolica di quel senso di civile solidarieta' che gli italiani sanno ancora provare e dimostrare nei momenti piu' difficili.
A migliaia di kilometri di distanza, nell'assolata California, si prepara e celebra un altro funerale: quello di Michale Jackson. Organizzate in uno stadio -- luogo enorme, disperso, pubblico e festoso per definizione -- per accogliere il numero impressionante di partecipanti, le esequie di Jacko sono in in realta' e prima di tutto un evento mediatico con un importante impatto economico (permetteranno di rientrare dei costi sostenuti per i concerti gia' programmati e per i biglietti da rimborsare). E' anche una vetrina per lo star system che sfilera', compreso nel proprio ruolo di orfano, tra musica e vacue parole di circostanza.
Due eventi diversissimi tra di loro, in luoghi lontani e con motivazioni differenti. Eppure vi e' qualcosa che, ai miei occhi, li rende comuni: ad entrambi i funerali, salvo sviluppi e cambiamenti, manca un corpo. E' quanto apprendiamo dalle news e dalla stampa.
Andrea Farloni, 50 anni, elettricista, stava portando a spasso il cane quando e' stato investito dall'esplosione del carro merci alla stazione di Viareggio. Dato a lungo per disperso, di lui non si sono trovati i poveri resti. "Non avremo nemmeno un corpo su cui piangere", ha giustamente lamentato la famiglia.
Il corpo di Michael Jackson non sara' da subito presente alla cerimonia-show che celebra la sua scomparsa. Il funerale si svolgera' in forma provata al Forest Lawn, il cimitero dei VIP, e solo dopo la bara sara' portata, in forma di feticcio, allo Staple Centre. Dove non ci sara' un funerale, ma una festa molto redditizia.
Ecco, due modi diversi con motivazioni del tutto distanti per cui un corpo, le spoglie mortali di un essere umano, sono sottratte al rito del saluto da parte della comunita' dei vivi. E' questa assenza -- o mancanza -- che ha colpito la mia mente nella cronaca degli utlimi giorni.
In mezzo c'e' un abisso. Un terribile incidente ha cancellato i resti mortali (non il ricordo e l'affetto) di un privato cittadino, un artigiano, un uomo della strada. Uno che portava a spasso il cane. Scommetto che aveva anche il sacchetto di plastica annodato al guinzaglio, per non lordare la strada. I parenti vorrebbero un corpo su cui piangere.
Al di la' del mare -- di questo abisso mediatico e culturale -- il corpo di un essere parossistico e caricaturale, oberato dai propri debiti, inebetito da un'esistenza quantomeno discutibile, viene sballottato e trasformato in un iconico totem da esporre in pubblico, per poter vendere qualche gadget in piu'.
Ai fan della popstar poco importa se la bara c'e' o non c'e': lo star system impone l'iconografia, e questa immaginifica e surreale protesi basta e avanza per ballare fino al mattino. E per dire: io c'ero.
03 luglio 2009
Carlos Ruiz Zafón, L'ombra del vento.
Se cercate il titolo di questo libro su IBS troverete più di 500 tra recensioni accurate e brevi commenti. Il potere del web. E allora a cosa serve un'altra recensione di questo bestseller?
Nella migliore delle ipotesi, a nulla. Se non, forse, a mettere nero su bianco (o bianco su nero, dato il layout del mio sito) il mio parere sul caso letterario spagnolo: L'ombra del vento è di gran lunga il peggior romanzo (d'appendice, s'intende) che abbia mai letto. Anzi, a voler essere sinceri, non l'ho nemmeno finito di leggere: in un gesto di pietà verso me stesso, mi sono dispensato delle ultime inutili, penose, farraginose 30 pagine.
La sinossi ve la cercate su Wikipedia, da bravi.
Veniamo al succo.
Questa cartaccia avvolta in una copertina abbastanza oscena si discosta poco, per qualità, contenuti, stile, apporto creativo e messaggio, ad un volume della collana Harmony, della quale, purtroppo, non condivide il prezzo popolare.
I dialoghi sono qualitativamente inferiori solo a quelli dei primi Diabolik e Satanik, fumetti che peraltro conservano una ruspante sincerità.
I personaggi, poi... Variano dalla caricatura pseudofiabesca (il clochard erudito, il poliziotto violento) alla più completa inconsistenza (il protagonista Daniel, che si innamora prima di una cieca poi di una vecchia e infine della sorella di un amico; ma dai, ci mancava la dottoressa del comando militare e faceva poker).
Chiude in bellezza, si fa per dire, una storia che non ha né capo né coda, del tutto slegata dal contesto storico in cui è ambientata. Siamo nel '45, pergiove, mica una data qualunque.
La conclusione viene da sé. L'ombra del vento è una lettura adatta a chi già si dedica a contenuti del medesimo livello e spessore, come l'elenco telefonico di Parma o i romanzi di Coelho. Ma ancora meglio sarebbe evitare di leggere e comprare questo imbarazzante blocco di carta rilegata.
Con gli stessi soldi, compratevi un Happy Meal da McDonalds: fa schifo uguale, ma almeno c'è dentro il pupazzetto.
26 giugno 2009
Jacko e la sua morte.
Ma non verserò una sola lacrima per Michael Jackson che, stando ad alcune fonti, è morto per un attacco di cuore poche ore fa.
Le sue ingombranti, deplorevoli vicissitudini personali, scivolate spesso in vicende giudiziarie -- tanto clamorose al loro avvio quanto colpevolmente silenziose nelle loro conclusioni -- legate a discutibili comportamenti sessuali, hanno contribuito ad alimentare in me un sentimento che andava al di là dell'insofferenza e del disprezzo.
La sua musica -- se musica si può chiamare quella confusa baraonda più simile al tramestio di una folla nel giorno di mercato che al prodotto della creatività di un musicista -- mi ha sempre fatto ribbrezzo, un disgusto pari solo alle sue morbose trasformazioni. E lo dico in barba ai 750 milioni di dischi venduti. La gente ha comprato un numero ben superiore di sigarette, ma questo non significa che abbia usato il cervello.
Jackson ha rifiutato quanto la vita gli aveva dato, a principiare dal colore della pelle (credete ancora alla storia della malattia? Sveglia, il sole è già sorto da un pezzo) e dal suo aspetto fisico, martoriato da una scienza complice e correa. Delle sue odiose attenzione per i minori ho già scritto e qui aggiungo che ho spesso
sospettato che fossero anche indigenti famiglie a gettare i propri figli nella tana del lupo -- quella pazzia chiamata Neverland -- per poi dichiarare chiuso lo spiacevole inconveniente con un bell'assegno in tasca.
Ma questo è il ricco occidente. In un altro Paese, uno di quelli che occupano le cronache in questi giorni, un tipo così penzolerebbe da una gru da un bel pezzo. Altro che flash, copertine e camera iperbarica.
Jacko se ne è andato. Come sempre accade, da morto tutti i peccati gli verranno rimessi. Ora sarà un grande artista per tutti. La leggenda. Il mito. Immortale, secondo il quotidiano del Vaticano. A seguire: un santo, un martire, un beato.
Ora i giornali e il web faranno un po' di rumore, pubblicando le foto del popolo raccolto in fiaccolate e meste cerimonie, e dicendo quanto ero buono, quanto era bravo. Io, in questa inopportuna santificazione, mi accontento, apparentemente, di poco. Ad esempio, che abbia smesso di nuocere agli indifesi. Eppure mi pare già molto.
18 giugno 2009
Wired, ma senza Sofri.
Diciamo che il mio attaccamento a questa testata non e' oggetto di discussione.
Lo e', forse, la scelta di alcuni contributors, che assai poco hanno di nuovo, fresco. Diciamo uno e diciamo che e' Luca Sofri. Che, non soffrendo esattamente di assenza dai media, firma puntualmente quei 2-3 pezzi a numero.
Sofri -- antipatichino, saccente e abbastanza snob -- scrive su un numero imprecisato di quotidiani e riviste e, instancabile, aggiorna il suo Wittgenstein (dalle cui pagine difende la moglie: ma ce n'era bisogno? Non sa la Sig.ra Bignardi cavarsela da sola?) , parla alla radio, presenta in TV.
Sofri, dicevo, appartiene a pieno titolo ad una casta, quella degli opinion leader non ancora ottuagenari ma nemmeno trentenni, ben piazzato e ben introdotto, e della sua invidiabile posizione puo' dispensare consigli ed omaggiare il globo di salaci e dissacranti corsivi.
Su posizioni non certo rivoluzionarie, il nostro e' abilissimo a trarre il massimo profitto dall'ambiente che lo circonda ed ospita salvo pero' impartire severe critiche a destra e a manca.
Sofri e' anche un riuscito esempio di mediafamily, non nell'accezione di famiglia media, ma nel senso di famiglia impiegata full time in ruoli prestigiosi dell'industria mediatica.
Insomma, un personaggio che e' si wired, perche' di rete e tecnologie, ad onor del vero, se ne capisce, ma il cui profilo mal si addice al (dichiarato) spirito di innovazione, trasformazione e cambiamento della rivista.
Wired, vi prego, senza Sofri: non e' lo spazio mediatico che gli manca.
10 giugno 2009
Io sto con i senatori.
09 giugno 2009
Giornali ed elezioni: fantasia al potere.
29 aprile 2009
Vai a lavorare, scioperata.
E intanto c'e' che sispacca la schiena per 1000 euro al mese, in nero e senza contributi. E lo fa in silenzio, un silenzio rotto solo di rado da Report e Anno Zero che ancora sanno che cos'e' il Paese reale.
Non so se mi fa piu' raccapriccio la ragazzina in questione, i quotidiani che le danno spazio in prima pagina (per risollevare l'umore dopo la febbre suina?) o il "papi" con le sue mosse da dittatorello paternalista.
Forse la somma delle tre cose.
La crisi dei quotidiani.
Brutto segno.
L'unica cosa che oggi funziona, e pure troppo, sul sito de La Stampa e' un odioso popup in flash di Lufthansa: anche cliccando con chirurgica precisione al centro della minuscola X, si apre una pagina pubblicitaria.
Terribile.
23 aprile 2009
A Settimo Torinese la casa ecosostenibile da 100.000 euro.
Lo scrivo con una punta di orgoglio. La mia quotidiana lettura di Wired mi ha riservato -- come spesso accade -- una piacevole sorpresa: la notizia che le prime case ecosostenibili dell'architetto Cucinella saranno costruite a Settimo Torinese nell'ex area Siva (la fabbrica di vernici).
Le case costeranno 100.000 euro e sfrutteranno il sole e criteri di costruzione razionale per ridurre consumi energitici.
03 aprile 2009
Grillo parlante e codardo, 2.
Ho gia' detto la mia sull'inqualificabile comportamento di Grillo ospite di Exit: Per contro Ilaria D'Amico si e' confermata una serissima professionista e una vera signora, chiedendo pubblicamente scusa all'editore e ai telespettatori per aver invitato quel personaggio in studio.
Ho scorso velocemente i commenti pubblicati su Repubblica di ieri in calce alla notizia della fuga di Grillo dalla trasmissione. E' stato molto triste vedere che, nonostante il gesto vergognoso, i suoi miopi fan continuavano a sostenerlo con frasi degne piu' delle gradinate di uno stadio (Bravo Beppe, fagli un c*** cosi'!) che di un forum per la societa' civile. E cio' nonostante anche i giornali stiano criticando la vigliaccheria del comico ligure.
Per quanto ancora i suoi sostenitori continueranno ad accordargli fiducia e consenso? Quando capiranno che Grillo rappresenta un pericolo per la democrazia e una deriva per la societa' civile?
02 aprile 2009
Grillo parlante e codardo.
Grillo e' purtroppo la peggiore manifestazione di un pericoloso populismo che guadagni i consensi di una folla gia' rimbecillita dai nostri media, una folla acritica e pecorona che segue chi grida piu' forte.
Se la classe politica, o almeno una buona parte di essa, e' vergognosa per l'avidita', il disinteresse nei confronti della res publica e la disonesta', Grillo e' una vergogna per la categoria dei comici e per quella che alcuni, a corto di parole, definiscono "antipolitica".
La democrazia si fonda sul dialogo e sul contraddittorio. Chi come Grillo guadagna larghi consensi e non accetta mai alcun contraddittorio e' un pericolo per la democrazia, costruita e conquistata con fatica.
23 gennaio 2009
Grillo censore populista.
Per fortuna c'è Al Jazeera.
31 ottobre 2008
Mi unisco al coro dei fischi.
Grillo deve tornare ad occuparsi delle cose che più gli sono congeniali e meglio si adattano al suo altissimo profilo socioculturale, come i vaffanculo day, questo meraviglioso esempio di protesta civile che tutto il Burkina Faso ci invidia.
Ma va', va'.