24 agosto 2009
Il mio battesimo freeride/downhill.
20 agosto 2009
Colin Thubron, In Siberia.
Sospesa tra i sogni pionieristici del passato remoto, i drammi indicibili delle deportazioni staliniane e il disfacimento post-comunista, la Siberia appare un immenso continente alla deriva, dove le cose non funzionano, lo Stato è assente e la gente ha perso la speranza. I valori e la fede religiosa sono spesso fiaccati da un uso sempre più smodato della vodka che abbassa drammaticamente la vita media dei maschi siberiani e che ha non poche ripercussioni sulla produttività: campi invasi da sterpaglie, trattori arrugginiti e officine deserte sono tra i soggetti ricorrenti nelle impietose ma oggettive istantanee di Thubron.
In Siberia è un viaggio profondo: l'autore non si limita a visitare luoghi ma si sofferma, visita e conosce persone, dorme a casa loro, ne ascolta le angosce, effettua spesso insicure deviazioni per rincorrere una voce e verificare una notizia. E sempre, dai dolenti personaggi che popolano queste piane spazzate da un vento gelido, non di rado inclini a nostalgie staliniane, si leva un canto quasi funebre che pare celebrare l'agonia, se non la morte, di una terra che è stata la speranza, la sofferenza, il martirio e il destino di milioni di anime tradite.
Giunto all'ultima pagina, mi trovo del tutto d'accordo con quel commento: avrei voluto anch'io poter voltare pagina ed iniziare un nuovo capitolo. Thubron è spesso affiancato a Tiziano Terzani, che sull'argomento scrisse un saggio per certi versi analogo (Buonanotte Signor Lenin), ma lo ritengo superiore dal punto di vista analitico e stilistico.
In Siberia è un capolavoro, scritto con uno stile sorprendente per qualità e scorrevolezza; è un libro che raccomando per scoprire qualcosa di questa terra.
Trad. di A. Peroni e L. Corbetta
VIAGGI/ REPORTAGE/ AVVENTURE VERE - VIAGGIAvventure 14; pp. 292;
19 agosto 2009
Mendoza, l'ultimo drago del rock.
L'icona Mendoza sul messenger è offline. La guardo inebetito per un tempo abbastanza lungo. Vorrei che apparisse ancora una finestra con scritto "Ciao, De Niro" (per via del mio nickname taxidriver) o "Uei Beppe!", ma non accade nulla. Mendoza è offline.
Sulla Usenet si rincorrono decine di post: i gruppi Chitarra, Rock e Metal sono pieni di cordoglio, incredulità e ricordi. Tutti vogliono dire la loro, il loro pezzetto di vita con Mendoza. Ricordi, battute, stima. Anche sorrisi sul sarcasmo che Mendoza di certo non lesinava e che taluni non apprezzavano. Pian piano, l'incredulità cede il passo alla consapevolezza e alla rassegnazione. Stefano Petrelli, Mendoza per la musica, è volato via sulle note del rock.
Anch'io stento a crederci, tuttora. Rileggo il suo ultimo SMS: "Grazie, caro. Non preoccuparti per me, sai che sono un osso durissimo. Ci sentiamo presto". Sentirsi era possibile, ma faticoso: negli ultimi giorni, proprio a cavallo di Ferragosto, non poteva assumere liquidi e parlare al telefono lo disidratava ulteriormente. Non stava bene, era chiaro, ma con la sua voce calda era quasi lui a tirarmi su di morale. Aveva progetti per il futuro, mi raccontava del MetalFest che stava organizzando in Veneto ad ottobre. Non faceva misteri sulla propria salute, un filo di autocommiserazione: "Pago per i miei errori".
Il suo eloquio forbito e la sua competenza musicale mi hanno sempre colpito al pari della sua umiltà. Polistrumentista, compositore, già insegnante in scuole di alto livello, era talentuoso e molto competente. La teoria e l'armonia le conosceva a menadito. Con scarsissimi esiti a causa dell'infertile terreno, in chat aveva provato a spiegarmi l'uso delle scale modali e qualche rock riff. Sarei rimasto a leggerlo per ore. Bassista di professione, suonava la chitarra con una sensibilità non comune. Eppure credo che avesse comprato una Squier da pochi soldi giusto per registrare Another Rock 'n' Roll Swindle. Niente fronzoli.
18 agosto 2009
Io sono il rock, e voi non siete un cazzo.
12 agosto 2009
Omegle: Chat a caso, con sconosciuto.
10 agosto 2009
Breve test Rock Sox Reba Race.
Tutt'altro che impegnativo, questo tracciato è tuttavia caratterizzato da diversi tipi di fondo: asfalto, terra compatta, fango, ghiaia fine, ghiaia grossa, pietre, erba e ponti di legno, quindi si presta ad un rapido (e non esauastivo test) di un ammortizzatore. Certo, un paio di discese serie , un single track erboso e qualche tracciato tecnico permetterebbero di dare un parere più completo, ma non mancheranno in futuro.
La forcella è tarata medio morbida, a mia sensazione, sia per quanto riguarda la camera positiva che per quella negativa, il che va benissimo per me che sono tutto sommato leggero (sto appena sotto i 70 kg).
La regolazione fine del rebound è un godimento: il comando va dalla posizione lepre alla posizione tartaruga il che significa ritorno veloce e ritorno lento. Il funzionamento è davvero ben realizzato. La risposta in affondo e in frenata è precisa e reattiva, così come mi è parso molto buono il comportamento su tracciato sconnesso a velocità allegra. Ho capito per la prima volta il significato profondo dell'espressione "copiare il terreno". La Reba Race lo fa, punto.
Il remote lock, che ho sempre snobbato come prodottino di marketing, è invece utile come una luce al buio: se non ce l'hai campi lo stesso, ma se ce l'hai, beh, le cose vanno meglio ed eviti di perdere tempo, soprattutto quando si deve affrontare una salita (perché, diciamolo, pedalando un po' di affondo c'è sempre).
Ora passiamo alla parte meno tecnica e più di pancia. Oltre ad avere aumentato il comfort di marcia, adesso notevole all'avantreno, la Reba Race, che ha sostituito una Suntour ad elastomero di primo equipaggiamento, dà immediatamente una sensazione di maggiore sicurezza per la reattività sul terreno. E' come se una vocina dicesse: "tranquillo, spingi pure, l'avantreno è bello saldo al fondo". Quella sgradevole sensazione del tipo "adesso faccio un volo" che provavo nelle curve o su sfondo pietroso preso in velocità, si è decisamente attenuata.
Anche se la prova è stata breve e non completa, posso dire che mi sento soddisfatto dell'acquisto (che grazie al cielo era in buone condizioni e non troppo usato). Adesso resta da effettuare un'escursione un po' più impegnativa per mettere a prova la Reba Race.
09 agosto 2009
Rock Shox Reba Race dual air, montata sulla mia Giant.
21 luglio 2009
Appello a Endemol: Berté, fatela finire sul lastrico.
Sono rimasta senza soldi, ho un mutuo bimestrale da pagare di 8.500 euro.
Le alte spese condominiali mi hanno quasi ridotto sul lastrico. In casa non ho più i mobili, nè la cucina per poter mangiare. I rapporti con i vicini sono pessimi. Ogni scusa è buona per mandarmi la polizia.
Rivolgo un appello a Endemol e alla sig.ra Marcuzzi: non considerate la candidatura di Loredana Berté per la prossima edizione del GF. Lasciate che se la cavi, o che faccia definitivamente naufragio. Lasciate che provi (o faccia finta di provare) quello che milioni di italiani provano quotidianamente sulla propria pelle: la paura (e la vergogna) di non arrivare a fine mese, di dover fronteggiare debiti che crescono, di pagare la rata del mutuo (magari 800 euro al mese per un trilocale, non 8500 al bimestre per chissà cosa).
Lasciate che i meno critici si accorgano che la Berté ha e ha sempre avuto molto poco da offrire al mondo in cambio di tutto quello che ha avuto: attenzione, interesse, fama, soldi, successo. A quanto pare, sembra che l'egocentrica calabrese abbia dissipato senza rispetto tutti i doni che la vita le ha dato.
Saprà la signora Berté quanti musicisti seri e preparati non hanno mai avuto e mai avranno la possibilità di esprimere la propria arte e il proprio talento in Italia? Non è forse la sua personale vicenda uno schiaffo alla miseria della cultura musicale moderna?
Adesso l'unica merce di scambio di Loredana Berté con il gettone di presenza del GF (e forse qualcosina dagli sponsor, e forse non sempre alla luce del sole, chissà) è la compassione per la miseria in cui racconta di versare. Non ha un talento o una capacità da offrire né un lavoro, un impegno, un progetto: solo la speranza di poter stare ancora una volta al centro dell'attenzione (richiamata a squarciagola con qualche consumato trucchetto) per arraffare qualche quattrino e tirare a campare.
Spett.le Endemol, sig.ra Marcuzzi, non prendetela. Dimostrate che la diceria secondo cui lo star system è spietato è ancora vera. Lasciate che si arrangi. Anche se il GF non è esattamente una fucina di virtuosi, la Berté è tra i peggiori esempi che si possa dare a questo Paese.
Cercate qualche giovane lampadato o una ventenne con il seno rifatto. Ci sarà comunque da rimestare nel torbido a sufficienza.
17 luglio 2009
Grillo, le tessere, lo statuto.
Ora dicono che l'iscrizione non è valida perché contraria allo statuto. E allora perché il locale circolo ha disatteso le direttive e ha accolto il brizzolato buffone?
Rimpiango il PCI: a quei tempi un no era un no, e per i disobbedienti c'era l'espulsione.
14 luglio 2009
Carfagna, dal calendario al libro il passo è breve.
Cambiano l'editore (da Max o chi per esso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), i costumi di scena e le location, ma per il resto è sempre lì a dire quanto sono bella, quanto sono brava.
Grillo e l'assedio del PD.
08 luglio 2009
Jacko e Viareggio, due funerali senza un corpo.
In queste ore si stanno celebrando due importanti cerimonie funebri che sembrano non avere nulla in comune.
A Viareggio, circa 30000 persone tra familiari, conoscenti e cittadini, si stanno stringendo intorno alle bare delle vittime del recente disastro ferroviario. Una cerimonia solenne, sobria, ordinata pregna di dolore e commozione. Tragicamente, la manifestazione simbolica di quel senso di civile solidarieta' che gli italiani sanno ancora provare e dimostrare nei momenti piu' difficili.
A migliaia di kilometri di distanza, nell'assolata California, si prepara e celebra un altro funerale: quello di Michale Jackson. Organizzate in uno stadio -- luogo enorme, disperso, pubblico e festoso per definizione -- per accogliere il numero impressionante di partecipanti, le esequie di Jacko sono in in realta' e prima di tutto un evento mediatico con un importante impatto economico (permetteranno di rientrare dei costi sostenuti per i concerti gia' programmati e per i biglietti da rimborsare). E' anche una vetrina per lo star system che sfilera', compreso nel proprio ruolo di orfano, tra musica e vacue parole di circostanza.
Due eventi diversissimi tra di loro, in luoghi lontani e con motivazioni differenti. Eppure vi e' qualcosa che, ai miei occhi, li rende comuni: ad entrambi i funerali, salvo sviluppi e cambiamenti, manca un corpo. E' quanto apprendiamo dalle news e dalla stampa.
Andrea Farloni, 50 anni, elettricista, stava portando a spasso il cane quando e' stato investito dall'esplosione del carro merci alla stazione di Viareggio. Dato a lungo per disperso, di lui non si sono trovati i poveri resti. "Non avremo nemmeno un corpo su cui piangere", ha giustamente lamentato la famiglia.
Il corpo di Michael Jackson non sara' da subito presente alla cerimonia-show che celebra la sua scomparsa. Il funerale si svolgera' in forma provata al Forest Lawn, il cimitero dei VIP, e solo dopo la bara sara' portata, in forma di feticcio, allo Staple Centre. Dove non ci sara' un funerale, ma una festa molto redditizia.
Ecco, due modi diversi con motivazioni del tutto distanti per cui un corpo, le spoglie mortali di un essere umano, sono sottratte al rito del saluto da parte della comunita' dei vivi. E' questa assenza -- o mancanza -- che ha colpito la mia mente nella cronaca degli utlimi giorni.
In mezzo c'e' un abisso. Un terribile incidente ha cancellato i resti mortali (non il ricordo e l'affetto) di un privato cittadino, un artigiano, un uomo della strada. Uno che portava a spasso il cane. Scommetto che aveva anche il sacchetto di plastica annodato al guinzaglio, per non lordare la strada. I parenti vorrebbero un corpo su cui piangere.
Al di la' del mare -- di questo abisso mediatico e culturale -- il corpo di un essere parossistico e caricaturale, oberato dai propri debiti, inebetito da un'esistenza quantomeno discutibile, viene sballottato e trasformato in un iconico totem da esporre in pubblico, per poter vendere qualche gadget in piu'.
Ai fan della popstar poco importa se la bara c'e' o non c'e': lo star system impone l'iconografia, e questa immaginifica e surreale protesi basta e avanza per ballare fino al mattino. E per dire: io c'ero.