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23 agosto 2013

Dov'ero finito.

Sarà capitato anche a voi di perdervi, no?
L'importante, però, è ritrovarsi.
Poi, a dire il vero, la stagione estiva non è iniziata nel migliore dei modi dato che mi sono procurato una frattura (per fortuna composta) ad un braccio in una delle cadute più idiote che il genere umano e la comunità di bikers possa immaginare. E' una giustificazione sufficiente?






 
Sulle anomalie (e follie) del sistema sanitario che ho vissuto come paziente (ora si dice persona assistita), cittadino e contribuente non voglio sprecare nemmeno una parola; posso solo dare un suggerimento a chi legge: cercate di non avere mai bisogno di farvi ingessare. Chiusa parentesi.
 
Va da sé che, una volta ripristinata la funzionalità dell'arto superiore sinistro, la stagione bici è stata breve e sono pochi i contenuti di genere che potrei pubblicare, fatta salva una puntata al bike park di La Thuile in Vald'Aosta, di cui sto ancora faticosamente montando un video che però, causa residuo di paura post traumatica, sembra fatto con il rallentatore. Invece era la mia velocità massima.
 
Una noticina sul bike park. Decisamente uno dei più naturali finora visitati, con una bella rete di sentieri boschivi oltre a percorsi tecnici vicini al black diamond e a panorami di alta montagna molto suggestivi. Ma ci sono anche ombre, a cominciare dalle indicazioni pressoché inesistenti e incomprensibili (anche con la cartina alla mano non è facile orientarsi, e spesso i cartelli segnavia sono divelti o nascosti) e alla totale assenza di fonti d'acqua potabile (io non le ho viste, e se serve un rabdomante per trovare un goccio d'acqua, c'è qualcosa di sbagliato).
 
Per ora chiudo qui. C'è la pronta, da qualche parte all'interno della scatola cranica, la lista di recensioni dei libri letti. Devo trovare il modo di farla uscire.



09 febbraio 2012

La pratica del freeride e della medicina.

Il clima mite che dicembre ci aveva inaspettatamente regalato non sarebbe potuto durare a lungo, e come biker lo sapevamo, incollati alle previsioni meteo sul web e in TV. La neve, per quel sabato di fine gennaio, era prevista a bassa quota dalle 11 dal mattino. Eppure, guardando il cielo ancora sgombro di nubi, volevamo concedere ancora una volta una chance alla buona sorte anziché alla scienza della meteorologia.
"Figuriamoci se nevica già stamattina, e alle 11. I meteorologi sono approssimativi, si sa", penso.
Il programma è di quelli in versione ridotta, quando devi proprio essere seduto a casa per pranzo, doccia già fatta e zaino svuotato, senza appello.
"Saliamo a Superga da Moncanino, vediamo com'è su e scendiamo o dal 29 o dal 600", dico io.
"Il 29 no, che ormai ci manca solo la moquette", dice lui.
Lui è un amico con cui pedalo, e mentre ci arrampichiamo sul sentiero verso la panoramica, con le dita congelate e la schiena sudata, mi chiedo se hanno proprio tutti torto quelli che, in questo momento, stanno bevendo il cappuccino al bar.
Alle 11 siamo in cima. Ci fermiamo un minuto per rivestirci prima della discesa e cadono i primi fiocchi di neve. Sono le 11 e 00 e nevica. La neve ce l'aveva, quest'appuntamento. Mi figuro una schiera di meteorologi che ridono e si danno il cinque.
Il problema di Superga è il fondo. Per me è un mistero. E' viscido anche a luglio. Puoi trovare pozze di fango scivoloso come la cera per pavimenti anche se non piove da settimane.
La discesa si fa sulla 600, lungo il Sentiero degli Alberi. Appena perdiamo qualche metro di dislivello, la neve si trasforma in precipitazione meno solida e va a nozze con il fondo. Dopo aver chiuso, più per un caso fortuito che per tecnica, due tornantini in discesa, il sentiero diventa un single track in pendenza costante e si prende velocità. I freni è meglio non toccarli. Si sa che i Formula hanno un caratteraccio.
Poi arriva lei. E' la cunetta di fango che prende l'anteriore e lo porta a fare un giro dove non dovrebbe. In una frazione di secondo mi rendo conto di due cose: la prima è che non sto cadendo, sto volando; la seconda è che l'atterraggio farà più male del volo.
Così è. Mentre la bici prende una traiettoria che non avevamo concordato, il mio goffo tentativo di vincere la forza gravitazionale si conclude nella gola sotto il sentiero, contro il tronco di un albero; le mie costole contro la tua corteccia, mon cher ami.
Primo pensiero: "La bici, cazzo". Secondo pensiero: "Basta che non sia una vertebra, il resto si aggiusta".
Quando il mio sodale mi aiuta ad uscire da quel mezzo fossato, la bici è adagiata comodamente su un morbido letto di foglie e muschio profumato. A me manca il fiato e fa male un po' tutto. E piove, sempre più forte.


D'altronde, nella pratica del ciclismo si deve tenere in conto che qualcosa, prima o poi, interrompe quella fragile magia che è il nostro equilibrio; le cicatrici e i dolori sono lì a ricordarmelo.
E quando i dolori si fanno più intensi, decido che forse è il caso di dare un'occhiata alle ossa; sulla prescrizione si chiama RX torace.
Il medico radiologo, in forza al megapoliambulatorio convenzionato, che mi referta la lastre ha, a occhio e croce, dieci anni meno di me, una bella barba folta e un meraviglioso taglio di capelli alla moda. Bofonchia qualche termine gergale, che ovviamente non capisco, ma io so che la sua mente è altrove, che pensa all'happy hour e alle notifiche di Facebook. Sul referto c'è scritto "All'attenzione del medico curante", e questa non è una bella notizia.


Il mio dottore è un bravo dottore, ne sono certo. Ma ha molti mutuati, moltissimi, e poco tempo. La sala d'attesa è sempre gremita di pensionati ultrasettantenni in perfetta salute che si sbranano come pitbull in un incontro clandestino per passarsi l'uno davanti all'altro, anche se si va su appuntamento.
Il dottore non l'ho mai sentito parlare, né ascolta quello che gli si dice.
Abbiamo un accordo: si deve portare un foglio di carta con scritto il sintomo, vero o presunto; il dottore prende il foglio di carta, lo legge, e a seconda dell'uso che ne fa, si ottiene diagnosi prognosi e terapia. Se il dottore ne fa un aeroplanino e lo lancia verso l'armadietto dei medicinali può essere bronchite guaribile in giorni 5 con un fluidificante oppure infiammazione del nervo sciatico guaribile in giorni 7 con riposo e un antinfiammatorio. Se trasforma il foglio in una barchetta è quasi sicuramente una lieve forma di allergia alle graminacee, se può vada al mare, beato lei, io non ho ferie fino alla terza di agosto, e così via. Una specie di oracolo del sistema sanitario nazionale.
Questa volta non ho fatto a tempo a preparare il foglio e devo, mio malgrado, parlare. 
Espongo subito le radio e il referto, e pronuncio il numero massimo di parole consentite: Buonasera, esiti di trauma da caduta durante attività sportiva non agonistica. Dono della sintesi.
Lui è costretto ad ascoltare e a parlare. Una tortura. Guarda le lastre contro la lavagna luminosa, non legge il referto e, gesto inedito, si alza per tastarmi il torace.
"Caduto dagli sci?", mi chiede. In effetti, fuori c'è mezzo metro di neve.
"Dalla bici, dottore", rispondo io.
E qui accade l'imprevedibile.
Il dottore fa un passo indietro, sgrana i suoi begli occhi azzurri, che sembrano invasi da una luce nuova, inclina un po' il capo verso di me, e chiede: "Dalla bici? E' caduto sul ghiaccio?"
"Sul fango, dottore. Sono volato contro un albero. Più che altro ero preoccupato di aver fatto qualche guaio... alla roba molle che c'è lì dentro", dico io.
Ho usato l'espressione roba molle che c'è lì dentro. Ma si può essere più ignoranti? E usare i termini organi e tessuti, no?
Il dottore non si scompone. "Stia tranquillo, nulla di grave", dice, ma la sua mente è rapita da altro.
"Dov'era?", mi chiede.
"Superga, sopra Rivodora", rispondo.
"Rivodora... lì... ci sono anche dei rii... Con la bici, eh... E' caduto in acqua?", mi chiede, sinceramente ineteressato. Nei suoi occhi si intravede un sottile velo di malinconia, come un fantasma delle occasioni perdute nella routine della vita.
"No dottore, ma a pochi metri dal rio", rispondo. In quel momento, capisco che non gli è estranea la pratica del freeride, al pari di quella, nobile, della medicina.
Mentre mi rivesto, lo sento parlare tra sé "...in bici, Rivodora... la discesa!". Con un gesto a lui alieno mi accompagna verso l'uscita, facendosi largo tra la folla di ottuagenari che mena fendenti a destra e a manca e usa la dentiera come un improvvisato tirapugni.
"I sentieri di Superga... in bici!", mi dice candidamente, stringendomi la mano. E' il suo nobile commiato. Con quella stretta di mano, in realtà, mi sta già guarendo. 
Scendo le scale dell'ambulatorio ascoltando i miei passi scricchiolare sulla neve. 

31 marzo 2008

La notte, soprattutto, non sono sicuro di voler crescere.

E' così buio che a stento distinguo i contorni della mia camera. Ma vedo splendere gli indici al fosforo del mio orologio Seiko: posso seguire la lancetta dei secondi che descrive la sua orbita sul quadrante.

E' silenzioso, qui. Uno dei vantaggi di vivere in una strada di periferia abbastanza brutta perché la maggior parte delle persone dotate di buon senso la eviti preferendo il giro più lungo, è che, appunto, le persone la evitano, e con le persone, le loro rumorose automobili. Silenzio appunto.

Stanotte sono particolarmente fortunato perché sta piovendo. Acqua che scroscia. Scrosciare di gocce sul pavimento dei terrazzi e sulle tegole del tetto. Plic plic plic. Sempre più forte. Da qui si sente solo la pioggia cadere e, se avvicino abbastanza il polso sinistro alla mia testa, il ticchettio del mio Seiko.

Fortunato, già. Sono in pace mentre ascolto la pioggia che cade. Egoisticamente, perché cade fuori e non mi tocca. Come se fossi lo spettatore, protetto e al sicuro, di un evento tragico e spettacolare, ma che non mi può toccare.

Spesso, negli attimi che precedono il sonno, mi domando se e quanto sono cambiato. E' proprio la notte che mi fa pensare che da anni qualcosa è cambiato: la città che vedo quando apro le finestre al mattino, il lavoro che faccio, i volti che incontro. Parrebbe tutto molto diverso. Ma poi non è proprio così.

Torino ha - rispetto a Genova - delle strade belle larghe, e mi piace attraversarle di notte in auto, guidando in quinta con appena un filo di gas e ascoltando musica. La playlist della mia autoradio cambia nei nomi ma non nei fatti. Mi piace sapere che quando giro la chiave per avviare il motore, ci sarà l'attacco brutale di Phil Anselmo in The Great Southern Trendkill. Il brano va ascoltato così: volume alto, diciamo 5,5 su 10 in un'autoradio di normale potenza, bass: +2, treble: +6, loudness: on. L'attacco dev'essere forte e compatto, deve dare la sensazione di sbattere a tutta velocità contro un muro. Insomma non dev'essere una cosa da signorine.

Si può variare. In Corso Grosseto, ad esempio, ascolto spesso i Baroness e i Mastodon. Li ho scoperti da poco, durante un tentativo di svecchiare la mia collezione di heavy metal, ferma - a occhio e croce - alla fine degli anni '80. I Mastodon mi piacciono perché sono grossi e violenti, ma mi sembrano pur sempre dei ragazzini che stanno in piedi sulle spalle degli Anthrax, degli Slayer e dei Carcass. Addirittura dei Detestor, che il Signore li abbia in gloria: li seguivo come un fan nei peggiori stage genovesi e poi fino nelle sale prova di Staglieno.


Mastodon - Mother Puncher (live)

Tutto questo al buio, con la pioggia là fuori, gli indici luminosi che vanno avanti, lenti, sul quadrante del mio Seiko. Tic tac, tic tac. Tutto questo NON è molto nuovo, penso. Gli Anthrax, mio Dio. Le sale prova di Staglieno.
Signore e Signori, benvenuti nei tardi anni '80. Prego, accomodatevi su queste sedie di legno, appoggiate pure le vostre Converse AllStar nere su questa pila di vecchi Metal Hammer, e parliamo di pre Marshall zanzarosi e locali che sanno di sudore e Diana Blu.

Piove, appunto. Domani non mi sveglierò tanto diverso. No, non sarò un posato trentaduenne ambizioso e sgomitante, non mi fermerò davanti alla vetrina di Pignatelli a vedere un completo blu, non farò pensieri lontani e profondi. No no. Credo che farò altro.

12 febbraio 2008

Di ritorno dal Brasile.

Ok, ci ho messo un po' per rientrare in possesso delle mie facoltà grafiche (nel senso di scrivere, non di disegnare: non sarei capace di fare un cerchio con un bicchiere) ma rieccomi qui.
L'esperienza brasiliana è stata più che positiva, anche (o soprattutto) dal punto di vista professionale. Il mio speech - gratia dei - ha ricevuto plausi e consensi, anche con email nei giorni dopo la conferenza.
Hi Giuseppe, Nice to receive a message from you, I would like to congratulate you for the best presentation in the congress, I really didn't like most of the presentations, yours was very interesting
Fa sempre piacere.
Non starò qui a fare il report del congresso, è chiaro.

Rio.
La trasferta è stata abbastanza lunga da permettermi di vedere e capire abbastanza bene Rio -- ovviamente le parti di Rio comprese nei circuiti turistici e considerati sicuri.

Già, perché a detta di tutti (dalla Lonely Planet ai locali ai connazionali di stanza in Brasile) il problema della sicurezza è particolarmente sentito.
E' sufficiente fare quattro passi a Ipanema o Copacabana per rendersi conto che tutti gli edifici residenziali, di lusso e non, sono circondati da grosse, robuste e alte sbarre, e sorvegliati da vigilantes privati.

Io questi quattro passi li ho fatti e, ad eccezione di un piccolo e sventato tentativo di furto, posso dire che non mi è successo nulla. Ho preferito evitare il tour nella favela sia perché il loro maggior pericolo è rappresentato da possibili interventi di corpi scelti della polizia (e quando capita, non devi pensare ad un'operazione dei carabinieri: immagina di trovarti all'improvviso in mezzo ai bombardamenti di Beirut, mi avvisava un collega) sia perché il giro turistico tipo zoo in mezzo alla miseria e a situazioni disagiate, per poi tornarsene all'aria condizionata della stanza d'albergo, mi sembrava superfluo e irrispettoso.

Archiviata la questione sicurezza, è impossibile non farsi sorprendere dalla geografia bizzarra di questo luogo. Una vista dall'alto (dal Pan di zucchero o dal Corcovado) danno un'idea della straordinaria disposizione di mare, colline impervie, grattacieli, baraccopoli, foresta.





Il carnevale








A rischio di essere davvero banale, non posso esimermi dallo scrivere due parole sul carnevale di Rio. Il 2 febbraio ero al Sambodromo. Per chi non lo sapesse, la serata più importante sarebbe stata domenica, con la sfida tra le scuole di samba di prima categoria. Ma per chi non ha mai assistito a uno show del genere, anche la seconda categoria è decisamente sorprendente, come è sorprendente il tifo della gente per questa o quella scuola di samba, ciascuna con la propria canzone e i propri colori.
Ma lo spettacolo nel Smbodromo è solo uno degli aspetti del carnevale perché per tutti il periodo, le strade sono invase da blocos, parate di quartiere con carri allegorici, tematici (come Simpatia) o semplicemente camion stracolmi di carioca e altoparlanti: mentre i carri attraversano a passo d'uomo l'Avenida Atlantica con la musica a volume altissimo, centinaia di locali, turisti, famiglie, ricchissimi e poverissimi, bambini e anziani ballano, cantano e bevono fiumi di birra (Skol, per la precisione). Date le proprietà diuretica della birra, la spiaggia si riempie ben presto di uomini che senza molti pudori svuotano la vescica guardando l'oceano.

Ecco, ora faccio la sintesi.
Il Brasile mi è parso mediamente povero con i divari tra molto ricchi e miserrimi consueti in queste latitudini. Però una cosa l'ho notata, camminando per le strade o prendendo il sole sulla spiaggia di Copacabana: i bambini, indipendentemente da etnia e condizione, non fanno i capricci.

Si potrebbe continuare a lungo. Il web è già abbastanza pieno di ovvietà.
Ah, foto mie zero. Onde evitare furti e relative conseguenze, la macchina fotografica è rimasta a casa.

03 gennaio 2008

La neve fa quello che può.


Vedute di Borgonuovo di Settimo Torinese (TO), 3 gennaio 2008.

Il 2008 inizia così, con una bella spruzzata di neve sulla periferia di Settimo Torinese (come in molti altri luoghi del centro nord). Ovviamente la foppa di cui sopra non ha alcuna velleità artistica (ci mancherebbe): sono due scatti fatti in fretta e furia mentre la caffettiera era sul fuoco. Mi bastavano per ricordare questo risveglio.

La neve ha sempre avuto il compito ingrato di mascherare gli errori e le brutture dell'uomo. Ma non è nevicato abbastanza, a Settimo, questa notte. Camminando verso l'auto parcheggiata per strada, i miei passi scoprivano l'asfalto coperto da uno strato troppo sottile di neve, mostrando il bitume bagnato, scabroso e grigio.

Non mi interessa né intendo scrivere uno bilancio dell'anno passato. Dio me ne scampi. Ci sono stati eventi personali troppo belli e importanti per stilare una banale lista a mo' di servizio di fine anno della CNN.

Tuttavia, la neve che per poche ore ricopre le strade le case le auto in sosta, e si spazza via con la suola delle scarpe, continua a tornarmi in mente. Sta diventando una piccola ossessione. Molti aspetti della mia vita di migrante possono essere riassunti e descritti con la metafora della neve sottile. Ho dovuto rassegnarmi di fronte all'evidenza di una rete sociale di amicizie che va via via riducendosi per dimensione, portata e affidabilità, come se le maglie diventassero progressivamente più larghe perché alcuni nodi stano cedendo o si sono già rotti. Così, un'amara solitudine di fondo ha preso il posto delle belle parole del passato.

Penso di avere, in alcuni momenti, mitizzato e idealizzato la mia provenienza: la città dove sono nato e vissuto, le persone che ancora sono là perché vi sono tornate o non si sono mai mosse. Ho a lungo sperato che tutto ciò per cui ho speso impegno e energia - principalmente mantenere in vita amicizie geograficamente remote - avrebbe dato, un giorno, i suoi frutti. Già: come il grano sotto la neve. Avevo la speranza che, una volta disciolta la neve, il grano uscisse dalla terra e portasse frutto, e con il frutto il pane. Invece, spostando di poco la neve, non è sempre terra fertile quella che si vede, ma asfalto e cemento. Duro, grigio, senza vita.

La neve fa quello che può, e rende tutte le cose uguali per forma e per colore: coperta di bianco, la mia vecchia auto non è così dissimile dalla Lexus parcheggiata accanto; le strade della periferia dove vivo sono bianche come quelle del centro. E' già pomeriggio, e continua a scendere, lenta e silenziosa. È tutto bello, qui intorno, finché non si scioglie.

La vita, la vera vita senza speranze ingenue, inizia quando il sole o i passi portano via lo strato sottile della neve di gennaio, e scoprono le cose per quello che sono. Asfalto, rifiuti, e qualche erbaccia.

27 dicembre 2007

Auguri via SMS: ha funzionato!

Eccellente. Questo Natale ho ricevuto solo 3 o 4 SMS con auguri generici (peraltro da mittenti all'oscuro o quasi del mio blog).

Ne deduco due opzioni possibili:
  1. tra gli amanti del VUOI INVIARE QUESTO MESSAGGIO A TUTTA LA TUA RUBRICA? ci devono essere quei 5-6 lettori del mio blog; oppure:
  2. quest'anno sto sul cazzo ad un numero di persone superiore all'anno scorso, per cui in pochi si sono presi la briga di augurarmi UN SERENO NATALE E UN FELICE ANNO NUOVO.
E devo dire che entrambe le possibilità mi fanno molto, molto piacere.

21 dicembre 2007

Auguri via SMS: manca poco...

Come ogni anno, come ogni vigilia di ogni Natale, tra poche ore inizieranno gli invii massivi di SMS con auguri generici e preconfezionati del tipo "one size fits all": un bel testo del tipo:

nome lui + nome lei + nome eventuale/i figlio/i augurano un Sereno Natale e un Felice 2008!!

inviato al 85% dei contatti sulla rubrica, con grande generosità di maiuscole (Sereno, Felice... ma perché? gli aggettivi si scrivono minuscoli, in italiano...) e fregandosi le mani per l'eccezionale affare fatto comprando quella bella carta auguri timvodafonewindtrechiamatuttiscriviatutti.

I più sbrigativi, e ci sono sempre, useranno lo stesso messaggio già inviato l'anno precedente e salvato nella cartella Modelli. Sbadatissimi, invieranno gli auguri per un Felice 2007 o 2006, Dio solo sa.

E come ogni anno, come ogni vigilia di Natale, il sottoscritto leggerà ed eliminerà, senza rispondere, tutti questi bei messaggi, alla stregua delle tante email con l'allegato in Powerpoint e Oggetto:

FW:I:I:FW:FW:FW Bellissima!!!!!! Fatela circolare!!!!!

che ogni giorno transitano direttamente dalla Posta in arrivo al Cestino (sì, maiuscoli, per compiacere i più), senza passare dal via né ritirare le 20.000 lire (pari a 10,32 €).

È Natale (maiuscolo, perché festività religiosa) e siamo quasi tutti più buoni. Io sono lo stronzo polemico pignolo di sempre, e anzi: un po' più rincoglionito per il passare degli anni. Un conservatore: eliminerò quest'anno i vostri auguri di cui sopra proprio come l'anno scorso.

Perché se non trovate nemmeno 10 secondi per pensare a me, a chi io sono esattamente, a quello che penso, alle mie speranze, alla mia vita, me lo spiegate che cazzo mi scrivete a fare?

PS: ho appena ricevuto una email di auguri del tipo NataleGioiaFelicità da una certa Maria ma firmata Francesco. Cazzo, almeno togliere il precedente mittente...

12 dicembre 2007

La fine della benzina.

Lo sciopero dei camionisti di questi giorni ha avuto come prime ripercussioni l'aumento del traffico dovuto ai blocchi nelle autostrade e la mancanza di benzina (che viene trasportata su gomma).
Da ieri si vedono lunghe file di automobili all'entrata dei distributori e malinconici cartelli che dicono GASOLIO ESAURITO.
Si tratta di una mancanza temporanea. Credo che nei prossimi giorni i trasportatori torneranno a guidare e a riempire le pompe dei distributori forse la prima volta che abbiamo la grande opportunità di riflettere su un fenomeno che, prima o poi, affronteremo: la fine dei combustibili fossili.
Dapprima non sarà una vera e propria fine, ma quando il prezzo del greggio supererà le soglie di sopportabilità (150-200 $ al barile), l'acquisto del carburante per trasporti diventerà impraticabile per i redditi medio bassi.
In mancanza di carburanti o vettori energetici alternativi e largamente disponibili, quello appena descritto è un trend difficilmente scarsamente controvertibile.
Mi resta difficile spiegare a me (e in queste righe) la percezione di un fenomeno parallelo: aumentano le pubblicità di automobili. A me pare che, a differenza di qualche anno fa, i car maker siano diventati i più grandi buyer di spazi pubblicitari in TV e sul web. Mi sembra che in prima serata su reti pubbliche e private ci siano solo automobili. Sono cambiate, ovviamente, le parole chiave: è tutto un ecologia, economia, garanzia, efficienza nei consumi, sicurezza attiva e passiva.
La potenza in cavalli (termine ormai desueto ma appartenente all'immaginario simbolico popolare) campeggia in scritte più o meno piccole, ma le potenze specifiche - grazie anche agli investimenti nei motori diesel, sono sempre più alte: per me, con i miei rudimenti di termodinamica, è difficile persuadersi che un motore da 200 CV consumi poco e inquini di meno. Parimenti mi sembra che i veicoli ZEV o LEV rimangano belle fotografie sulla stampa specializzata e che le soluzioni ibride o alternative siano a metà strada tra la concept car e il lusso per pochissimi, come la Toyota Prius (che, a vedere l'indicatore del consumo istantaneo, pare aver bisogno di un bel po' di carburante per muovere quelle 2 tonnellate di stazza).
Fra qualche ora o giorno, precettati i camionisti, troveremo di nuovo benzina e gasolio alla pompa. Probabilmente con prezzi ancora maggiorati: già oggi per 15 litri di super non bastano 20 euro. Ma la coperta diventa ogni giorno sempre più corta e prima o poi dovremo affrontare seriamente il fatto che è vicina l'ora in cui resteremo tutti, o quasi tutti, al freddo. Nel vero senso della parola.

11 dicembre 2007

Centomila chilometri (100.000 km).

Ci siamo. La mia Ford Ka 1.3 del 1998 ha raggiunto la meta dei 100.000 km. Meta virtuale perché i chilometri reali sono molto di più, forse 150mila. In foto si vede che le cifre non sono allineate causa manomissione.

Torniamo indietro di qualche anno. Poco esperto ed appassionato di motori, ho scelto questa macchina (di provenienza spagnola) comprandola usata da un grosso concessionario di Genova. Il contachilometri indicava 33.600 circa, ma poco tempo dopo ho avuto la conferma che la buona vecchia abitudine dei venditori d'auto di abbassare il chilometraggio è ancora in ottima forma. Ma lasciamo perdere. Non è di quegli sciagurati bugiardi con il cravattone giallo, il gel nei capelli e le scarpe a punta che voglio parlare.

Diciamo che questi benedetti 100 o 150 mila chilometri sono stati percorsi pressoché a cofano chiuso, tipo test Quattroruote (nessun intento scientifico: solo taccagneria). Perché se eccettuiamo il cambio di olio motore, 4 ammortizzatori, 2 freni, un paio di filtri aria e olio e di 4 candele, davvero non rammento interventi seri. E' tutta così come mamma l'ha fatta.
Voglio dire, quando la porto dal meccanico, un bravo cristo di San Mauro, lui mi dice che l'auto va benone. Se lo dice lui.

Certo, ogni tanto il regolatore del minimo (o la valvola cut off o chissà cosa) va in ferie, tenendo l'auto accelerata o facendola spegnere, e anche la scatola dello sterzo mi dà discreti avvertimenti che desidera essere sostituita. E forse i più raffinati potrebbero provare un po' di fastidio per via dei sedili umidi (ma da dove caspita entra tutta quest'acqua?).
Ma alla fine sono inezie.

Mi sono spesso domandato, negli scorsi anni, che sarebbe successo alla soglia psicologica dei 100.000 km. Beh, non è successo proprio nulla. Anzi, ho dovuto fermare l'auto a bordo strada per scattare una foto al contachilometri. Lei mica lo sa che ha 100.000 km. Non è come una donna alla vigilia del quarantesimo compleanno, con dubbi domande e speranze.

Il mio amico Fulvio, che ha una vecchia Opel, mi ha raccontato di aver fatto una cosa bellissima allo scatto dei 200.000 km: fermo su una piazzola di sosta della Genova-Rosignano, è uscito dall'abitacolo, ha stappato un mignon di spumante e aperto una piccola SacherTorte, per festeggiare l'evento. Fermato dalla Stradale, ha spiegato il motivo e ha pure fatto la foto di gruppo. Gliela devo chiedere, uno di questi giorni.

Insomma, dove voglio andare a parare? No, non è uno spottone Ford per la serie le auto migliori del mondo. Vedo però che frizione e distribuzione sono originali (ovvero ci hanno quei km sul groppone) e non sembrano voler girare l'occhio da un momento all'altro. Ogni anno passa il test sui fumi di scarico (ovviamente considerando buoni i parametri che il governo considera come non nocivi), non brucia olio, non fa le bizze.

E' una compagna molto fedele. Troppo vecchia e brutta per attirare l'attenzione dei ladri, troppo Euro2 per poter circolare liberamente senza incorrere in sanzioni di questo o quel governo, troppo stinta per essere una macchina rossa (AndreaD mi dice le macchine rosse vanno più veloci). Ma quando si tratta di trottare su e giù per la Sardegna con 40° all'ombra o portarmi a sciare sulle Dolomiti, poverina, non ha mai fatto una piega.

Ecco, non sono andato a parare proprio da nessuna parte. Ma che importanza ha, dopo tutto?

07 dicembre 2007

Gleemen. Genova, giugno 2007.

Se non sapete nulla, ma proprio nulla, di Bambi Fossati, Gleemen e Garybaldi, fate penitenza e guardate questi video.





Bambi, sapessi quanto mi mancano le tue sgridate e i tuoi sorrisi.

18 novembre 2007

Il rally di Bonnanaro.

Lo scorso agosto il mio amico Antonio, provetto pilota di rally, mi ha portato ad assistere ad una gara organizzata in maniera artigianale a Bonnanaro.
Quel giorno ho imparato due cose: che cos'è il paesaggio berchiddese e come un semiasse si può infilare nel cambio di una Nissan Sunny, con risultati disastrosi.
Ma Antonio è anche un provetto meccanico e giura di aver già trovato il modo di riparare la malcapitata vettura.

Ecco la Nissan di Antonio pronta per affrontare la gara.

Ed ecco il vostro a cavallo di una minimoto. Notare il cappello fantozziano.

Ebbene, ecco una piccola striscia che racconta quella fantastica giornata.
Dedico questa paginetta ad Antonio e a AndreaD che tanto vuole queste foto.

03 settembre 2007

Sono a Venezia.

Per l'esattezza alla 64 mostra del cinema. No, Brad Pitt non l'ho visto. Mi è passato accanto Tinto Brass con il sigaro cubano e poco fa pare che ci fosse Richard Gere dentro a una Lancia con i vetri oscurati.

02 luglio 2007

Settimo City Limits.

Piove a dirotto. Sento l'acqua cadere sulla periferia, lavare via la polvere dai tetti delle fabbriche.
Mi tornano in mente un sacco di cose, di persone.
Allora prendo la chitarra e registro qualche idea. Alla fine mi rendo conto di aver registrato anche molti, troppi errori.
Quando ho finito, apro la finestra, e guardo la città, lontana. Lo scroscio della pioggia si mischia alle mie note, ma io smetto di ascoltare l'una e le altre.
La notte serve anche a questo.

Settimo City Limits.mp3