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09 marzo 2012

Nando Dalla Chiesa, Lo statista Francesco Cossiga

Nando Dalla Chiesa è un professore e come tutti i professori che scrivono libri non riesce ad esimersi dal:
1. sfoggiare una non comune cultura e un eloquio cattedratico;
2. trasformare la bibliografia nella consueta gara a "chi ha letto di più" (il lettore può chiedersi se le opere di Shakespeare sono pertinenti ad un saggio su un presidente emerito della Repubblica).
Fine della premessa e delle critiche. Perché "Lo statista" è un saggio di sicuro interesse e una lettura appassionante. E' un libro -- ed è forse la qualità che apprezzo maggiormente -- di parte, nel senso che prende coraggiosamente (e con veemenza) una posizione ben chiara. Contro chi? Con poco spirito di corpo (l'autore è anche giornalista), il bersaglio principale di qesto saggio sono i giornalisti, la stampa, i mezzi di comunicazione, gli opinionisti che per decenni hanno sempre guardato con immeritata indulgenza e complicità cameratesca alla serie di atti e comportamenti ben poco istituzionali che Francesco Cossiga ha agito nella sua lunga carriera politica (parlamentare, sottosegretario, ministro, presidente della repubblica, senatore).
Per il mio diciassettesimo compleanno ricevetti un regalo che per me rappresentò una parte importante della mia formazione politica: La vendetta di Disegni e Caviglia, un libro che raccoglieva le strisce pubblicate su Cuore e Satyricon. Erano i primissimi e, inutile dirlo, le esternazioni di Cossiga trovavano ampio spazio nei mezzi di comunicazione; ma devo dire che se già allora giornali e tv mi sembravano scarsamente critici nei confronti di un presidente che, tra l'altro, era appena diventato protagonista del caso Gladio (un'iniziativa che di costituzionale ha ben poco); e trovavo invece nelle strisce di Disegni e Caviglia quella lucida cattiveria e quel richiamo alla ragione e alla coscienza che non trovavano spazio nelle pagine dei quotidiani. Nelle vignette, Cossiga era sempre rappresentato come un matto, ossessionato dalle cose militari (intento a giocare con i soldatini), dagli autonomi e dalla magistratura, e assistito amorevolmente da due corazzieri-badanti che lo inseguivano nei giardini del Quirinale.
Ecco, leggendo "Lo statista", mi sono tornate in mente quelle strisce che avevo imparato a memoria, quella rara testimonianza di quanto l'autore Nando Dalla Chiesa raccoglie meticolosamente nel suo libro, rammentando al lettore, pagina dopo pagina, i misfatti di questo politico che ha vissuto benissimo tanto nella Prima e quanto nella Seconda Repubblica, arrivando a ricoprire la carica più alta dello stato e tessendo al contempo alcune delle trame più anti istituzionali della nostra storia (gli attacchi alla magistratura, il ruolo nella struttura Gladio, le esternazioni opache sulla stagione delle stragi, le posizioni discutibili durante il rapimento di Moro, il ricorso al torpiloquio e alla stigmatizzazione degli avversari).
"Non mi mancherà", scrisse l'autore alla morte di Cossiga. Una frase che mi piace e forse l'unica (una delle poche) fuori dal consueto coro che si era levato all'indomani della scomparsa dell'ex preseidente: rammento che nelle pagine dei quotidiani e ai TG fu un rincorresrsi di ricordi (veri o presunti) da parte di amici (veri o presunti) e conoscenti, un cordoglio nostalgico, una nuvola d'incenso che spazzava via il puzzo di zolfo.
Non sarà stato Belezebù, quello è il ruolo del divo Giulio; ma non era un santo né un eroe. Eppure, per decenni, è stato in grado di strappare occhiate ammiccanti e sorrisi di compiacimento al nostro debole quarto potere, un complice, democratico pubblico plaudente.

17 febbraio 2012

G. Ayala, Chi ha paura muore ogni giorno.

Partiamo dalla fine: il libro non mi è piaciuto particolarmente; mi ha lasciato insoddisfatto rispetto alle aspettative che mi ero creato per il titolo e la sinossi. Ritengo che l'opera letteraria di Ayala (i cui meriti professionali non sono in discussione) sia in qualche modo un risultato, se non modesto, quanto meno non eccezionale per due motivi principali:
1. L'eccessiva autoreferenzialità della narrazione. E' vero che il sottotitolo dovrebbe giustificare i continui e compiaciuti riferimenti ai meriti dell'autore, ma -- come dicevano i saggi -- chi si loda... Ne emerge un racconto che, pagina dopo pagina, si fa un po' prevedibile e quasi infantile, con espressioni  "tutti i commenti erano per me...", "aveva per me un vero affetto", "anche quella volta avevo capito tutto". Ammetto di nutrire sempre un po' di sospetto verso chi cerca di portare prove e giustificazioni per affermare la propria autorevolezza: se c'è, si percepisce.
2. Lo stile "burocratese" della narrazione. La sensazione, arrivati all'ultima pagina, è che il dott. Ayala abbia scritto questo volume come ha scritto migliaia di pagine nella sua lunga carriera di magistrato. Se a questo si aggiungono i riportati di conversazioni tra colleghi, che l'autore non è riuscito a tradurre in dialoghi propriamente hemingwayani, ecco che la narrazione si fa faticosa, prevedibile, pedante.
Sollevato il velo stilistico, rimangono senz'altro i pregi della divulgazione di un capitolo fondamentale della nostra storia recente, la prima vera lotta dello Stato contro la mafia, vista dalla sua genesi, durante la sua massima forza (come il maxiprocesso) fino al suo declino, forse la parte più interessante per il lettore che può scorgere, nei capitolo conclusivi, il lavorio di un altro Stato, opaco e reazionario, quasi un'entità parallela impegnata nel disperdere la squadra di magistrati che aveva per prima, e a carissimo prezzo, osato sfidare cosa nostra, la sua struttura, i suoi giganteschi interessi economici.

06 giugno 2011

Giacomo Pacini, Le organizzazioni paramilitari nell'Italia Repubblicana (1945-1991).

Desideravo da tempo approfondire la conoscenza sulla genesi e sulla organizzazione delle strutture paramilitari sorte nell'Italia repubblicana, in genere in funzione anticomunista. Il volume di Pacini, edito da Prospettiva nel 2008, è un progetto ambizioso e davvero ben documentato che però non raggiunge completamente l'obiettivo prefisso né soddisfa le mie aspettative di lettore.
Il pregio di questo libro è senz'altro la vastissima ed organica ricerca documentale che va ben oltre i testi consueti reperibili nelle bibliografie dei saggi in tema di Gladio e strutture Stay behind affini. La quantità di fonti consultate e verificate con impeccabile metodo scientifico è uno sforzo encomiabile e dubito esistano trattazioni così dettagliate sulle formazioni di origine partigiana che presero vita nel dopoguerra per contrastare l'influenza e il pericolo del regime comunista jugoslavo ai nostri confini orientali.
Tuttavia, il testo ha due principali difetti o mancanze. La prima, più grave, è una incompiutezza, per così dire, sulle vicende più recenti relative a Gladio: se, da un lato, le informazioni sulla nascita di questa struttura sono moltissime e davvero dettagliate, dall'altro ho trovato poco approfondita l'analisi della sua evoluzione, della sua organizzazione, dei rapporti con la politica interna ed estera, delle effettive attività svolte durante la Guerra Fredda. Mi aspettavo rivelazioni o conferme sulla vita e sulla condotta dei suoi membri effettivi, o per lo meno sulle attività di reclutamento, addestramento e preparazione in caso di crisi internazionale.
Il secondo aspetto che ho trovato, alla lunga, un po' ostico è l'eccessiva prudenza delle affermazioni: ogni frase, ragionamento, ricostruzione è corredata da una serie di periodi ipotetici, verbi al condizionale, avverbi dubitativi, quasi l'autore volesse sempre mettere le mani avanti su quanto affermato. Lo reputo un atteggiamento scientificamente corretto ma praticamente discutibile poiché la lettura risulta eccessivamente faticosa e l'autore titubante e poco sicuro delle proprie (documentatissime, verificatissime) tesi.
Le organizzazioni paramilitari ha un po' deluso le mie aspettative (almeno quelle nate dalla lettura della sinossi in quarta di copertina) sulle attività sotto copertura delle organizzazioni Stay behind in Italia, e sulla effettiva influenza esercitata sui delicati equilibri degli anni 50, 60 e 70; è invero un testo eccellente per comprendere il contesto storico e geopolitico della genesi di tali organizzazioni.


Scheda
Giacomo Pacini
Le organizzazioni paramilitari nell'Italia Repubblicana (1945-1991)
ISBN: 978-88-7418-532-0
Pagine 219
Euro 12,00
Prospettiva Editrice ed. 2008
Link all'editore

17 maggio 2011

Mimmo Franzinelli, Il piano Solo.

Da tempo desideravo approfondire la mia conoscenza sui fatti dell'estate del '64, segnata da vicende politiche che sono state a lungo avvolte nel piu' fitto mistero e, successivamente, oggetto di interpretazioni non sempre pertinenti. Il riferimento e' al piano di emergenza realizzato e portato avanti dal generale De Lorenzo in funzione anticomunista, e lo spunto lo ha dato il completo e documentatissimo saggio dello storico Mimmo Franzinelli, gia' autore di validissimi testi sul tema dell'eversione nera e dei servizi segreti.
Il sito di Franzinelli raccoglie una vasta rassegna stampa con le recensioni pubblicate su quotidiani nazionali, e rimando a questa pagina chi volesse conoscere nel dettaglio i contenuti del libro e i contorni della vicenda in oggetto.
Mi preme, invece, evidenziare qualche considerazione personale.
La prima e' relativa alla effettiva gravita' delle attivita' segretamente tramate da un ristretto gruppo di potere cui facevano parte il presidente della Repubblica, il citato generale, capi di Stato Maggiore delle Armi, politici di solida (ed enfatizzata) fede anticomunista. Se da un lato, come documentato da Franzinelli, si e' trattato senz'altro di una discutibile e spregiudicata iniziativa lesiva delle liberta' costituzionali di cittadini, soggetti politici, organizzazioni, un'iniziativa che va ben al di la' della consuetudo ad excludendum negli strumenti di democrazia rappresentativa; dall'altro, il saggio mitiga i toni accesi di tanta letteratura che ha sempre descritto il piano Solo come un colpo di stato, sebbene non attuato. Tuttavia, la lettura della vasta selezione documentale, mette in evidenza anche la fragilita' e l'organizzazione un po' approssimativa del piano. Senza citare il solito e comodo "golpe da operetta", e' tuttavia lecito domandarsi quali effetti sarebbero scaturiti da questa azione se il piano fosse stato realmente messo in atto seguendo le disposizioni dello zelante generale. Certo e', ma questo si e' sempre saputo, che la forza dirompente del progetto era insita nella presenza territoriale e nella affidabilita' degli uomini dell'Arma a cui - solo e soltanto - spettavano le manovre.
Il secondo aspetto che emerge con forza dal saggio e' il confronto tra le personalita' dei tre uomini chiave del periodo: de Lorenzo, ufficiale persuasivo, energico e camaleontico; il presidente Segni, quasi ossessionato dal pericolo comunista (ma si dovrebbe rivivere quegli anni per formulare un giudizio piu' corretto), e indubbiamente soggetto all'influenza del generale; infine Aldo Moro, di cui emergono, al di la' delle convinzioni sull'alleanza con socialisti e comunisti, tratti di fragilita' se non addirittura debolezza, un'indole piu' meditativa che attuativa. Il saggio non lesina descrizioni, analisi e ritratti di molti uomini testimoni o rappresentanti, per parte politica, civile o militare, ella crisi del centro sinistra dei primi ani Sessanta.
Il piano Solo e' un testo equilibrato e coerente, corredato da una moltissimi documenti e riferimenti storici e bibliografici, ed da il pregio di dare la giusta dimensione alla vicenda senza trovare facili giustificazioni e senza mai negare il carattere illecito di molti dei suoi aspetti.

Scheda del libro
Titolo: Il piano Solo. I servizi segreti, il centro-sinistra e il «golpe» del 1964
Autore: Franzinelli Mimmo
Editore: Mondadori
Collana: Le scie
Data di Pubblicazione: 2010
ISBN: 8804526629
ISBN-13: 9788804526629
Pagine: 381

22 marzo 2011

Nuovi acquisti per la piccola biblioteca delle trame occulte.

Dopo l'intenso Ombre sulla via della seta di Colin Thubron, autore che apprezzo sempre di più, ho sentito il bisogno di tornare alla mia vera passione di lettore, quella della saggistica e della storiografia contemporanea del nostro Paese.
Gli ultimi acquisti su Amazon sono Il piano Solo, di Mimmo Franzinelli; Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere di Gianni Flamini; e Le organizzazioni paramilitari nell'Italia repubblicana di Giacomo Pacini, autore di cui non ho ancora letto nulla sul tema di servizi segreti, Gladio, colpi di stato; mi aspetto che il libro sia in qualche modo complementare all'insostituibile Gli eserciti segreti della NATO di Daniele Ganser.




Ho appena iniziato a leggere Il piano Solo e lo stile di Franzinelli è subito ricooscibile e apprezzabile. Appena possibile, come di consueto, pubblicherò le recensioni.

04 novembre 2010

Don DeLillo, Cosmopolis.

Chi segue il mio blog e in particolare le recensioni di libri, sa che sono un lettore abbastanza ostinato e determinato a chiudere l'ultima pagina dei volumi iniziati. Questa volta, attratto da un consiglio un po' maldestro, sono incappato in una delle pochissime opere che ho deciso di chiudere e riporre sullo scaffale ancora lungi dall'ultima (penosa) pagina.

Salutato da molti -- non solo dalla marchettara quarta di copertina -- come il capolavoro definitivo del Maestro (su cui non esprimo giudizi in mancanza di una conoscenza più approfondita), ho iniziato a scorrere Cosmopolis con un sensazione di angosciante deja-vu: quella provata durante la (faticosa, estenuante) lettura de L'ammezzato di Nicholson Barker, ambientato, come Cosmopolis, tra le strade di New York.
In mancanza di meglio, entrambi i libri possono essere inseriti nella (temo popolosa) categoria delle pippe mentali. Ma torniamo a Cosmopolis.

Per la trama, vi rimando come sempre al link sopra. Una storia vera e propria non c'è: troviamo l'esile e pretestuoso viaggio in auto del protagonista (una figura innovativa come l'acqua calda: yuppie, palestrato, che scomette in borsa contro una valuta straniera) per le trafficate strade di New York lungo le quali incontra (evento del tutto insensato dal punto di vista del calcolo delle probabilità: siamo a New York o a Vercelli?) le donne della sua vita. Un percorso interiore, quindi, inutile, scontato e lungo come uno sbadiglio. I pochi dialoghi -- non so se per traduzione o in origine -- sono imbarazzanti nel loro manierato artificio; i personaggi sono la quint'essenza dei cliché da film degli anni 80: la fatalona elegante, la guardia del corpo che non sorride mai, il genio dei computer; mi spiace non essere arrivato alla fine per vedere se c'erano anche il nobile decaduto, lo scienziato pazzo e un licantropo.

A cosa serve questo libro? Ha due scopi: farvi addormentare velocemente e poter dire, durante una conversazione, di aver letto qualcosa di DeLillo. La spesa non giustifica lo scopo: le Pagine Gialle sono gratuite e forniscono lo stesso supporto ipnotico, mentre le conversazioni letterarie, ahimé, sono diventate piuttosto inusuali.

Da evitare.

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Scheda libro:
Don DeLillo, Cosmopolis
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Traduttore: Pareschi S.
Pagine: 180
ISBN: 880616466X
ISBN-13: 9788806164669
Data pubbl.: 2003

08 settembre 2010

Fulvio Bortolozzo, Un habitat italiano.

Da trent'anni Fulvio Bortolozzo si dedica con ragionata autorevolezza e viscerale passione all'osservazione e alla descrizione del territorio urbano italiano ed europeo, attraverso la cura di rilevantissimi progetti fotografici (Olimpia, Spina Centrale, Soap Opera, Appunti per gli occhi, solo per citare i più recenti) raccontati sul suo sito e sul suo blog. Fotografo dotato di una straordinaria cultura immaginifica e di indiscutibile padronanza di ogni mezzo tecnico ed espressivo, Bortolozzo consolida una parte importante del suo percorso narrativo con il volume fotografico Un habitat italiano, un'opera di eccezionale valore e qualità, un compendio iconografico per comprendere il nostro territorio urbano e apprezzarne i cambiamenti e le contraddizioni.



Bortolozzo, e gliene siamo grati, ha il grande pregio di non mischiarsi alla (fitta) compagine dei sedicenti sociologi dell'immagine impegnati in un sguaiati reportage di denuncia sociale. Le foto sono state realizzate nel corso del  2008 a Grugliasco, paesone nell'hinterland torinese, quasi un tipo ideale rappresentativo della storia antica e recente del nostro Paese con le sue età: quello che resta delle cascine dell'età agricolo pastorale, gli scheletri delle fabbriche e delle officine dell'età industriale e, infine, gli sgargianti centri commerciali, non luoghi dell'età postindustriale, il tempo di una società che ha smesso di fare e si organizza a vendere.


Educato fin da bambino a posare uno sguardo curioso su territori in continua trasformazione, allora osservati nottetempo dal finestrino di una macchina in viaggio per l'Italia e poi attraverso le sue camere chiare, Bortolozzo ci consegna una visione particolarissima e personale dei luoghi, che esplora passo dopo passo, e ritrae con una forza descrittiva e narrativa mai didascalica.


Lo straordinario rigore formale delle 70 immagini, tutte realizzate su pellicola piana 4x5" con una fotocamera in grande formato, e la perfezione compositiva delle inquadrature non lasciano spazio a messaggi subliminali né a discorsi estetici prestati sovente alle tante politiche della riqualificazione. Bortolozzo, new topographer, ci consegna il territorio così com'è e come lo vede, capovolto nel mirino della sua Tachihara, e come noi forse non riusciamo a vederlo con i nostri passi frettolosi, o rinchiusi nei nostri abitacoli veloci: Un habitat è, in un certo senso, anche una seconda chance per vedere e capire un contesto urbano che si trasforma più velocemente della nostra pazienza e della nostra memoria; un volume che non dovrebbe mancare nello scaffale di un fotografo, anzi: dovrebbe sì mancarvi, per trovare posto, aperto e sempre pronto alla consultazione e all'uso, sulla scrivania.

Un habitat italiano è in vendita on line su Blurb.com, dove è possibile scorrere le pagine in anteprima.



Fulvio Bortolozzo, UN HABITAT ITALIANO. Un incontro: quello tra il mio esistere e una piccola città operaia situata nei dintorni della Torino che tutti conoscono.
120 pagine, 70 fotografie a colori.
Testo in italiano, inglese e francese.

10 agosto 2010

Antonio Pennacchi, Canale Mussolini.

Sono in genere restio a leggere i best seller all'indomani della loro pubblicazione o, ancor peggio, in seguito a premi letterari che spesso si sono attirati (giustamente) critiche e perplessità, ma ho tratto un grande piacere dalla lettura di Canale Mussolini, primo classificato al premio Strega 2010.
La trama, arcinota per il molto spazio dedicato da stampa e crititca, è la storia di una grande famiglia contadina che dal Veneto emigra (per fame, per necessità, ripete spesso l'autore) in centro Italia per partecipare alla bonifica dell'Agro Pontino.
La coinvolgente epopea familiare dei Peruzzi è quasi un pretesto per narrare la storia d'Italia dallultimo governo Giolitti alla Liberazione; in una parola, per parlare dell'Italia fascista dal punto di vista della vita quotidiana della povera gente. La famiglia Peruzzi, invero molto fascista ed attivista fin dalla fondazione dei fasci a Milano, partecipa ai grandi momenti della nostra storia (dalla prima guerra mondiale alla marcia su Roma alle imprese coloniali del Ventennio fino al secondo conflitto) con un cospicuo tributo di figli (legittimi e non) e con un determinismo ineluttabile di chi ogni giorno lotta per la sopravvivenza più che per un'idea.
L'Italia del fascismo è visto quindi attraverso gli occhi dei capofamiglia e delle donne, figure centrali, di questi cispadano trapiantati in mezzo a paludi, zanzare, malaria e propaganda di regime, curvi sulla terra coltivata a mezzadria o per realizzare, pietra dopo pietra, l'opera in cui tutti, dai romani a Napoleone, avevano prima d'allora fallito: bonificare la sconfinata piana dell'Agro Pontino per costruirvi nuove città.
Ma non v'è, tra queste pagine, un tentativo revisionista né la nostalgia del Ventennio, sia detto per chiarezza. Le ultime pagine, memorabile descrizione della liberazione dai nazisti (prima amici e il giorno dopo nemici da combattere), una pagina drammatica e caotica del nostro passato recente, danno forse la migliore interpretazione di quei giorni dal punto di vista del popolo, quello vero, per il quale la terra e le bestie sono gli unici e più preziosi averi, da difendere con la vita, se necessario.
Per Canale Mussolini Pennacchi adotta un registro stilistico interessantissimo, una sorta di monologo con uno sconosciuto interlocutore, contaminando la scrittura con moltissime espressioni del dialetto veneto (tra le migliori: prendersi "la vaca e i vitei" per intendere di maritare una donna che ha già avuto figli naturali da altri uomini, ma ce ne sono a dozzine). La caratterizzazione dei personaggi principali e minori è sempre precisissima, quasi caricaturale.
Un libro da leggere, al di là delle legittime polemiche sui premi letterari e l'influenza delle case editrici.

18 maggio 2010

Edoardo Sanguineti, 1930-2010.

foto Pasquale Palmieri
Addio, sommo poeta.

Grazie, Francesco, per avermelo fatto conoscere.

09 aprile 2010

Colin Thubron, Il cuore perduto dell'Asia.

Mentre concludo la lettura delle ultime pagine de Il cuore perduto dell'Asia, il Boston Globe pubblica sull'inserto The Big Picture un eccezionale reportage fotografico sulla rivolta in Kyrgyzstan in corso in questi giorni.
Thubron ha intrapreso un lungo viaggio nell'Asia centrale attraversando cinque Paesi ad un anno dalla loro indipendenza da Mosca. Muovendosi a bordo dei mezzi più disparati e in compagnia di amici pittoreschi, l'autore racconta la millenaria storia di popoli migratori e di terre intrise di sangue, violenza e magnifica cultura; ma descrive anche una situazione sociale chegià quindici anni fa si preannunciava drammatica, esplosiva.
I personaggi incontrati in villaggi, città e santuari sembrano muoversi sul tragico palcoscenico di una sterminata umanità ormai orfana dei propri valori e privata dei punti di riferimento, e ridotta al soddisfacimento di pochi bisogni primari.
Con il consueto stile elegante, Thubron ci racconta le epiche imprese di Tamerlano, le migrazioni di popolazioni nomadi dalla Mongolia, la strenua resistenza delle religioni, musulmana in particolare, durante lo stalinismo. Laddove lingue, tradizioni, fede e culture si intrecciano resistendo alle dittature e alle guerre, i confini politici tracciati dall'impero sovietico si fanno labili, e sono l'umanità e il senso di appartenenza a stabilire dove finisce un mondo e ne inizia un altro. L'approccio oggettivo, neutro, tutt'altro che etnocentrico dell'autore non impedisce di mettere in luce le snervanti fragilità di popoli fiaccati da un susseguirsi di regimi corrotti e la potenziale pericolosità di dogmi religiosi e mistici ben radicati nei punti più remoti di questa immensa terra.
Ma sono la povertà e la progressiva distruzione di qualunque capacità produttiva (industriale, agricola, artigianale) ad esasperare la situazione sia nelle grandi città, un tempo risplendenti crogioli di culture e oggi abbandonate a se stesse, che negli sperduti villaggi verso il confine con la Cina.
Gli avvenimenti a cui oggi assistiamo ne sono, a distanza di poco più di un decennio, una tragica e prevedibile testimonianza.
Il cuore perduto dell'Asia è un libro eccellente, a tratti perfino leggero tanto da sollevarci lo spirito immerso nella tragedia di una terra che è quasi un continente a sé, ma sempre equilibrato. Una lettura che consiglio vivamente, come il già recensito In Siberia.


Colin Thubron
Il cuore perduto dell'Asia
Trad. di A. Cogolo
pp. 402
TEA Avventure, Prima edizione 2009
ISBN 978-88-502-1868-4

25 marzo 2010

Carlo Brambilla, L' infiltrato. La vera storia di un agente sotto copertura.


Quando i giornalisti si cimentano nel racconto lungo delle "storie vere" esiste sempre il rischio di una perdita della narrazione oggettiva e fattuale che è propria del giornalismo, e di non infrequenti digressioni romanzate. L'infiltrato, ahimè, non si è del tutto sottratto a questo rischio con la conseguenza di rendere un po' mielosa una storia che, di per sé, poteva essere anche di un certo interesse.
Andiamo per ordine. Un sottufficiale dei carabinieri, militare esperto e di lungo corso, lavora da anni in covert operations dell'antidroga. Missioni importanti, senza rete, pericolose da lasciarci le penne ogni quarto d'ora. Missioni silenziose di cui l'uomo della strada non sa nulla ma che hanno ostacolato e ridotto la quantità di stupefacenti, soprattutto eroina e cocaina, smerciata in Italiana negli ultimi quindici anni. Falco, il protagonista delle vicende, si confondeva con i malavitosi, recitava alla perfezione la parte del doganiere connivente, dell'intermediario o quello che la situazione richiedeva, con un altissimo rischio di schizofrenia sociale tanto da perdere la propria identità, la famiglia e, sovente, la distinzione tra il bene e il male.
Il nostro uomo è un tipo in gamba, cosicché porta sempre a casa la pelle, ma gli capita (forse) di peggio: viene incastrato, i superiori non lo difendono, un giudice lo accusa di comportamenti illeciti.
Il libro, che pure si legge volentieri, ha due difetti: a parte una breve descrizione del gruppo ROAD, è povero di informazioni e dettagli sulle strutture operative e sulla loro organizzazione in seno all'Arma. Possibile che si tratti di informazioni riservate, ma non sarebbe stato male avere una visione di massima sui vari reparti e le loro modalità operative. Il secondo difetto, come accennato nelle prime righe, è l'insistenza sugli aspetti privati  del protagonista: l'autore dedica molte pagine a raccontare il suo disagio interiore.
In definitiva un libro discreto, con alcune (poche) rivelazioni sulle operazioni segrete dell'antidroga e sui metodi degli agenti sotto copertura, ma decisamente sbilanciato sulla vita personale del sottufficiale.


BRAMBILLA CARLO
L'INFILTRATO - LA VERA STORIA DI UN AGENTE SOTTO COPERTURA
Editore: MELAMPO
Pubblicazione: 11/2008
Numero di pagine: 232
Prezzo: € 15,00
ISBN-13: 9788889533307
ISBN: 8889533307

22 febbraio 2010

James Frey, In un milione di piccoli pezzi.


Non vi ho nascosto la gradita sorpresa di Buongiorno Los Angeles, con la sua narrazione seducente, lo stile immediato e l'innovativa struttura dialogica. Mi sono buttato con lo stesso entusiasmo nella lettura dell'opera prima e autobiografia di James Frey, In un milione di piccoli pezzi, anche attirato (maledetto sia il marketing dell'editoria) dall'incipit del volume:
Immaginate di svegliarvi in aereo. Immaginate di non sapere da dove siete partiti né dove state andando e di non avere memoria delle ultime due settimane. Immaginate di avere quattro incisivi rotti, un taglio profondo sul viso e il corpo pieno di lividi. Immaginate di non avere né documenti né soldi né bagagli. Immaginate che la polizia di tre Stati vi stia cercando. Immaginate di essere alcolisti e tossicodipendenti da oltre 10 anni. Immaginate di avere 23 anni...
Per la cronaca, il libro si trovava nel reparto tossicodipendenze della Feltrinelli, insieme a saggi sulla disintossicazione e forse qualche copia di Christiane F.
Lasciamo da parte il fiume di polemiche sui molti elementi inventati di sana pianta dall'autore e scoperti da The Smoking Gun. Certo, dispiace che le frottole gli abbiano fatto vendere qualche copia in più, ma -- pergiove -- in questi libri il confine tra realtà e finzione è sempre stato molto labile.
Quello che ragionevolmente mi aspettavo da In un milione di piccoli pezzi era la biografia tossica di James Frey e, successivamente (o eventualmente) il suo recupero. Ma non è così.
La storia inizia con il ricovero del protagonista in una struttura di riabilitazione per le dipendenze, e lì si chiude, tra monotone e ripetitive descrizioni del programma di ricupero, delle pietanze servite alla mensa, perfino degli elementi d'arredo del centro. Il tutto è condito da un indigeribile mix di buoni sentimenti, amicizie strappalacrime nate nei corridoi, biografie più o meno stereotipate, famiglie che fanno un sacco di buoni propositi.
Non svelo il finale ma, potete immaginarvelo, è un happy end talmente mieloso e di successo che non mi sarei stupito se James avesse lasciato il centro di recupero con il mantello di Superman oppure in corsa per le elezioni alla Casa Bianca.
Il registro linguistico e la cifra stilistica innovativi che hanno aggraziato le pagine di Buongiorno Los Angeles, qui sono inutili fardelli che fanno riempire le pagine di iniziali maiuscole, frasi ripetute ossessivamente e metafore quasi mai azzeccate. Spesso mi sorprendevo a saltare interi capoversi come si fa con qualche brochure troppo dettagliata. Sui personaggi, stereotipati fino al ridicolo (il gangster buono, il pugile suonato, il giudice saggio, la ragazzina abbandonata) stendiamo un velo pietoso.
Un libro tutto sommato inutile, decisamente sopravalutato, la cui vicenda dei "particolari inventati" è davvero un nonnulla rispetto all'inconsistenza degli argomenti veri o presunti tali.


JAMES FREY
In un milione di piccoli pezzi
Trad. di B. Amato
pp. 460
TEA, Prima edizione 2003
ISBN 978-88-502-0479-3

15 gennaio 2010

Quando il Business impara dalla Natura.

Come è evoluta la società negli ultimi 30-40 anni? Quale ruolo hanno avuto la tecnologia, le telecomunicazioni e la diffusione di Internet? Come stanno cambiando i modelli produttivi, distributivi e di consumo dei beni e dei servizi? Quali possono essere gli scenari futuri delle scienze, della tecnologia e della vita digitale?
Telecom Italia Future Centre di Venezia, tramite una serie di progetti dedicati allo studio degli ecosistemi di business, ha indagato questi temi, li ha discussi sul blog Business Ecosystems e li ha proposti al pubblico in un ciclo di incontri aperti.
I progetti hanno affrontato diverse tematiche (dalla produzione industriale all'ombra digitale, dalle immagini digitali all'Internet delle cose) con un approccio ecosistemico che affonda le proprie radici nella scienza moderna e nell'osservazione dei fenomeni naturali (a microcambiamenti locali conseguono influenze globali) ed economici: un'innovazione locale corrisponde ad un processo di selezione da parte del mercato che può portare a cambiamenti globali.
Dai materiali preparati per gli incontri è nato il volume Quando il Business impara dalla Natura (a cura di G. Fettarappa, G. Piersantelli e Roberto Saracco, direttore del Future Centre ed ideatore del progetto): il libro, articolato in quattro sezioni (Gli ecosistemi, Dalla luce ai bit, Atomi e bit, Vita e vite in bit), vuole essere un contributo piacevole e leggero su come il mondo sta cambiando.
Sul canale Innovazione di Telecom Italia è possibile partecipare ad un concorso per ricevere una copia omaggio del volume.


clicca per ingrandire

11 gennaio 2010

Joe R. Lansdale, Bad Chili.



Di gran lunga il più deludente e banale romanzo della saga di Hap e Leonard, Bad Chili è una storia poco verosimile (e fin qui non ci sarebbe nulla di male), narrata quasi con stanchezza e priva delle esilaranti metafore cui Lansdale ha abituato i propri lettori.
I personaggi di contorno (la fidanzata Brett, il detective privato Bob Joe, il poliziotto onesto Charlie, il gangster King Arthur) sono tagliati con l'accetta e ripropongono gli stereotipi creati per altre storie (soprattutto Rumble Tumble), mentre il plot sembra più una sequenza di eventi pretestuosi e mal concatenati che una storia vera e propria.
Neanche i dialoghi sono particolarmente coinvolgenti, ed è un peccato, perché nella struttura dialogica lo scrittore texano è stato sicuramente un innovatore e un caposcuola, almeno nel suo genere.
Il libro si chiude con un colpo di scena elementare e un happy end non credibile. Un peccato, perché di solito Lansdale riesce a far sorridere e ad intrattenere con le sue storie.

Joe R. Lansdale, Bad Chili
Einaudi - Collana: Stile libero Noir / Stile Libero
Pagine 262 - Formato 12x19,5 - Anno 2006 - ISBN 9788806180355

07 ottobre 2009

James Frey, Buongiorno Los Angeles.



Non fatevi trarre in inganno da quella piccola scritta sulla copertina che dice ROMANZO. Buongiorno Los Angeles non è un romanzo o, meglio, non è solo un romanzo. Frey, giustamente osannato dalla critica, rompe con gli stili propri della narrativa e propone una struttura innovativa in cui quattro storie principali, popolate di personaggi dolenti e destinati a soccombere al proprio destino o accecati dalla propria onnipotenza, si intrecciano con altre storie minori (sovente appena accennate) e con una gustosa aneddotica capace di trasformare questo volume in un saggio di sociologia urbana, in un resoconto di storia contemporanea, in una rubrica di stranezze e curiosità.

Con il suo fascino perverso e le sue 330 giornate di sole all'anno, Los Angeles, multiforme, tentacolare, perennemente attraversata da un flusso di automobili e persone, attrae nel suo ventre tutto il campionario umano, uomini, donne e ragazzi i quali, più o meno legalmente, lasciano la loro città o il loro Paese per tentare la fortuna lì, sotto il cielo della città degli angeli, lasciandosi alle spalle mille vite diverse, confluendo come un fiume in piena in una moltitudine di etnie, religioni, classi.

Ma non a tutti va bene. Anzi, sia detto a chiare lettere: questa è una città (o, se preferite: questo è un libro) che si fa pochi scrupoli, non conosce pietà, non perdona niente e nessuno. Buongiorno Los Angeles è un libro vero come la vita perché quasi sempre sono i cattivi a vincere mentre i buoni, i deboli e i miti soccombono, sconfitti, umiliati, uccisi.

E' un libro che raccomando a chi vuole farsi un'idea di questa metropoli al di fuori dagli schemi patinati e dai cliché hollywoodiani. Buongiorno Los Angeles è un testo importante per conoscereda dentro l'altra faccia del sogno americano: quello da cui, nel migliore dei casi, ci si sveglia consapevoli di aver fallito e di aver perso tutto e, in molti altri casi, non ci si risveglia mai più.

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Buongiorno Los Angeles
di James Frey
TEA, 555 pagine, 16,60 euro

25 agosto 2009

Gianni Flamini, Il libro che lo Stato italiano non ti farebbe mai leggere.

Sono due volte di parte, primo perché, come noto, da anni mi diletto nella lettura di saggi sulla strategia della tensione e in secondo luogo perché adoro Flamini per cosa scrive e per come lo scrive.

Ciò premesso, l'ultimo libro del giornalista bolognese riprende alcuni dei temi già trattati nel magistrale L'Italia dei colpi di stato e offre una disanima ragionata e organica di altri fitti misteri della storia italiana. In particolare, il capitolo conclusivo sui rapporti tra la mafia dei corleonesi ed alcuni esponenti dei servizi di sicurezza racconta in maniera puntuale l'evoluzione della strategia mafiosa dai grandi attentati alla pace apperente, offrendo una versione dei fatti decisamente meno edulcorata di quella disponibile nelle cronache dei giornali e nelle fiction televisive.

Ancora una volta le fonti documentali e le vicende giudiziarie confermano il rapporto di connivenza e protezione offerto da certe parti dei servizi di sicurezza ad alcune frange dell'estremismo di destra impegnate in atti sanguinari volti a richiamare un potere forte ed autoritario.

Le ricerche di Flamini varcano i confini nazionali e ci raccontano del ruolo svolto da potenze straniere (USA e Israele in testa) nel condizionare in modo per lo meno illegittimo e antidemocratico la vita polica ed istituzionale del nostro Paese.

Flamini scrive cose sacrosante, lo fa citando sempre le fonti e senza tanto andare per il sottile, e condisce queste cronache tragiche con un umorismo nero che scivola spesso in toni gradevolmente sarcastici.

Scheda del libro

20 agosto 2009

Colin Thubron, In Siberia.

Questo libro mi è stato suggerito durante una cena estiva da un cugino antiquario e storico dell'arte, che ha salutato In Siberia con quella frase che si riserva ad un numero sempre più esiguo di testi, ovvero: "arrivato alla fine avrei voluto che continuasse ancora". Purtroppo non sono pochi i libri che sortiscono l'effetto opposto, auspicando una conclusione il più rapida possibile.

In Siberia evita anche l'errore comune a molti libri di viaggio di essere un resoconto puntuale e cronologico degli spostamenti dell'autore. Thubron, insignito dell'onorificenza di Commander of the Order of the British Empire, è grande conoscitore della Russia (parla fluentemente il russo, tra l'altro), compie alla fine degli anni '90 un'impresa fenomenale: attraversare la Siberia (che, sia detto, è grande quanto l'Europa e il Canada messi insieme) con treni, aerei, autostop, corriere e a piedi, per visitare molti luoghi remoti e dimenticati che sono stati teatro di pagine importanti della storia, soprattutto quella più triste e disumana, del Paese.

Capitolo dopo capitolo, Thubron, privo di qualunque pregiudizio ed etnocentrismo, ci presenta un immenso capitale umano e materiale in costante e irrefrenabile declino. I luoghi, le persone, le istituzioni, le case e le macchine: tutto in Siberia sembra cadere letteralmente a pezzi. Il decadimento morale che affligge le tante e diverse popolazioni ed etnie incontrare sul cammino fa da triste contorno a questo viaggio il cui colore predominante è il bianco abbacinante della neve.

Sospesa tra i sogni pionieristici del passato remoto, i drammi indicibili delle deportazioni staliniane e il disfacimento post-comunista, la Siberia appare un immenso continente alla deriva, dove le cose non funzionano, lo Stato è assente e la gente ha perso la speranza. I valori e la fede religiosa sono spesso fiaccati da un uso sempre più smodato della vodka che abbassa drammaticamente la vita media dei maschi siberiani e che ha non poche ripercussioni sulla produttività: campi invasi da sterpaglie, trattori arrugginiti e officine deserte sono tra i soggetti ricorrenti nelle impietose ma oggettive istantanee di Thubron.

In Siberia è un viaggio profondo: l'autore non si limita a visitare luoghi ma si sofferma, visita e conosce persone, dorme a casa loro, ne ascolta le angosce, effettua spesso insicure deviazioni per rincorrere una voce e verificare una notizia. E sempre, dai dolenti personaggi che popolano queste piane spazzate da un vento gelido, non di rado inclini a nostalgie staliniane, si leva un canto quasi funebre che pare celebrare l'agonia, se non la morte, di una terra che è stata la speranza, la sofferenza, il martirio e il destino di milioni di anime tradite.

Giunto all'ultima pagina, mi trovo del tutto d'accordo con quel commento: avrei voluto anch'io poter voltare pagina ed iniziare un nuovo capitolo. Thubron è spesso affiancato a Tiziano Terzani, che sull'argomento scrisse un saggio per certi versi analogo (Buonanotte Signor Lenin), ma lo ritengo superiore dal punto di vista analitico e stilistico.

In Siberia è un capolavoro, scritto con uno stile sorprendente per qualità e scorrevolezza; è un libro che raccomando per scoprire qualcosa di questa terra.

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COLIN THUBRON, In Siberia.
Trad. di A. Peroni e L. Corbetta
VIAGGI/ REPORTAGE/ AVVENTURE VERE - VIAGGIAvventure 14; pp. 292;
ISBN 978-88-502-0258-4

03 luglio 2009

Carlos Ruiz Zafón, L'ombra del vento.


Se cercate il titolo di questo libro su IBS troverete più di 500 tra recensioni accurate e brevi commenti. Il potere del web. E allora a cosa serve un'altra recensione di questo bestseller?
Nella migliore delle ipotesi, a nulla. Se non, forse, a mettere nero su bianco (o bianco su nero, dato il layout del mio sito) il mio parere sul caso letterario spagnolo: L'ombra del vento è di gran lunga il peggior romanzo (d'appendice, s'intende) che abbia mai letto. Anzi, a voler essere sinceri, non l'ho nemmeno finito di leggere: in un gesto di pietà verso me stesso, mi sono dispensato delle ultime inutili, penose, farraginose 30 pagine.
La sinossi ve la cercate su Wikipedia, da bravi.
Veniamo al succo.
Questa cartaccia avvolta in una copertina abbastanza oscena si discosta poco, per qualità, contenuti, stile, apporto creativo e messaggio, ad un volume della collana Harmony, della quale, purtroppo, non condivide il prezzo popolare.
I dialoghi sono qualitativamente inferiori solo a quelli dei primi Diabolik e Satanik, fumetti che peraltro conservano una ruspante sincerità.
I personaggi, poi... Variano dalla caricatura pseudofiabesca (il clochard erudito, il poliziotto violento) alla più completa inconsistenza (il protagonista Daniel, che si innamora prima di una cieca poi di una vecchia e infine della sorella di un amico; ma dai, ci mancava la dottoressa del comando militare e faceva poker).
Chiude in bellezza, si fa per dire, una storia che non ha né capo né coda, del tutto slegata dal contesto storico in cui è ambientata. Siamo nel '45, pergiove, mica una data qualunque.
La conclusione viene da sé. L'ombra del vento è una lettura adatta a chi già si dedica a contenuti del medesimo livello e spessore, come l'elenco telefonico di Parma o i romanzi di Coelho. Ma ancora meglio sarebbe evitare di leggere e comprare questo imbarazzante blocco di carta rilegata.
Con gli stessi soldi, compratevi un Happy Meal da McDonalds: fa schifo uguale, ma almeno c'è dentro il pupazzetto.

30 marzo 2009

Mimmo Franzinelli, La sottile linea nera.

Il 2008 e' stato il quarantesimo anniversario di quell'anno che ha cambiato per sempre la vita della societa' civile da un lato e dei rapporti con le istituzioni dall'altro.

Molte case editrici hanno festeggiato l'evento pubblicando diversi volumi sugli anni bui degli estremismi e dell'eversione nera che, talvolta orchestrati dal cinismo dei poteri forti, sono culminati in quella tragica e insanguinata fase nota come strategia della tensione.

Tra i molti titoli che ripercorrono la nascita e l'evoluzione di movimenti impegnati a creare le condizioni per un nuovo regime autoritario, il saggio di Franzinelli si distingue per un approccio innovativo nella saggistica di questo genere.

La sottile linea nera non si limita alla usuale ricostruzione cronistorica degli eventi e delle trame occulte ordite nel secondo dopoguerra e popolate da orfani, nostalgici e ideologi dei passati regimi fascista e nazista. E' invece una convincente e documentata analisi di personaggi, gruppi, movimenti, azioni e misteri accuratamente occultati che costituiscono quel tessuto sociale, politico, militare e culturale che ha per lunghi anni minacciato l'ordinamento costituzionale, democratico e repubblicano conquistato con la Liberazione e la lotta partigiana.

Con rigore documentale, oggettivita' e rara capacità analitica, Franzinelli traccia le biografie e le storie dei protagonisti, dei registi e delle comparse responsabili della costituzione di gruppi neifascisti, del compimento di gravissime azioni terroristiche e dell'occultamento di fatti e prove che hanno rallentato il corso di una giustizia non sempre pronta ad intervenire nella giusta direzione.

Dietro la lunga scia di sangue versato tra la fine dei Sessanta e gli Ottanta, l'autore scova un complicato intreccio di ideali, sudditanza atlantica, farneticazioni, interessi finanziari, fratellanze politico-militari, vendette private, nostalgie dei tempi andati. Tutti con il comune obiettivo di sconfiggere la sinistra e il comunismo (non accontentandosi della consuetudo ad excludendum gia' imposta in tutti i paesi europei) e di restaurare un regime autoritario, presidenzialista, militare.
Non ho gli strumenti per commentare questo saggio in maniera più approndita e poco aggiungerei al monumentale lavoro dell'autore.

Chiudo tuttavia con una considerazione sulle biografie tracciate nel volume. Mi sembra che, nell'eversione nera e nello stragismo, si possano identificare due famiglie o generazioni: la prima composta da repubblichini, ex partigiani, pensatori deviati e nostalgici, spaventati dal pericolo rosso e accomunati dal disadattamento alla vita civile, repubblicana e democratica inaugurata con la sconfitta del "loro" fascismo; e un'altra generazione, figlia o più giovane della prima, cresciuta più nel mito che nella storia del regime, affascinata da una simbologia quasi astratta e incentivata all'azione violenta più spesso da una noia e mancanza di punti di riferimento che dall'applicazione di un reale e compiuto - per quanto deplorevole - sistema di valori.

Lettura avvincente, La sottile linea nera e' anche aggraziata da uno stile espressivo e pungente, senza indulgenze ne' revisionismi di comodo. Una lettura fondamentale per comprendere la storia recente del nostro paese e capire la contemporaneita'.

25 febbraio 2009

Ancora su "In fuga dalla data-room".

Il mio recente intervento su In fuga dalla data-room, opera prima di Lazare Vittone, ha alimentato un piccolissimo dibattito letterario non privo di interesse.

Tra gli interventi ricevuti (alcuni dei quali giunti in forma privata) mi pare doveroso segnalare per intero quello, brillante e suggestivo, dell'amico Lorenzo che difende gli intenti dell'opera in un commento al mio post.

Caro Pippo e caro Lazare,

leggo solo ora questo sorprendente dibattito pseudo-letterario. Avendo
regalato proprio io il libro a Pippo, mi sento in qualche modo in dovere di
intervenire, scusandomi in limine per errori di punteggiatura o d'altra
sorta....

Il racconto/romanzo (francamente non so quale sia la definizione corretta, ma
poco importa) ha un grande pregio: il coraggio.

Coraggio dell'autore di mettere nero su bianco il proprio sentire, con buona
dose autobiografica, rischiando lo sputtanamento con amici e colleghi.

Per cio' solo, mi pare che il gesto (non tanto l'opera) sia da lodare e forse
un esempio per molti di noi (mi metto in cima alla lista) che tanto vorremmo, ma
non facciamo.

Caro Pippo, ti ricordi quanto era seducente stare davanti al tuo 15 e poi 17
pollici ronzante a comporre pagine di poesie pessime (le mie, almeno) o di
raccontini del sabato sera? Tu hai continuato, e cio' ti fa grande onore. Io no,
mi sono dedicato a scrivere altro genere di libri, e per questo invidio tanto te
quanto Lazare.

Certo, il contenuto e' discutibile, ma non penso che Lazare abbia ambizioni
da premio letterario, almeno non con quest'opera. E' e resta un grande avvocato,
che ha avuto il coraggio di mettersi alla prova in un campo per lui nuovo.
Nessuno di noi e' costretto a leggerlo, nessuno ce lo impone. E poi, la
punteggiatura. Ma dai! Lascia che metta le v,i,r,g,o,l,e un po' dove cavolo gli
pare, no?! Proprio oggi cade la ricorrenza del manifesto futurista....

Ripeto, non trovo che il libro di Lazare sia un capolavoro della letteratura,
ma un gesto di coraggio di un dilettante (in questo, non certo nel suo vero
mestiere), che per testimoniare il rifiuto di un certo tipo di vita arida
milanese (ma forse anche torinese.... e genovese...) ha accettato di esporsi
alle rigidita' altrui.

Caro Pippo, un tempo eri piu' attento alle emozioni (che
-se vuoi- sai cogliere e dare come nesusn altro), e meno alle regole di
grammatica.

Non prendiamoci troppo sul serio.

Un abbraccio plurimo e multiplo.

Lorenzo


Come Lorenzo ben sa, il mio entusiasmo nei confronti dei narratori e dei poeti esordienti nasce da una mai dimenticata attivita' di esplorazione letteraria e pubblicazione in forme alternative, inziata con la adesione al Manifesto dell'Antilibro, un movimento culturale volto a promuovere attivita' post editoriali in aperta rottura con l'industria editoriale e anche con le forme e ii supporti consolidati della produzione libraria (il libro viene definito parallelepipedo cartaceo in un processo di oggettivazione post marxista).

Ed e' con questo entusiasmo ed interesse che ho dedicato tempo ed attenzione al racconto di Lazare che, sottolineo, ha scelto di scrivere, plasmare e pubblicare un libro, nel suo formato (cartaceo) piu' noto. Pagine di carta stampate e rilegate in una copertina completa di autore, titolo ed editore.

Conclusa la dovuta premessa, desidero rispondere alle garbate argomentazioni di Lorenzo.

Uno.

La scelta formale ed estetica -- l'oggetto libro -- agita da Lazare comporta una implicita e fortissima adesione alle regole e convenzioni, nell'ordine, dell'editoria, della letteratura e della narrativa. Piacciano o meno, se si sceglie di scrivere e pubblicare un libro in qualita' di narratore con l'appoggio di un editore, occorre mettere in conto che il lettore si aspetti di ritrovare, pagina dopo pagina, un documento non dissimile dalla produzione editoriale corrente.

Al rigore estetico formale (veste tipografica, scelta dei caratteri ecc.) si somma un necessario rigore sostanziale che si traduce in una cura del testo che prescinde dalle inclinazioni e gli stili dell'autore.

L'accettazione della foma libro implica l'accettazione delle regole sintattiche e grammaticali: per tale motivo, la citazione di Filippo Tommaso Marinetti mi pare fuorviante: il Futurismo ha rappresentato un momento confluttuale nei confronti degli stili e delle forme della letteratura contemporanea (di allora), contrasto che si e' manifestato con l'invenzione di stili del tutto inediti, contenuti provocatori, rifiuto dei classici. Il futurismo non era una manifestazione di maggiore tolleranza rispetto alle regole sintattiche ma un rifiuto netto e vitale di una forma che si riteneva superata.

Nel volume di Lazare non mi sembra di ravvisare l'intenzione e il prodotto di una critica alla letteratura o al sistema editoriale; anzi: la scelta di un canale distributivo tradizionale in luogo della Internet o della stampa artigianale sembra un segnale deciso di accettazione di un sistema di convenzioni. Se vi e' coraggio nel mettersi in gioco comunicando un messaggio mediante un'iniziativa editoriale, vi dev'essere una coraggiosa onesta' nei confronti del mezzo scelto e del pubblico a cui si rivolge il messaggio.

Ma non tema Lorenzo: la mia residua sensibilita' emotiva mi ha comunque permesso di apprezzare alcuni riusciti elementi della prova narrativa di Vittone. I titoli dei capitoli, ad esempio, mi hanno subito colpito: diretti, spregiudicati, ironici.


Due.

Quasi a giustificare le mancanze formali e sostanziali da me rilevate nel libro, piu' volte si menziona la professione di avvocato svolta, sicuramente con talento, passione e grande profitto, da Lazare.

Tuttavia, nell'universo della letteratura mi pare di ricordare alcuni esempi di professionti prestati alla narrativa. E qui mi viene in soccorso la mia (inspiegabile) curiosita' per le biografie. Se non erro:

Primo Levi, chimico e direttore di uno stabilimento di vernici; Carlo Emilio Gadda, ingegnere; Paolo Giordano, fisico; Louis Ferdinand Celine, medico; Harper Lee, impiegata in una compagnia aerea; Italo Svevo, impiegato commerciale. Winston Churchill (premio Nobel per la letteratura), politico e statista inglese.

La lista potrebbe continuare, ma il senso e' ormai chiaro. La loro produzione letteraria e' contraddistinta da capacita' innovative linguistiche e stilistiche unite ad un rigore formale frutto di una costante ed attenta opera di revisione e affinamento, qualita' che non hanno tuttavia tenuto questi autori lontani da uffici, fabbriche e cantieri, luoghi divenuti, anzi, l'oggetto e il teatro di alcune delle loro opere (La chiave a stella di Primo Levi, ad esempio).

Non sono un critico poiche' mi mancano i titoli e la cultura. Sono solo un lettore. E, da lettore, posso solo auspicare ed augurare al caro Lazare che l'immaturo tentativo di oggi sia, domani, un testo completo, suggestivo, coinvolgente, toccante.

Prendiamoci sul serio, se vogliamo fare sul serio. Altrimenti, un blog e' piu' che sufficiente.

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Ringrazio di cuore Lazare e Lorenzo per aver partecipato con pazienza e impegno a questo dibattito.

PS: il presente testo difetta, ahime', di un corretto uso degli accenti. La tastiera del mio laptop non ne e' dotata.