04 novembre 2010

Don DeLillo, Cosmopolis.

Chi segue il mio blog e in particolare le recensioni di libri, sa che sono un lettore abbastanza ostinato e determinato a chiudere l'ultima pagina dei volumi iniziati. Questa volta, attratto da un consiglio un po' maldestro, sono incappato in una delle pochissime opere che ho deciso di chiudere e riporre sullo scaffale ancora lungi dall'ultima (penosa) pagina.

Salutato da molti -- non solo dalla marchettara quarta di copertina -- come il capolavoro definitivo del Maestro (su cui non esprimo giudizi in mancanza di una conoscenza più approfondita), ho iniziato a scorrere Cosmopolis con un sensazione di angosciante deja-vu: quella provata durante la (faticosa, estenuante) lettura de L'ammezzato di Nicholson Barker, ambientato, come Cosmopolis, tra le strade di New York.
In mancanza di meglio, entrambi i libri possono essere inseriti nella (temo popolosa) categoria delle pippe mentali. Ma torniamo a Cosmopolis.

Per la trama, vi rimando come sempre al link sopra. Una storia vera e propria non c'è: troviamo l'esile e pretestuoso viaggio in auto del protagonista (una figura innovativa come l'acqua calda: yuppie, palestrato, che scomette in borsa contro una valuta straniera) per le trafficate strade di New York lungo le quali incontra (evento del tutto insensato dal punto di vista del calcolo delle probabilità: siamo a New York o a Vercelli?) le donne della sua vita. Un percorso interiore, quindi, inutile, scontato e lungo come uno sbadiglio. I pochi dialoghi -- non so se per traduzione o in origine -- sono imbarazzanti nel loro manierato artificio; i personaggi sono la quint'essenza dei cliché da film degli anni 80: la fatalona elegante, la guardia del corpo che non sorride mai, il genio dei computer; mi spiace non essere arrivato alla fine per vedere se c'erano anche il nobile decaduto, lo scienziato pazzo e un licantropo.

A cosa serve questo libro? Ha due scopi: farvi addormentare velocemente e poter dire, durante una conversazione, di aver letto qualcosa di DeLillo. La spesa non giustifica lo scopo: le Pagine Gialle sono gratuite e forniscono lo stesso supporto ipnotico, mentre le conversazioni letterarie, ahimé, sono diventate piuttosto inusuali.

Da evitare.

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Scheda libro:
Don DeLillo, Cosmopolis
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Traduttore: Pareschi S.
Pagine: 180
ISBN: 880616466X
ISBN-13: 9788806164669
Data pubbl.: 2003

24 ottobre 2010

Susa, sentiero 559



Sabato mattina, all'insegna di un insperato bel tempo, escursione da Susa sul versante sud del Roccia Melone fino all'alpe Tour, quindi discesa sul sentiero 559, molto tecnico e impegnativo, e quindi di grandissima soddisfazione.
Qui sotto il tracciato creato da EveryTrail grazie alla traccia GPX registrata da Garmin di Glaucos.

Susa, sentiero 559





Qui invece l'album di foto scattate da Mauro.

19 ottobre 2010

Costruzione di un kit di spurgo per freni MTB.

Introduzione.
Lo scorso weekend, dopo aver letto/visto numerosi tutorial sullo spurgo di impianti frenanti, mi sono deciso ad effettuarne uno su un freno ne aveva bisogno.

Kit di spurgo autocostruito.
Non essendo ancora disponibile il kit specifico per i miei freni, me lo sono autocostruito con i seguenti componenti:

- n° 1 deflussore da flebo con roller, acquistato in farmacia per 1,20€


- n° 1 siringa da 20 ml, farmacia, 0,60€

- n° 2 innesti portatubi filettati marca Eurokit (http://www.eurokitlucca.it/ashop/default.asp), da 4 e 5 mm, uno per la pompa e uno per la pinza, acqistabili in negozi di modellismo per 1,70 - 2 €. Queste misure variano a seconda di marche e modelli, non sono valide per tutti i freni.


- 1 confezione di liquido freni dot 4 da 300ml, circa 6€, utile per dieci spurghi o anche più.

Ed ecco la foto del kit autocostruito.




- parte 1, in alto: siringa per aggiungere liquido all'impianto. Si utilizza un pezzo di tubo del deflussore, un capo lo si innesta alla siringa, l'altro ad uno dei due raccordi portatubi (a seconda del diamtro di ingresso del vostro freno). Il roller del diffusore si usa come blocco per strozzare il tubo e fermare l'afflusso di liquido. la siringa va riempita di liquido dot 4.
- parte 2, in basso: si utilizza il tratto iniziale del deflussore (quello che si innesterebbe nella flebo); si taglia il tubo a 20-25 cm e lo si innesta all'altro raccordo portatubi, a seconda della dimensione del foro di spurgo. è in questo contenitore che si raccoglie il liquido di scarto dello spurgo.

Il diagramma qui sotto rappresenta lo schema del sistema di spurgo, con la direzione del fluido.



Postazione di lavoro.
Bisogna lavorare in un posto pulito e attrezzato, non c'è storia. E, se possibile, spurgare impianti smontati dalla bici per avere tutto a portata di mano. Io ho predisposto una specie di banco spurgo, costituito da un vecchio adattatore pm-is che ho stretto in una morsa (e a cui ho fissato la pinza con un bullone) e da un punto di fissaggio della leva (non visibile in foto, un vecchio manubrio va benissimo). In questo modo, pompa e pinza sono vicini e ben gestibili.


Togliamo le pastiglie dalle pinze per evitare di ungerle e inseriamo uno spessore tra i pistoncini.

Procedura di spurgo.
Attrezzi e straccio pulito alla mano, ho proceduto effettuando lo spurgo come indicato dal costruttore, ovvero:
  • riempire la siringa di dot4
  • eliminare le bolle d'aria in essa presenti (proprio come fanno i dottori)
  • avvitare l'innesto al foro di spurgo della pompa  (i serbatoi hanno un foro chiuso da una vite)
  • innestare il tubo del serbatoio di scarico al foro della pinza
  • cominciare ad iniettare lentamente il fluidonella pompa
  • far defluire il fluido dalla pinza.
Altri costruttori raccomandano l'opposto, ovvero di iniettare il fluido dalla pinza e farlo uscire dalla pompa. Seguite sempre le istruzioni dei freni, da bravi, eh.

Ad ogni modo, è stato necessario utilizzare tutta la quantità di dot4 inserita nella siringa perché dal tubo del deflussore (trasparente) continuavo a vedere piccole bolle d'aria. Assicuratevi che davvero non ci siano più bolle d'aria.

Quando non si vedono piu bolle, l'operazione puo' dirsi conclusa. con il roller si chiude il tubo della siringa in modo da bloccare l'afflusso di liquido e aria, velocemente si svita l'innesto , si riavvita la vite con l'oring e si pulisce la pompa e la leva. poi si svita l'innesto dalla pinza e si richiude pure quello, pulendo tutto.
Il fluido di scarto NON si butta nel tombino perché è inquinante, né si rimette nella bottiglia perché è igroscopico: lo si conserva.

Conclusioni.
Il tempo impiegato è di circa 20 minuti. prendendoci la mano, magari ci si mette di meno, ma non serve avere fretta. è un'operazione semplice, se e solo se avete manualità, attrezzi giusti e una postazione comoda.
Ha funzionato? sì, ora l'impianto frena bene.
ne è valsa la pena, economicamente? non tanto per il kit di spurgo (10 euro contro i 15-20 di quelli commerciali) ma sicuramente per l'autonomia e il risparmio della manodopera.

08 ottobre 2010

Monte San Giorgio, Sentiero dei cinghiali.

Escursione effettuata sabato 2 ottobre 2010 con alcuni amici del forum.
Qui il percorso mappato da EveryTrail con la traccia gpx di un Garmin.

Monte San Giorgio, Sentiero dei cinghiali


EveryTrail - Find the best

Le immancabili foto, di gruppo e non:

Arrivo alla chiesetta, pochi metri sopra il rifugio alpino

L'ingresso della chiesetta

Crocefisso



E un bel video registrato con la action cam di Luca che mostra bene la natura del terreno che si trova sul sentiero dei Cinghiali.


cinghiali6

05 ottobre 2010

Nuove (vecchie) auto.

Sono state aggiunte nuove foto alla raccolta They used to be cars. Le auto erano parcheggiate in Canada, Grecia e California. Non tutte sono state individuate: informazioni aggiuntive e correzioni sempre gradite (così come i commenti).


14 settembre 2010

Anteprima assoluta e test: coperture Hutchinson Cougar 2011!

Mi hanno consegnato, in anteprima assoluta italiana e (credo) mondiale, una coppia dei nuovi copertoni Hutchinson Cougar Hardskin, pensati per uso cross country. Queste coperture, appena presentate ad Eurobike, saranno disponibili probabilmente ad inizio 2011, come riportato nelle news del sito Hutchinson, sia in versione tubeless che per camera d'aria, e in diverse versioni: dalla Light alla Hardskin (più resistente alle forature). Sono indicati principalmente per terreni asciutti e rocciosi.
E' davvero una fortuna poter provare per primo un prodotto come questo: per le ricerche effettuate in rete, al momento esistono solo un paio di immagini ma nessun test né product review.

Di seguito la tabella completa di tutte le versioni e misure che saranno messe in commercio dal manufacturer francese.




Analisi preliminare.
Gli esemplari in mio possesso sono in versione tubeless e per camera d'aria, entrambi pieghevoli, in misura 26" x 2.20. Consigliate per un uso cross country, trailride e marathon, grazie alla sezione generosa potrebbero essere a proprio agio anche in un contesto all mountain e free ride. Sviluppate in collaborazione con Nicolas Vouilloz del Team Lapierre, le Cougar utilizzano una mescola chiamata Race Riposte contenente Styrene. Al momento alcune bici Orbea e LaPierre della nuova serie sono già equipaggiate con questi pneumatici.
I copertoni presentano una tassellatura aggressiva, più pronunciata ai lati per un maggior grip e più bassa al centro per favorire il rotolamento e la velocità. Al tatto la mescola è suffcientemente morbida e sembra garantire un buon assorbimento non solo delle asperità del terreno ma anche dei colpi.
I tasselli a V contribuiscono ad aumentare le prestazioni in trazione e in frenata, a seconda di come sono direzionati: di queste gomme non esiste una versione specifica front e rear, ma sulla spalla viene indicato un senso di rotazione contrario per anteriore e posteriore.

Altre indicazioni fornite sono il tipo (tubeless o tube type), i valori della pressione di gonfiaggio e il luogo di costruzione (Francia). I fianchi presentano il rinforzo Hardskin contro le lacerazioni.
Circa la pressione suggerita, è uguale per la versione tubeless e con camera d'aria: raccomandata 2.0 BAR - 29 PSI, massima 4 BAR - 58 PSI.

Peso e misure.
Una gradita sorpresa: il peso è inferiore a quello di alcune coperture di sezioni simili e per impieghi omologhi, ed allineato con altri modelli. Messi sulla bilancia digitale, la versione per camera d'aria pesa 637 grammi e la versione tubeless ha un peso rilevato di 758 grammi.

Tubetype

Tubeless


Vediamo il confronto con alcune popolari coperture all-roun per uso cross country e trailride:
  • Kenda Nevegal 2.1 tubeless pieghevole: 799 grammi
  • Maxxis Ardent 2.25 pieghevole per camera: 659 grammi
  • Schwalbe Nobby Nic 2.25 pieghevole per camera: 594 grammi.
Le Cougar sembrano quindi aver unito caratteristiche di grip e resistenza ad un peso decisamente contenuto: un vantaggio che consente di montare sezioni larghe tenendo sotto controllo il peso delle ruote e, quindi, della bici.

Estetica.
Anche l'aspetto esteriore ha la sua importanza. Apprezzabili le grandi scritte bianche con logo rosso su entrambi i fianchi delle coperture, leggibili anche quando sono montate rispettando la direzionalità. La tassellatura è aggressiva ma entro i limiti dei profili di gomme da cross country.

Di seguito un paio di immagini delle coperture prima e dopo il montaggio. La galleria fotografica completa è in fondo all'articolo.

Tubeless e Tube Type

Le Cougar montate
Sul fianco si vede la protezione Hardskin

Pronti? Via!

Test delle coperture Hutchinson Cougar

Le coperture Hutchinson Cougar sono state montate, mantenendo le camere d'aria, sulla Giant Terrago con cerchi Alex. Il montaggio si è rivelato abbastanza semplice e veloce, come per altre coperture foldable. Dopo le consuete operazioni per posizionare correttamente le coperture sui cerchi, si è portata la pressione a circa 3,1 bar, valore intermedio tra il minimo raccomandato e il massimo. Una volta portate a pressione, le coperture hanno un ingombro leggermente inferiore alle aspettative per una misura dichiarata di 2.2".

A breve si cercherà di ripetere il test con altre configurazioni: montando i copertoni su cerchi per tubeless oppure utilizzando il Convert'Air/Tubeless Conversion Kit, il kit Hutchinson di trasformazione tubeless per cerchi standard; questo kit contiene due strisce, 2 valvole e il liquido Protect'Air Max.

Il test si è tenuto in Valle Stretta (Melezet, Bardonecchia), fino a dove termina la ciclabilità in salita del sentiero, nei pressi del rifugio Maison de Chamois, punto oltre il quale si può proseguire solo in portage. Per una descrizione completa, potete consultare il sempre ottimo sito di Massimo Peverada. Un dettaglio importante: all'andata si è seguita la strada sterrata, le cui condizioni del fondo peggiorano gradualmente quando ci si approssima alla mete. Per il ritorno si è adottato sovente il metodo della linea retta ovvero tagliando, ove possibile, per prati, tracce libere e sentierini, scegliendo comunque tratti molto accidentati. 

Terreni affrontati.
Il percorso verso il rifugio offre sia i terreni per cui le coperture sono indicate (duri, rocciosi, compatti) che tratti con fondi molto smossi, pietre grosse e di calibro inferiore, ghiaia, qualche metro di asfalto, prati erbosi e bosco con vegetazione bassa. Non sono mancati due attraversamenti di ruscelli mentre, complice la bellissima giornata quasi estiva, non è stato incontrato terreno fangoso significativo per una prova.

Comportamento in salita.
Con una pressione di gonfiaggio di circa 3 bar, le Cougar si sono comportate in maniera eccellente sulle salite della Valle Stretta, mantenendo un grip notevole anche su fondo smosso con pietrisco e su pendenze impegnative; al contempo la resistenza al rotolamento può essere considerata contenuta sia grazie al profilo abbassato che alla direzionalità della tassellatura centrale (al posteriore si favorisce la trazione, all'anteriore la frenata). La tenuta laterale nei tornanti in salita, per quanto affrontati a velocità decisamente basse, è adeguata grazie ai tesselli più pronunciati. Solo in un paio di occasioni, in presenza di fondo asciutto ma non compatto, si sarebbe desiderata più aderenza; non è da escludere che diminuendo leggermente la pressione di gonfiaggio si avrebbe avuto più grip laterale, a patto di aumentare un po' la resistenza al rotolamento.


Comportamento in discesa.
Per affrontare la discesa, la pressione di gonfiaggio viene diminuita sensibilimente fino a valori prossimi al minimo raccomandato per ottenere maggiore grip e assorbimento. Senza troppe esitazioni, si individua subito un singletrack abbastanza ripido che taglia perpendicolarmente gli ultimi tre tornanti: la scelta appare azzeccata perché il fondo è un misto di roccia e smosso, con pietroni e ghiaia, quindi un buon modo per iniziare il test. Giusto qualche metro per prendere confidenza con le coperture, e le prestazioni appaiono subito di tutto rispetto: l'anteriore riesce a mantenere sempre una corretta traiettoria, copiando gli ostacoli senza scivolamenti e assorbendo bene le asperità. Queste doti sono state apprezzate sia nei passaggi tecnici lenti, dove il grip su una roccia ripida o in un solco scavato nella terra permettono fanno davvero la differenza, che sullo smosso fino, quel misto di ghiaia e terriccio che sa mettere in crisi bici, componenti e ciclisti.




Nel secondo tratto di discesa si incontra una mulattiera con una pendenza non indifferente e dal fondo piuttosto scassato che si decide -- o la va o la spacca, come si vede dall'espressione preoccupata della foto sotto -- di percorrere in allegria, mollando i freni e, soprattutto, diminuendo ancora la pressione di gonfiaggio, anche sotto i 2 bar minimi raccomandati. Già dopo i primissimi metri si percepisce che le coperture fanno un lavoro di prim'ordine, e anche la temuta pietraia si affronta in tutta sicurezza. Il notevole volume unito alla mescola sufficientemente morbida e alla disposizione dei tasselli sembrano la ricetta vincente di queste coperture.


La corsa non poteva che continuare sui diversi tratti di manto erboso fresco e secco e sulla vegetazione di sottobosco ancora abbastanza umida che si trovano nei dintorni del sentiero. Di nuovo, doti notevoli di grip e di prontezza di frenata, come vedremo nella sezione successiva.


Comportamento in frenata.
La bici può montare i freni più potenti e modulabili del mondo, ma se le coperture (e in particolare l'anteriore) vanno per i fatti loro, di certo non li si sfrutta a fondo. Le Cougar Hardskin escono a dir poco a testa alta nelle prestazioni di frenata, dando al biker una sensazione di confidenza a 360° gradi, dai tratti tecnici (che si possono superare con una front) alle pietre, dalla roccia al fondo cedevole, sempre molto reattive e facili da intuire nella risposta.

Hanno la pelle dura.
Uno degli obiettivi del test, se forse non il principale, era quello di verificare la robustezza della prestazione Hardskin dichiarata dal costruttore. Per questo, confortato da un kit di riparazione nello zaino, si è passati senza tanti riguardi tra rocce dal profilo tagliente (di cui il sentiero abbondava) e in mezzo ai rovi. La parte finale del giro è stata fatta con gomme se non sgonfie decisamente "rilassate" il che comporta, come noto, un aumento dei rischi di pizzicatura e foratura. Per fortuna e con soddisfazione, non c'è stata alcuna foratura. Anche a distanza di due giorni la pressione è sempre costante.
Una caratteristica che può ancora migliorare latticizzando con il fluido di protezione.
Hanno la pelle dura

Giudizio complessivo.
Le coperture Hutchinson Cougar del nostro test hanno avuto un comportamento adeguato anche alle più alte aspettative; con doti di aderenza, peso contenuto, buona scorrevolezza e resistenza ai traumi, sono in grado di soddisfare le esigenze tanto degli agonisti smaliziati quanto degli escursionisti occasionali che desiderano un prodotto performante e affidabile. Grazie al peso ridotto (inferiore rispetto a proodotti della stessa gamma) sono di sicuro interesse per gli agonisti che devono mettere insieme il grip con il grammo su tracciati vari. L'eccellente versatilità ne possono fare la coperture d'elezione per i dilettanti seri che affrontano escursioni su sentieri anche impegnativi e vogliono una copertura scorrevole ma con grip. 
Sono pneumatici all-round con una straordinaria capacità adattamento alle situazioni e ai fondi più diversi: sono andate benissimo su roccia, pietre, terreno compatto, friabile, erba e con l'autunno alle porte, verificheremo a breve anche il comportamento nel fango e su fondi umidi. Un componente ideale per bici front e full con vocazione cross country e all mountain.

Altre informazioni.
Produttore: Hutchinson Tires (sito web)
Disponibilità: da gennaio 2011
Prezzo: n.p.

Galleria fotografica (cliccare per ingrandire).











Copyright Giuseppe Piersantelli 2010. Riproduzione vietata senza espressa autorizzazione dell'autore.

08 settembre 2010

Fulvio Bortolozzo, Un habitat italiano.

Da trent'anni Fulvio Bortolozzo si dedica con ragionata autorevolezza e viscerale passione all'osservazione e alla descrizione del territorio urbano italiano ed europeo, attraverso la cura di rilevantissimi progetti fotografici (Olimpia, Spina Centrale, Soap Opera, Appunti per gli occhi, solo per citare i più recenti) raccontati sul suo sito e sul suo blog. Fotografo dotato di una straordinaria cultura immaginifica e di indiscutibile padronanza di ogni mezzo tecnico ed espressivo, Bortolozzo consolida una parte importante del suo percorso narrativo con il volume fotografico Un habitat italiano, un'opera di eccezionale valore e qualità, un compendio iconografico per comprendere il nostro territorio urbano e apprezzarne i cambiamenti e le contraddizioni.



Bortolozzo, e gliene siamo grati, ha il grande pregio di non mischiarsi alla (fitta) compagine dei sedicenti sociologi dell'immagine impegnati in un sguaiati reportage di denuncia sociale. Le foto sono state realizzate nel corso del  2008 a Grugliasco, paesone nell'hinterland torinese, quasi un tipo ideale rappresentativo della storia antica e recente del nostro Paese con le sue età: quello che resta delle cascine dell'età agricolo pastorale, gli scheletri delle fabbriche e delle officine dell'età industriale e, infine, gli sgargianti centri commerciali, non luoghi dell'età postindustriale, il tempo di una società che ha smesso di fare e si organizza a vendere.


Educato fin da bambino a posare uno sguardo curioso su territori in continua trasformazione, allora osservati nottetempo dal finestrino di una macchina in viaggio per l'Italia e poi attraverso le sue camere chiare, Bortolozzo ci consegna una visione particolarissima e personale dei luoghi, che esplora passo dopo passo, e ritrae con una forza descrittiva e narrativa mai didascalica.


Lo straordinario rigore formale delle 70 immagini, tutte realizzate su pellicola piana 4x5" con una fotocamera in grande formato, e la perfezione compositiva delle inquadrature non lasciano spazio a messaggi subliminali né a discorsi estetici prestati sovente alle tante politiche della riqualificazione. Bortolozzo, new topographer, ci consegna il territorio così com'è e come lo vede, capovolto nel mirino della sua Tachihara, e come noi forse non riusciamo a vederlo con i nostri passi frettolosi, o rinchiusi nei nostri abitacoli veloci: Un habitat è, in un certo senso, anche una seconda chance per vedere e capire un contesto urbano che si trasforma più velocemente della nostra pazienza e della nostra memoria; un volume che non dovrebbe mancare nello scaffale di un fotografo, anzi: dovrebbe sì mancarvi, per trovare posto, aperto e sempre pronto alla consultazione e all'uso, sulla scrivania.

Un habitat italiano è in vendita on line su Blurb.com, dove è possibile scorrere le pagine in anteprima.



Fulvio Bortolozzo, UN HABITAT ITALIANO. Un incontro: quello tra il mio esistere e una piccola città operaia situata nei dintorni della Torino che tutti conoscono.
120 pagine, 70 fotografie a colori.
Testo in italiano, inglese e francese.

07 settembre 2010

Ashima PCB e pastiglie sinterizzate: la combinazione vincente.

Il test sui freni Ashima PCB, pubblicato qualche settimana fa, si era concluso con risultati davvero soddisfacenti anche in rapporto allo stress a cui l'impianto era stato sottoposto. Solo alla fine della prova era stato riscontrato un accenno di fading nelle prestazioni della frenata e, in generale, avevamo ravvisato una qualche difficoltà a dissipare il calore.
Dopo qualche analisi, c'è da ritenere che le pur ottime pastiglie Ashima SOS abbiano qualche responsabilità nel trasferire una quantità eccessiva di calore dal rotore alla pinza e che non siano indicate al 100% per percorsi dove, per citare Schwarzenegger, l'unica legge che conta è la legge di gravità.
Ideali per il cross country con frenata impulsiva non prolungata, in contesti di frenate lunghe e pendenze serie, le SOS vanno forse un po' oltre i loro limiti costruttivi.
Per tagliare la testa al toro, sono state sostituite con due coppie di Ashima sinterizzate. Un veloce controllo all'allineamento delle pinze e della lunghezza delle leve, rodaggio breve come prescritto, e poi via. Il test continua!
Patiglie Ashima sinterizzate

Nonostante fosse l'ultimo giorno di apertura della seggiovia del bike park di Sauze, questa volta la discesa è stata guadagnata con le gambe e il sudore (ma non troppo): da Sauze d'Oulx (circa 1600m) a Notre Dame de Broussailles (2327m), in direzione Col Basset. La strada, molto nota, è una carrabile dissestata con pendenza costante, circa 700 metri di dislivello per 9 km di percorrenza. Giornata soleggiata e calda, vento quasi assente, terreno asciutto e polveroso. Arrivati in cima, si gira la bici, inizia la discesa e con essa il test integrativo.

La chiesetta di Notre Dame de Broussailles (2327m)

Per tornare alla località Sportinia, poco più a valle, si decide di percorrere solo in parte la carrabile utilizzata all'andata, e di tagliare, ove possibile, per sentieri, tracce e prati. In questo modo si possono trovare pendenze più accentuate e passaggi tecnici. E qui vengono subito fuori le qualità delle pastiglie sinterizzate. La frenata è sempre molto modulabile ma anche potente, senza esitazioni. La temperatura sembra sotto controllo: il miglioramento della dissipazione è apprezzabile.



Da Sportinia a Sauze, si opta per un percorso a dir poco alternativo, un misto di sentiero, bosco, sottobosco e pista DH 6; si scende giù cercando di tenere una buona velocità per la via più breve tra due punti, che talvolta è anche la più ripida. I PCB sono spremuti a dovere. Nonostante le dimensioni crosscountristiche dei rotori (sempre gli ARO da 160 mm) si frena in tutta sicurezza, con i soli indici, senza sforzo alcuno. Gli spazi  di frenata sono contenuti, le ruote non si bloccano (a meno di non volerlo) nemmeno sullo smosso infido. La potenza dell'impianto e la forza impressa sulle leve rimangono costanti, così come non si manifestano fastidiosi fischi. La dissipazione del calore è sempre efficiente, a tutto vantaggio delle prestazioni generali dell'impianto.

Bike park di Sauze d'Oulx. Foto di Vincenzo Fresolone (Free Alien).

In conclusione, gli Ashima PCB si confermano un sistema eccellente che, abbinato a pastiglie sinterizzate, riescono ad esprimere una migliorata potenza frenante e una rassicurante resistenza ad un uso gravoso.

Un ringraziamento particolare ai ragazzi team Free Alien per la compagnia, i trucchetti e le foto.

06 settembre 2010

Erano in un parcheggio questa stamattina.


Ha tutta l'aria di un avvertimento. Forse uno sgarro tra uomini di peluche. Vai a sapere.

24 agosto 2010

Test Ashima PCB (PanCake Brake).

Installazione, centramento, rodaggio.

Ed eccoci alla seconda puntata della recensione dell'impianto frenante idraulico Ashima PCB (PanCake Brake). Qui trovate il precedente articolo con le prime impressioni e le immagini ad alta risoluzione.

L'impianto è stato montato su una Giant Terrago 3 del 2008, in sostituzione di un sistema Shimano BR-M 485 già dotato di rotori e pastiglie Ashima.
L'installazione dei freni Ashima PCB è stata semplice e veloce, senza alcun intoppo, merito anche dalla straordinaria precisione ed accuratezza con cui i freni sono costruiti.

Rotore anteriore
Rimozione del vecchio impianto frenante.

Io ho seguito questa procedura. Per prima cosa conviene estrarre le manopole e sfilare le leve dell'impianto originale; quindi capovolgere la bici (appoggiata su sellino e manubrio) e svitare le pinze e gli adattatori del prorio sistema frenante. La confezione include anche due adattatori PM-IS da 160 mm e i bulloni necessari.
Quindi si possono smontare le ruote e montare sui mozzi i nuovi rotori da 160 mm inclusi nella confezione insieme alle viti Torx da 25 di buona fattura e già dotate di frenafiletti medio sulla filettatura (come tutti i bulloni in dotazione).
Rotore posteriore
Se disponibile una chiave dinamometrica, sono forniti anche i valori della coppia di serraggio.
E' possibile quindi rimontare le ruote, serrare gli sganci rapidi e posizionare la bici se possibile un supporto da officina o farsi aiutare. Il sistema frenante può essere rimosso, facendo attenzione a non danneggiare i cavi estrendoli dai passacavi del telaio.


Installazione Ashima PCB.

A questo punto è possibile procedere con il montaggio degli Ashima PCB.
Consiglio di montare per primi i nuovi adattatori Ashima, senza serrare i bulloni. Quindi, dopo aver fatto passare sul manubrio nei collarini delle leve (peraltro, splendidi: dotato di un anello antigraffio in plastica rossa che forma il marchio Ashima sulla parte interiore del collarino) si possono fissare le pinze anteriori e posteriori sugli adattatori.
Pinza anteriore
Una nota positiva: nel precedente articolo avevamo segnalato difficoltà nell'estrarre il distanziale in gomma della pinza anteriore. Per la pinza posteriore è stato sufficiente tirare energicamente la linguetta del distanziale per estrarlo. Rimaniamo dell'idea che il materiale utilizzato non sia del tutto appropriato e non consenta di riutilizzarli come distanziali quando si smontano le ruote (per evitare movimenti accidentali delle membrane).
Nelle immagini seguenti (cliccate sulle seguenti foto per ingrandirle) è possibile vedere i particolari e i close up a montaggio effettuato.
Pinza anteriore

Pinza anteriore

Pinza posteriore

Pinza posteriore

Pinza posteriore


Il passo successivo consiste nell'assicurare il tubo idraulico posteriore nel reggitubi del telaio e quello anteriore all'arco della forcella con qualche fascetta autobloccante. Ovviamente questa procedura può variare leggermente da telaio a telaio.
A questo punto è possibile serrare i bulloni degli adattatori e delle pinze, rimontare le manopole e procedere con il centramento.

Centramento delle pinze e altro fine tuning.

Notoriamente esistono due procedure per il centramento: una veloce, che consiste nel tirare la leva del freno e quindi serrare i bulloni delle pinze agli adattatori, e una più accurata, che permette di effettuare una regolazione micrometrica in caso di sfregamenti.
Abbiamo effettuato la procedura veloce e, con nostra grande soddisfazione (ma sarà anche la vostra), è risultata assolutamente efficace al primo e rapido tentativo: dopo aver serrato i bulloni, le pinze sono rsltate perfettamente allineate alla pista frenante dei rotori; nessuno sfregamento o rumore. Riteniamo che la grande accuratezza costruttiva dei componenti utilizzati unita alla tecnologia delle membrane (che, come dichiarato dal costruttore, non dovrebbero essere afflitti dai problemi di lentezza di ritorno dei pistoncini) contribuiscano notevolmente a tale risultato.
Dopo aver allineato le pinze, non resta che sedersi sul sellino e procedere con un po' di fine tuning delle leve. Come vedete dalle foto, nel mio caso sono state montate ad un paio di centimetri dal bordo della manopola, un'abitudine che deriva dalla pratica del freeride. Circa l'angolo, sono posizionate allineate rispetto alla linea descritta dalle braccia distese sul manubro.

Pompa sinistra

Pompa destra

Sulla parte esterna della leva è presente una vite per la regolazione della distanza delle leva, in modo da adattarsi tanto alla lunghezza delle dita quanto alle proprie abitudini. Anche qui grande cura dei dettagli: sulle viti è già presente il frenafiletti medio e le sedi delle viti sono in alluminio rosso.
Rispetto alle impostazioni di fabbrica, abbiamo avvicinato entrambe leve di 3 giri. C'è da dire che l'ergonomia di queste leve è davvero ben studiata e riuscita. La posizione delle dita (indice, indice e medio o anche le 4 dita, a seconda della tecnica, dell'abitudine e della situazione) è molto confortevole.
Per comodità ci sarebbe piaciuto trovare un sistema di regolazione di tipo tool less (ad esempio con una piccola ghiera zigrinata) in modo da poter agire sulla distanza della leva anche senza la chiave esagonale, ma sappiamo che tale soluzione avrebbe incrementato il peso del gruppo pompa-leva.

Rodaggio.

Il manuale utente degli Ashima PCB consiglia ed illustra una procedura specifica di rodaggio che consiste nel “bagnare le pastiglie freno con dell’acqua “neutra”, dopodiché effettuare un breve giro (circa 2 minuti) tenendo il freno leggermente tirato (in modo da riuscire comunque a pedalare tranquillamente). Questo processo deve essere ripetuto 3-4 volte, aumentando ogni volta la potenza della frenata, fino a fermarsi. Usando questo metodo, il freno incrementerà velocemente del 70-80% le prestazioni”.
Quindi, una volta completati montaggio e allineamento, abbiamo seguito le raccomandazioni di Ashima, bagnando le pastiglie e pedalando con i freni tirati; e abbiamo potuto constatare un sensibile e costante aumento della potenza frenante: rispetto alla primissima frenata, dopo il breve rodaggio la risposta è decisamente più pronta e l’azione esercitata più efficace e potente. A questo punto non resta che sottoporre l’impianto Ashima PCB ad un test approfondito.



Ultimi dettagli tecnici prima di partire.

Terminati installazione e rodaggio, siamo pronti a partire per il nostro test. I freni sono equipaggiati con pastiglie Ashima SOS a mescola mista (metallica ai lati e organica al centro). Vogliamo però provare, e lo faremo al più presto, anche le pastiglie sinterizzate, maggiormente indicate per un uso agonistico in quanto ridurrebbero sostanzialmente la quantità di calore trasferita al corpo della pinza, aumentando così la resistenza nelle frenate prolungate.
Già in fase di montaggio abbiamo descritto l’ergonomia delle leve con corsa regolabile e la facilità di comando con uno o due dita, mantenendo sempre la presa ferma sulle manopole: nelle lunghe discese questa qualità è stata molto apprezzata in quanto ci ha permesso di mantenere mani e dita in una posizione confortevole nonostante le molte sollecitazioni.
La lunghezza dei tubi idraulici è generosa per la maggior parte dei montaggi (hardtail con escursioni 80-115 mm). Le pinze non sono eccessivamente esposte ad eventuali urti come si potrebbe pensare: una volta installate, sono in posizione sufficientemente arretrata rispetto al fodero della forcella e al tubo del carro per essere al riparo da piccoli incidenti di percorso.
Il sistema pistonless, disponibile unicamente nelle pinze PCB, oltre a offrire performance molto rilevanti, è esente da fenomeni di rallentamento della corsa che sovente si riscontrano sugli impianti frenanti idraulici: come noto, stress termici, polvere e fango possono diminuire la capacità dei pistoncini di rientrare nelle loro sedi; abbiamo verificato che le membrane ad alta resistenza delle pinze PCB risolvono brillantemente questo problema: ogni volta che la ruota è stata smontata e rimontata sulla forcella, le pastiglie erano correttamente in posizione di riposo, e non è stato necessario rivedere il centramento della pinza.
L’utilizzo di pompe radiali, tipico dei sistemi high end, comporta, rispetto ai sistemi tradizionali, innegabili vantaggi quali l’aumento del levaraggio, la progettazione di un cilindro della pompa di diametro superiore e una maggiore resistenza alla flessione rispetto all’asse del manubrio, eliminando ogni torsione della forza applicata alla leva (la pressione sulla leva viene trasmessa direttamente al pistone della pompa, senza dispersioni di energia). Queste caratteristiche fisiche si traducono in ottime prestazioni e precisione dell’azione frenante. La resina utilizzata per il monoblocco della pompa, materiale scelto probabilmente per contenere al minimo il peso del manufatto, si è rilevato appropriato e resistente.
La bici utilizzata, Giant Terrago 3 con forcella Rock Shox Reba Race da 115 mm di escursione, è stata equipaggiata con coperture adatte ad un uso cross country e all mountain e dal buon grip, come per altro suggerito dal manuale di istruzioni Ashima PCB, con pressione di gonfiaggio leggermente inferiori ai valori nominali per aumentare il grip in discesa.
A questo punto non ci resta che metterci in sella e partire.

Dove e come è stato effettuato il test.

Abbiamo finalmente potuto provare l'impianto frenante Ashima PCB con un test approfondito e gravoso che si è svolto principalmente sui percorsi del Kona Bike Park di Crans Montana, nel cantone Vallese in Svizzera. Questa location è stata scelta da un lato per poter approfittare di una risalita meccanizzata in modo da potersi concentrare il più possibile sulle prestazioni dei freni in discesa; dall'altro, per percorrere sentieri e tracciati con caratteristiche molto varie (pendenze accentuate, passaggi tecnici, terreni smossi e compatti eccetera) come quelli del bike park svizzero. Grazie ad una giornata soleggiata, il terreno si presentava asciutto e polveroso nella totalità del percorso, anche all'interno del bosco.
Il comprensorio di Crans Montana
I due tracciati (difficile e intermedio) sono lunghi circa 7 km per un dislivello totale di quasi 800 m (dai 1500 m scarsi della partenza ai 2270 m della cima) ed ovviamente hanno richiesto un utilizzo molto intenso dei freni. Superfluo quindi scrivere che una parte importante del test è stato effettuato in condizioni decisamente più gravose di quelle tipiche di un'escursione o di una competizione cross country e marathon.
La scelta di un contesto gravity è stata dettata dall'esigenza di percorrere molti chilometri (e molti metri di dislivello) in discesa, ma vogliamo dire subito che il sistema frenante oggetto di questo test non è pensato né venduto per uso in discipline gravity come il downhill e il freeride.
Un tratto della discesa

Come già scritto nel precedente articolo, gli Ashima PCB sono pensati per i corridori esigenti che vogliono affrontare l'agonismo nel cross country con freni performanti e leggeri. Per tale motivo, abbiamo completato il test con un'escursione a Lac Chermignon che, per pendenze e caratteristiche del terreno, possiamo descrivere come tracciato tipicamente cross country. In questo caso, le condizioni meteo erano meno gradevoli, con una pioggerellina persistente che ha reso il fondo bagnato e a tratti coperto da un sottile strato di fango.
Per semplicità, sintetizziamo le impressioni e le performance degli Ashima PCB osservate in quattro diverse condizioni di terreno e guida.
  1. Passaggi tecnici con pendenze importanti, ostacoli naturali (radici e pietre) e terreno compatto, condizione che si incontra frequentemente nel percorso difficile del bike park. Tali passaggi sono stati affrontati, anche per via della bici utilizzata, a velocità sempre moderata, copiando gli ostacoli. In questo contesto abbiamo potuto constatare una notevole modulabilità della frenata che ha consentito di descrivere traiettorie pulite senza mai bloccare il posteriore o far perdere aderenza all'anteriore, in particolar modo sulle radici sporgenti. I freni sono reattivi, il comando è sensibile e l'azione è commisurata alla pressione esercitata sulle leve; il biker ha una sensazione di controllo costante, anche in situazioni di cambiamenti repentini delle condizioni del fondo (dalle radici alla sdrucciolevole vegetazione del sottobosco). Pertanto, la modulabilità ci è parsa la caratteristica migliore e più riuscita degli Ashima PCB.
  2. Discese lunghe con pendenze costanti, terreno misto compatto e smosso con pietre, ghiaia e sabbia. Sono le condizioni prevalenti nel tracciato downhill di difficoltà intermedia del bike park, e anche quelle che impegnano in frenate molto prolungate. I cambiamenti del terreno sono spesso repentini e richiedono, oltre all'esperienza di chi guida, una potenza costante e buone capacità di dissipazione del calore. Durante il nostro test abbiamo riscontrato una buona resistenza alle frenate lunghe e impegnative che, in alcune occasioni, hanno messo un po' alla prova il freno anteriore, con un leggero fading e sensazione “spugnosa” delle leva alla fine della discesa. Siamo persuasi che l'utilizzo all'anteriore di un rotore più grande (180 mm) e di pastiglie sinterizzate aumenterebbero la resistenza della frenata. Nessun problema, invece, è stato riscontrato al posteriore. Considerata la prova davvero impegnativa, possiamo dirci più che soddisfatti dalla resistenza degli Ashima PCB.
  3. Tratti ripidi con pendenze particolarmente accentuate in alcuni punti, ostacoli naturali e artificiali (dossi, drop copiabili, passerelle in legno), curve paraboliche. In tale contesto la potenza e la capacità di controllarla sono elementi fondamentali. Gli Ashima PCB sono stati all'altezza della situazione anche in punti decisamente ripidi del tracciato. Solo in alcune occasioni e dopo un uso molto prolungato (alcune centinaia di metri di dislivello senza soste) è stato necessario azionare la leva del freno anteriore con due dita. Riteniamo che per un uso cross contry anche agonistico e in un all mountain non esasperato la potenza frenante dei PCB sia più che adeguata.
  4. Tracciato cross country con saliscendi a pendenza moderata e ostacoli naturali non impegnativi. In realtà, è l’ambiente per cui gli Ashima PCB sono stati sviluppati. Le caratteristiche di potenza, prontezza e modulabilità emergono chiaramente, dando al ciclista un senso di affidabilità anche su fondo scivoloso.


Giudizio in sintesi.

Ci siamo divertiti a spremere gli Ashima PCB per un bel po' di chilometri e moltissimi metri di dislivello, trattandoli senza troppi riguardi in un ambiente decisamente più ostile e impegnativo rispetto a quello per cui sono indicati dal costruttore.
Nonostante le molte sollecitazioni e gli strapazzi a cui sono stati sottoposti, i freni idraulici Ashima PCB si sono dimostrati senz'altro all’altezza tanto delle prestazioni dichiarate dalla casa costruttrice quanto delle nostre aspettative. In definitiva, gli Ashima PCB si sono rivelati un impianto frenante molto innovativo, affidabile e dalle prestazioni ottime per un uso cross country e marathon anche agonistico, dove l’attenzione al peso non è mai secondaria alle performance: sono oggettivamente tra i freni idraulici più leggeri in commercio e, come verificato, tra i più potenti ed affidabili.
Apprezzabile la semplicità della sostituzione delle pastiglie e la resistenza alle sollecitazioni, elementi che riducono al minimo la manutenzione necessaria.
Riteniamo che, adottando un rotore da 180 mm all’anteriore, questo impianto potrebbe essere utilizzato anche in contesti più impegnativi come l’all mountain (leggero).
Particolare non irrilevante, in tutte le condizioni e situazioni i PCB si sono dimostrati silenziosissimi, senza fastidisi fischi o rumori. A fine test abbiamo riscontrato un consumo contenuto e uniforme dei ferodi. 
Non dimentichiamo, infine, l’importanza dell’aspetto estetico: con un design decisamente aggressivo, particolari colorati in rosso (per altro felicemente abbinabili con i rotori Ashima AiRotor con spider rosso) ed elementi inusuali (i tubi ad alta pressione delle pinze), gli Ashima PCB non passano certo inosservati e alzano il livello di montaggio di mezzi di fascia medio alta. Insomma, freni complessivamente molto ben progettati, potenti, affidabili, ed esteticamente riusciti.

Problemi riscontrati.

Al termine del test il rotore anteriore è risultato lievemente piegato in un punto: potrebbe essere colpa di un urto accidentale con un ostacolo naturale ma non possiamo escludere le elevate temperature raggiunte come possibile causa. È stato riscontrato anche un leggero fading della frenata anteriore con una accennata spugnosità della leva, che comunque non hanno compromesso le prestazioni frenanti in situazioni non estreme.

Possibili migliorie.

Il forcellino che blocca il perno a cui sono vincolate le pastiglie potrebbe essere sostituito con un sistema più gestibile. La regolazione tool less della distanza della leva sarebbe molto comoda.

La videorecensione.

Di seguito un breve video, registrato presso il Kona Bike Park di Crans-Montana (CH), con alcuni commenti e considerazioni sul test degli Ashima PCB.