29 novembre 2009

Kenda Small Block Eight, prova su e giù per la Collina di Torino.

Fa' la cosa giusta.
Per l'inverno ho deciso di concentrare i miei sporadici allenamenti prevalentemente su strada per incrementare un po' di muscoli e soprattutto fiato e resistenza. Ho quindi sostituito le coperture di primo equipaggiamento della mia Terrago con un paio di Kenda Snall Block Eight (John Tomac Series) 26 x 1.95, versione pieghevole. Per inciso, si tratta di una versione derivata dalle Navegal, ma con tasselli più piccoli e ravvicinati, e doppia mescola (morbida ai lati, più scorrevole al centro).



La scelta è motivata da alcune considerazioni. Primo: per uso XC sono tra le più scorrevoli, ovvero offrono meno resistenza e attrito al rotolamento, il che le rende ideali per terreni compatti e duri nonché per strada. Secondo: sono le più leggere, davvero; stiamo sui 450 grammi l'una.Terzo: esteticamente sono gradevoli, ma questo è un di cui.



La prima operazione è stato il montaggio, non semplicissimo se siete abitutati a coperture rigide con il cerchio in acciaio. Le folding vanno adattate e aggiustate spesso durante il montaggio su cerchio, e non è da escludere che, una volta terminata l'operazione, si debba sgonfiarle le camere, risistemare la copertura e ringonfiare. Alla fine ci si riesce.



Andiamo alla prova pratica.
La primissima sensazione che ho provato sollevando la bici è stata di leggerezza. Certo, le gomme di primo equipaggiamento erano due macigni, ma la differenza di peso è notevole a vantaggio della pedalata.
Il test che avevo pensato ha avuto un fuori programma, un intinerario non previsto. Lo vedremo dopo. La parte programmata, invece, si è svolta su un percorso misto, metà su asfalto, e metà su sterrato compatto (ghiaietta, terra dura), ovvero da Settimo Torinese attraverso Castiglione in direzione Chieri fino alla Rezza di Bardassano, e quindi tutta la strada Gassino Bardassano fino a Gassino. Nella mappa qui sotto,è grosso modo il percorso che va da A a E (trasferimento Settimo Castiglione escluso).





Il comportamento su asfalto delle Small Block è stato anche superiore alle aspettative. La resistenza al rotolamento è davvero ridotta e, conseguentemente, si disperde molta meno energia in pedalata. Quest'effetto è coadiuvato da un peso molto contenuto delle coperture. Nella salita pedalata su fondo duro, lo Small Block  si rivela quindi una copertura di primissima scelta ma dà grandi soddisfazioni anche su altri aspetti: la tenuta su sterrato e ghiaia, e l'ottimo comportamento in frenata, anche brusca. Il controllo e l'aderenza sono costanti e trasmettono generalmente fiducia e sicurezza. Anche con gonfiaggi a pressioni elevate (io sono partito con 3.5 bar proprio per faticare meno su asfalto), la tenuta è davvero soddisfacente. E se il sentiero presenta vegetazione, foglie, un po' di terreno smosso o molta ghiaia, niente paura: queste coperture non vi tradiranno. Ma lo ribadisco: su asfalto la differenza con le mie precedenti Kenda di serie è stata enorme. Tant'è che, senza averlo programmato, una volta sceso a Gassino, ho deciso di affrontare il mio demone e di salire alla Basilica di Superga, via Rivodora (si sale dalle parti di Sambuy).



La strada, tutta asfaltata, è abbastanza tosta se non si ha un allenamento almeno discreto. E qui le Small Block mi hanno dato una manona: non dico che è come stare su una bici da corsa, ma vanno su che è una meraviglia. E infatti, eccomi arrivato sul piazzale della Basilica, accolto da uno sprazzo di sole e da un bel cielo blu.




Ok, questa è la salita. Ma per scendere da  che parte si va? O a ritroso sull'asfato oppure per i sentieri come il 26, il 28 e il 29.


Visualizza 26-28-29 in una mappa di dimensioni maggiori


Fa' la cosa sbagliata.
Montare un paio di Small Block ad inizio inverno, con probabilità di pioggia e terreni fangosi, non è una buona idea o, almeno, non è tra le più sensate. Soprattutto se si decide di abbandonare il bitume e seguire i sentieri fangosi della Collina.Perché sul piazzale ho scambiato quattro chiacchiere con un biker esperto ed è finita che l'ho seguito nella dicesa. La mappa qui sopra, ad opera di Glaucoso, mostra i sentieri 28 e 29 che, insieme al 62 e all'anello verde, abbiamo percorso dalla Basilica fino al confine tra Torino e San Mauro.
Sia detto per inciso, il sabato precedente mi ero unito con entusiasmo ad un gruppo di free rider per affrontare alcuni percorsi per me impegnativi, come Tanohill, Calcetano e Thermos. La discesa (anzi, le discese) non è stata banale, in quell'occasione, nonostante la Stinky e il gruppo davvero simpatico: fango ce n'era da vendere e, siccome mi piace il contatto con la natura, ogni due per tre ero lungo a terra. Pensare di rifare tracciati anche solo simili con un mezzo quasi da strada non mi rallegrava...
Tornando a ieri, il mio occasionale compagno ha subito storto il naso vedendo le Small Block: "Con quelle ruote avrai da divertirti". Il 28 e il 29 sono ripidi ma non sono sentieri free ride e, grazie al raggio di sole spuntato nel cielo, non erano nemmeno invasi dal fango. Com'è come non è, il mio test drive su strada si è trasformato in uno stress test su smosso, misto stretto e single track scivolosi.

Per prima cosa ho ridotto di un po la pressione delle gomme; quindi mi sono affidato al biker che mi precedeva e la discesa è iniziata.
Le Small Block non sono gomme per questo tipo di percorsi: drenano poco il fango, non hanno sufficiente grip e i tasselli sono piccoli. Tuttavia...
Lentamente, perché chi va piano va sano e va lontano, affidandomi anche al lavoro egregio della Reba Race e dei dischi Ashima, la discesa non è stata critica. Anzi, è stata divertente. Certo, è stato necessario controllare ogni movimento, impostare con grande cura l'anteriore, tenere sempre conto del fatto che la Terrago è una front con tutti i suoi limiti, ma le gomme sono riuscite a fare il possibile per trarmi d'impaggio nei passaggi più difficili e scivolosi o dove la vegetazione era più evidente.



Nei tratti di terreno più asciutto, sono sceso in tutta sicurezza e, per i miei standard, anche veloce. Anche in quei passaggi con pietre e radici (ma perché sono sempre insieme?) le gomme hanno tenuto. Nessuna caduta, nessuno scivolone. Solo un bellissimo sentiero con un letto di foglie rosso scuro e ricci di castagne. Una discesa emozionante.

Tiriamo le somme.
Che sul duro siano a proprio agio, lo avrete capito. Sono leggere da morire. Mi pare abbastanza resistenti: con un atto di fede ho attraversato un tappeto di ricci e non ho forato. Vedete voi. Non le consiglierei come coperture invernali se avete in programma di starvene nel fango come maiali, ma voglio spezzare una lancia a favore delle Small Block: se vi capiterà di trovare dello smosso, con un minimo di controllo non finirete a pelle d'orso. Il titolo Fa' la cosa sbagliata, quindi, è un po' esagerato.

13 novembre 2009

Un amico mi ha invitato su Google Wave...

...e sinceramente non è intuitivo quanto la maggior parte dei servizi Google. Avevo fatto richiesta molto tempo fa per partecipare a Google Wave ma non avevo ancora ricevuto una conferma o un invito. In compenso oggi ho trovato questo disegnino che spiega benissimo che cos'è Google Wave oggi.



Ad ogni modo sto provando Google Wave con uno dei miei contatti. Stiamo creando un'area condivisa per attività collaborative. E' possibile condividere immagini, testo, attività, e archiviare le sessioni molto velocemente. Tuttavia i comandi che iniziano le diverse attività in una sessione non sono tutti a portata di mano e la prima impressione è che Wave non sia molto diverso da o molto più potente di Google talk, Gmail, Google Documents e Calendar; solo sembra che questi tool siano disponibili ed aggregati in una sola schermata.


Abbiamo provato a condividere un file di PowerPoint, ed ecco il primo baco: viene visualizzato e salvato come .doc, e quando lo si apre, ovviamente, genera un errore.
Vediamo se nei prossimi giorni riuscirò a prendere più confidenza con questo strumento.

08 novembre 2009

E' passato un mese dal mio ultimo post.

Tranquilli, sto bene. E' che ho poco tempo, viaggio tanto e non riesco a tirare fuori quello che ho dentro. Domani, magari.

07 ottobre 2009

James Frey, Buongiorno Los Angeles.



Non fatevi trarre in inganno da quella piccola scritta sulla copertina che dice ROMANZO. Buongiorno Los Angeles non è un romanzo o, meglio, non è solo un romanzo. Frey, giustamente osannato dalla critica, rompe con gli stili propri della narrativa e propone una struttura innovativa in cui quattro storie principali, popolate di personaggi dolenti e destinati a soccombere al proprio destino o accecati dalla propria onnipotenza, si intrecciano con altre storie minori (sovente appena accennate) e con una gustosa aneddotica capace di trasformare questo volume in un saggio di sociologia urbana, in un resoconto di storia contemporanea, in una rubrica di stranezze e curiosità.

Con il suo fascino perverso e le sue 330 giornate di sole all'anno, Los Angeles, multiforme, tentacolare, perennemente attraversata da un flusso di automobili e persone, attrae nel suo ventre tutto il campionario umano, uomini, donne e ragazzi i quali, più o meno legalmente, lasciano la loro città o il loro Paese per tentare la fortuna lì, sotto il cielo della città degli angeli, lasciandosi alle spalle mille vite diverse, confluendo come un fiume in piena in una moltitudine di etnie, religioni, classi.

Ma non a tutti va bene. Anzi, sia detto a chiare lettere: questa è una città (o, se preferite: questo è un libro) che si fa pochi scrupoli, non conosce pietà, non perdona niente e nessuno. Buongiorno Los Angeles è un libro vero come la vita perché quasi sempre sono i cattivi a vincere mentre i buoni, i deboli e i miti soccombono, sconfitti, umiliati, uccisi.

E' un libro che raccomando a chi vuole farsi un'idea di questa metropoli al di fuori dagli schemi patinati e dai cliché hollywoodiani. Buongiorno Los Angeles è un testo importante per conoscereda dentro l'altra faccia del sogno americano: quello da cui, nel migliore dei casi, ci si sveglia consapevoli di aver fallito e di aver perso tutto e, in molti altri casi, non ci si risveglia mai più.

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Buongiorno Los Angeles
di James Frey
TEA, 555 pagine, 16,60 euro

02 ottobre 2009

So what. SO WHAT?

non ho piu' scritto molto. anzi, quasi zero. ne ho ben d'onde, ci ho i miei sacrosanti motivi. per questo breve aggiornamento non usero' nemmeno le maiuscole. ci ho i miei sacrosanti motivi.
lasciate che ve lo dica: qualche kilometro l'ho fatto. eppure, le distanze... e' come se non riuscissi a rassegnarmi.
invece dovrei essere cosi' onesto e coraggioso da fermarmi un attimo, tirare un respiro profondo e ammettere a me stesso che ho perso un sacco di persone e di legami e che non c'e' niente, ma proprio niente, che io possa fare per tornare indietro.
e' solamente il ragionevole e necessario prezzo che deve pagare chi e' lontano? oppure ho commesso cosi' tanti sbagli?
distanze, distanze. eppure, qualche kilometro l'ho fatto.
cambiamo discorso, che pero' in qualche modo c'entra perche' di strade e di distanze si parla diffusamente.
sto leggendo Buongiorno Los Angeles di James Frey, libro che ho acquistato -- perche' negarlo -- per il titolo e l'ambientazione (l'antica, mai sopito amore per la metropoli californiana) e accidenti se meritava l'acquisto. di cosa tratta, scopritelo nelle recensioni, io poi postero' la mia qui sul blog. non e' un romanzo e nemmeno un saggio. e' un po' entrambe le cose, e questo lo rende gia' meraviglioso. voglio dirvi che rientra nel numero ristretto di quei libri che non vorrei che finissero, o che almeno continuassero ancora un po'. Come mio uso e costume, consigli non ne do mai. Quindi se vi va di leggerlo, bene. Fate voi.



ma non era di libri che volevo scrivere. in realta' non volevo scrivere proprio niente.
volevo (e voglio), come al solito, tenermi tutto dentro. per fortuna, questa e' casa mia e posso fare quello che voglio.
so what.

11 settembre 2009

Mendoza rocks! Un sito per ricordare Stefano.


In queste settimane, credo per i post che ho pubblicato sul mio blog, ho ricevuto molte email e contatti delle persone che sono state affettivamente e professionalmente vicine a Stefano Petrelli in questi anni. Abbiamo condiviso emozioni e ricordi e soprattutto l'entusiasmo per un concerto in suo ricordo che si terrà il prossimo 6 novembre. 

Così, molto spontaneamente, è nata l'idea di mettere on line notizie, foto e ricordi su Mendoza. Con un po' di sano artigianato ho pubblicato il blog Mendoza Rocks dedicato appunto al ricordo di Stefano Petrelli. Un grazie speciale a Matteo Carnio dei Fury 'n Grace per il supporto morale e pratico e per i contributi dati all'idea. 

Mendoza rocks!

01 settembre 2009

Mendoza, il ricordo di Matteo Carnio.

Su TrueMetal è stato pubblicato un bellissimo articolo in ricordo di Mendoza, al secolo Stefano Petrelli. Autore del pezzo è Matteo Carnio, che di Mendoza è stato grande amico nonché chitarra solista in R 'n' R Swindle e Last Dragon.
Leggetelo e condividetelo con i vostri amici.

31 agosto 2009

Test Ashima Aro 08.


Sabato mattina, approfittando delle condizioni meteo, ho caricato la Terrago in auto e mi sono diretto a Caselette per testare i rotori Ashima Aro 08 con un percorso piuttosto noto, la Pista tagliafuoco del Musinè, seguendo le indicazioni dell'ottimo Peverada. Qui sotto la mappa del tracciato.


Come potete leggere nella descrizione, è un percorso misto abbastanza impegnativo. Il primo anello che porta alla chiesa di S. Abaco attraverso una suggestiva via crucis è un sentiero di ciottoli con una pendenza costante del 16%, praticamente non ciclabile, ma da fare a spinta. Teoricamente, arrivati in cima ci sarebbe la possibilità di ricongiungersi alla via principale tramite un sentierino le cui condizioni ne sconsigliavano l'uso.

Così ho fatto dietro front e ho percorso la salita per S. Abaco in discesa (2-3 km). Il fondo davvero irregolare e la pendenza importante sono stati una prima interessante prova per i freni (e la Reba Race) che si sono dimostrati pronti, reattivi e resistenti alle sollecitazioni lunghe così come all'uso impulsivo.

Quindi ho imboccato il Viale S. Abaco (percorso rosso) nel noto saliscendi dal fondo sconnesso. Ancora una volta gli Ashima si sono mostrati all'altezza della situazione. Qualche rumore lo fanno, ma è per via delle pastiglie metalliche. D'altronde l'importante è che frenino, e lo sferragliamento (comunque lieve) è sopportabile. Giunto al bivio, ho deciso di percorrere l'impegnativo anello della via Tagliafuoco: una salita con pendenza che stimo intorno al 12-13%, fondo spesso molto sterrato ma anche lunghi tratti di asfalto.

Purtroppo un mal di testa insopportabile e un inizio di colpo di calore fantozziano mi hanno fatto desistere a soli 3 km dal P. Pluc (mai rischiare quando si è da soli), così sono tornato indietro affrontando la lunga discesa che avevo appena percorso in salita. Qui i freni si usano praticamente sempre, potete contarci. E non è uno di quei punti in cui possono piantarvi in asso. Gli Ashima accoppiati alle pastiglie Alligator hanno dato risultati più che meritevoli, senza mostrare segni di affaticamento né allungando gli spazi di frenata.

Rientrato sul tracciato principale, ho percorso a ritroso il panoramico saliscendi del Tagliafuoco, in tutte le condizioni di terreno possibili: dall'asfalto alle pietre alla terra fangosa all'erba. Non ho avvertito cedimenti, anzi: sempre una reazione pronta, nonostante le sollecitazioni non siano mancate. D'altronde ero in fase di test, e quindi non ho risparmiato gli affondi sulle leve. Ci vuole un minimo di sensibilità perché la frenata è potente (la ruota anteriore si blocca senza spremere troppo). Ma appena capita la risposta, il feeling è immediato.

Se dovessi dirvi che ho percepito la diminuzione di peso, mentirei. Ma su efficienza, sicurezza e impatto esteico, il risultato è rispondente alle mie aspettative.

29 agosto 2009

Ashima Aro 08 su Giant Terrago 3.

I kilometri macinati quest'estate e soprattutto le discese impegnative hanno messo a dura prova alcune parti della mia Terrago. La forcella di serie, una Suntour da 100mm, è stata sostituita da una Rock Shox Reba Race dual air da 115mm, intervento di cui sono molto fiero.

Tuttavia, l'impianto frenante di serie, già non brillantissimo, era arrivato un po' alla fine. Per conoscenza, si tratta di uno Shimano "non series" (cioè OEM) BR-485: non cercatelo nel sito Shimano perché non c'è. Insomma, come per la forcella, volevo fare il salto di qualità e già che c'ero perdere qualche grammo.

Così ho cominciato ad interessarmi di rotori e pastiglie. Come molti, sono stato colpito dai dischi ultraleggeri Ashima Airotor, e ne ho valutato per un po' l'acquisto. Dopo lunghe e contraddittorie ricerche in rete, ho deciso di fare di testa mia e ho così programmato l'upgrade, acquistando da Lordgun (gentili e velocissimi) i seguenti articoli:
  • rotore anteriore Ashima Aro 08 da 180 mm
  • adattatore postmount Shimano IS 160-180 mm
  • rotore posteriore Ashima Aro 08da 160 mm
  • pastiglie Alligator semimetalliche
Ecco come si presentava la mia Terrago oggi prima dell'upgrade:


Questa che leggete non vuole essere una guida per cambiare dischi e pastiglie su una mountainbike, ma se trovate utili queste note ne sono più che contento.

Non servono molti attrezzi: una chiave torx da 25, una esagonale da 6 per smontare pinze e adattatori, una pinza a becco, lubrificante al teflon, carta o stracci per pulire, e un po' di pazienza.

Qui si vede il rotore posteriore Shimano da 160 mm.



E qui il rotore anteriore, sempre da 160 mm.


Dopo aver smontato le due ruote, con la chiave torx si svitano i 6 bulloni con cui sono fissati i rotori ai mozzi. Compita quest'operazione, già che ci siamo diamo una pulita ai mozzi e poi avvitiamo i due nuovi rotori con i buloni dati in dotazione.

Rotore posteriore:



e rotore anteriore. Facile no?



Quindi occorre montare il nuovo adattatore che supporta il disco da 180 mm. Per ora meglio non serrare i bulloni: si farà dopo, con la regolazione della posizione delle pinze.



Ora viene il bello. Cambiare le pastiglie.
Dopo una rapida occhiata alla documentazione tecnica Shimano, inizio con la pinza anteriore, ancora smontata dall'adatattore. Procedo sfilando la forcellina precedentemente allentata, quindi estraggo le due pastiglie e la molla. Ne approfitto per pulire la pinza, oliare i pistonici con una minispruzzata di olio al teflon.
Con un po' di fatica si riportano in posizone di riposo i pistonicini: devono essere completamente allinati alla pinza. Questa procedura è identica per la pinza posteriore e può essere effettuata svitando un solo bullone dell'adattatore e facendola sporgere oltre il fodero del carro. Nella figura sotto si vede pinza e pistoncini belli puliti: è il momento di montare le nuove pastiglie:



Ed ecco fatto. Se lo spazio tra le pastiglie non fosse sufficiente, significa che i pistoncini non sono ancora in posizione di riposo. Ricominciate dal punto precedente.




A questo punto non resta che rimontare la ruota anteriore e quindi perdere un bel po' di tempo per allineare perfettamente la pinza rispetto alla ruota in modo che non strisci sulla pista del rotore. Il posizionamento si effettua agendo (ad occhio, credo, almeno io ho fatto così) sui bulloni che collegano la pinza all'adattatore.
Ed ecco la ruota rimontata sulla forcella. Il miglioramento estetico è indubbio!


Qui si vede la pinza posteriore: vale la stessa prodeura descritta per quella anteriore. Beh, già che ci siamo diamo una pulitina a questa zozzeria.



Ruota posteriore rimontata. Siamo pronti per l'allineamento delle pinze.



Terminata il secondo allineamento, non resta che capovolgere la bicicletta e guardare il lavoro appena completato. Purtroppo lo sfondo grigio non rende molto.


Ecco il particolare dei due rotori Ashima Airotor Aro 08 appena montati.



Tutto finito? beh, manca la prova pratica.

Breve test rotori Ashima Airotor Aro 08 (website)

Il test si è svolto come di consueto nel parco fluviale del Po tra Settimo e San Mauro torinese in un misto di ghiaia, prato, sabbia, pietre e asfalto, per un totale di 12 km circa. Lo dico subito: niente discese toste, solo qualche dosso e molto accelerazioni e decelerazioni.
Numero uno: questi rotori ben allineati e accopiati con pastiglie Alligator semimetalliche non fischiano, almeno a me. Come raccomandato, eseguo un rodaggio moderato, frenando con progressivamente per adattare le pastiglie alle piste frenanti.
Numero 2: il confronto con i miei Shimano non è sbalorditivo, ma la differenza si sente, soprattutto alla fine del test: frenata pronta, rapida, progressiva. Le brevi discese disponibili hanno confortato questa impressione. Certo, la Reba Race ci mette del suo ad assorbire l'assorbibile, ma per ora mi sembra proprio di aver fatto un buon acquisto.
Alla prima uscita seria scriverò qalcosa di più.

Il test completo di questi dischi ve lo potete leggere qui.

25 agosto 2009

Gianni Flamini, Il libro che lo Stato italiano non ti farebbe mai leggere.

Sono due volte di parte, primo perché, come noto, da anni mi diletto nella lettura di saggi sulla strategia della tensione e in secondo luogo perché adoro Flamini per cosa scrive e per come lo scrive.

Ciò premesso, l'ultimo libro del giornalista bolognese riprende alcuni dei temi già trattati nel magistrale L'Italia dei colpi di stato e offre una disanima ragionata e organica di altri fitti misteri della storia italiana. In particolare, il capitolo conclusivo sui rapporti tra la mafia dei corleonesi ed alcuni esponenti dei servizi di sicurezza racconta in maniera puntuale l'evoluzione della strategia mafiosa dai grandi attentati alla pace apperente, offrendo una versione dei fatti decisamente meno edulcorata di quella disponibile nelle cronache dei giornali e nelle fiction televisive.

Ancora una volta le fonti documentali e le vicende giudiziarie confermano il rapporto di connivenza e protezione offerto da certe parti dei servizi di sicurezza ad alcune frange dell'estremismo di destra impegnate in atti sanguinari volti a richiamare un potere forte ed autoritario.

Le ricerche di Flamini varcano i confini nazionali e ci raccontano del ruolo svolto da potenze straniere (USA e Israele in testa) nel condizionare in modo per lo meno illegittimo e antidemocratico la vita polica ed istituzionale del nostro Paese.

Flamini scrive cose sacrosante, lo fa citando sempre le fonti e senza tanto andare per il sottile, e condisce queste cronache tragiche con un umorismo nero che scivola spesso in toni gradevolmente sarcastici.

Scheda del libro