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25 settembre 2017

Rocket A-202 pickup per chitarra acustica (homage L.R. Baggs Anthem SL) / parte 1

Antefatto

Circa tre anni fa vi avevo raccontato come avevo installato un pickup Fishman Sonitone, acquistato da un negozio del marketplacve Aliexpress, su una fortunata Ibanez dreadnought. Il tutorial lo trovate qui.
(Piccolo inciso. Pare assodato che molti prodotti Fishman venduti su Aliexpress siano falsi -- leggasi contraffatti -- oppure, più frequentemente, realizzati da terzisti senza l'autorizzazione o il controllo di qualità del manufacturer. Io propendo per la seconda, specie se consideriamo che flasificare un sistema OEM come il Sonitone difficilmente renderà ricco qualcuno).
Il sistema installato ha funzionato per questi tre anni egregiamente: la Ibanez è la chitarra che porto in sala prove e che uso per studiare. Credo di aver cambiato la batteria da 9v una volta.
Tuttavia nel corso dell'uso, questo pickup ha mostrato i limiti intrinseci di un sistema piezoelettrico: buona trasduzione del suono sotto il ponticello, quindi una trasmissione delle vibrazioni dalle corde al sensore mediata dal ponticello, ma decisamente poca reattività nelle altre aree del piano armonico.
Ne patiscono certi arrangiamenti fingesrtyle con una parte percussiva, e si rende evidente nel confronto con le Taylor che hanno uno o più sensori a contatto montati sotto la tavola armonica.
Ho maturato quindi l'idea di fare il salto verso un sistema ibrido che ad un trasduttore piezoelettrico aggiungesse un altro sensore a contatto ma che mantenesse inalterata la fisionimia della chitarra. Quindi niente interventi invasivi con scassi sulle fasce o sul fondo.

La ricerca

I sistemi L.R. Baggs come l'Anthem e l'Anthem SL sono, in questo genere, un riferimento per prestazioni, fedeltà e impatto ridottissimo. 
Tuttavia installare un sistema da 200 e passa euro su una chitarra pagata 50 , ed utilizzata come muletto, non mi è sembrata la scelta più saggia.
Così nello scorso anno mi sono messo a cercare sistemi analoghi su Aliexpress e per mesi ho monitorato alcuni pickup che potremmo definire homage (fortissimamente ispirati, spudoratamentre copiati, fate voi) agli L. R. Baggs, come l'Anthem SL mostrato nella foto sotto.


L'homage più simile per configurazione, dimensioni ed aspetto è il misterioso Rocket YS-A-202. 

Analisi

Dico misterioso perché non è dato sapere chi si cela dietro a nomi e sigle. Difficile anche conoscere le funzionalità, appena accennate sugli store dei marketplace.
Uguali in tutto? A prima vista sì: sensore piezoelettrico, sensore a contatto di forma allungata, preamplificatore integrato nell'endpin jack; pure i sistemi di ritenzione del cablaggio sono copiati. Ma a ben guardare qualcosa è diverso.
La prima differenza con il sistema L.R. Baggs è la presenza di un secondo potenziometro sul modulo di controllo; a cosa serve? Il sito non lo dice a chiare lettere ma escludo che sia un mixer dei due segnali; io credo che sia volume + tono. 

Fatto sta che a meno di 23 euro spedito ho voluto togliermi lo sfizio. Tempo 15 giorni è stato recapitato a casa. No dogana.

Unboxing

Parlare di unboxing con questo prodotto è quasi pretenzioso. Tolti due imballi di plastica e scotch, si è palesata una anonima scatoletta di cartone ammaccata (senza danni per l'interno) con una laconica etichetta. Indovinate un po'? A-202.



Scordate Apple e soci. Qui si bada al sodo. Dentro la scatola ci sono due sacchetti di plastica con ziplock che contengono i componenti e due pezzi di gommapiuma nera. 
Manuale di istruzioni? Certificato di garanzia o di conformità RoHS? Siamo seri. Niente di tutto ciò.
Per il manuale di installazione, si fa presto: si impara (anche questo) dal sito L.R.Baggs. 


courtesy of L.R.Baggs


Lo schema di montaggio che si trova in rete è una copia dell'originale ma la scelta di posizionare il trasduttore a contatto di sbieco non mi pare buona.


Vediamo il contenuto, esattamente come atteso.
Intanto, la qualità generale percepita è buona: materiali al tatto solidi, zero sbavature. Anche i collegamenti elettrici sono assicurati con guaina termorestringente.

Prima foto: il modulo di controllo (con adesivo 3M) da un lato. Sullo sfondo si vede il sensore piezoelettrico flessibile (color argento) insieme a parte del cablaggio. Sotto il preamplificatore miniaturizzato integrato nell'endpin jack, uno schema consueto in questi sistemi.


Ecco il trasduttore a contatto, dotato di due adesivi 3M sul retro. Andrà incollato saldamente all'interno della soundboard, in prossimità del ponte.
EDIT: mi segnalano che dovrebbe trattarsi di un microfono a condensatore. Certo, se Rocket fornisse le specifiche...



Ed ecco i sistemi di ritenzione del cablaggio elettrico: lamine di metallo da incollare e piegare.


Per finire l'immancabile e supercheap custodia in nylon per la batteria da 9V, con adesivo sul retro. Per fortuna la mia Ibanez è già dotata di un portabatteria saldamente incollato all'interno del tacco del manico. Un lavoro in meno. 


Ovviamente prima di mettermi a smontare e montare tutto, devo fare due cose essenziali:
  1. registrare qualche pattern con il Sonitone (mi serviranno per confrontare il suono con il Rocket)
  2. verificare se il contenuto della scatola funziona; sarebbe ben triste montarlo e scoprire che è rotto!
Per il punto 2, molto semplice: collego una batteria fresca da 9 volt, inserisco un cavo nell'endpin jack e collego il cavo all'amplificatore. Se l'aggeggio funziona, il piezo e il microfono emetteranno qualche rumore quando li percuoterò.




Funzionano entrambi. E' una buona notizia.
Come? Con che qualità? Questo lo si saprà solo quando lo avrò montato.

Fine della prima parte.

13 novembre 2016

Lilac Wine Live @ Circolo ARCI SUD Torino 11-11-2016 [video]

Venerdì sera con i Lilac Wine siamo stati ospiti del format Indiependence Day per dividere lo stage del circolo ARCI Sud di Torino con altri artisti (Bonetti, Pierangelo Iozzia e Il Complesso QRS, Near Ocean). Un grazie particolare a Marco Zuppa che ci ha invitati e ha lavorato come organizzatore e fonico, e a Gigi Bandini che ha presentato i gruppi.
Ecco il video della serata, in presa diretta, senza editing né titoli. Buona la prima, ed era questo lo spirito della bellissima serata.
PS. sì, dopo la prima strofa di Thinking out loud, causa percussione un po' pesante, la mia chitarra era bella scordata ;-)

25 ottobre 2016

Lilac Wine - Live @ Il salotto di Mao - Il video!

Come preannunciato nel precedente post, ecco il video del concerto del mio gruppo Lilac Wine in Piazza Vittorio a Torino.

24 ottobre 2016

Lilac Wine - Live @ Il salotto di Mao (Torino, 23 ottobre)

Ieri sera con i Lilac Wine abbiamo suonato ospiti de Il Salotto di Mao organizzato da CortoCorto presso il LAB. La location era fantastica, il meglio che si possa chiedere: all'aperto, sotto i portici di Piazza Vittorio nel pieno centro di Torino.

Abbiamo scelto cinque brani che spaziassero dal rock dei Foo Fighters al pop dei Kongs of leon al soul di Amy Winehouse, e cercato di metterci tutta l'energia per scaldare il pubblico: clienti del locale e persone di passaggio che si fermavano ad ascoltare.

Sono molto contento, non posso negarlo. A parte l'opportunità di suonare in un contesto di questo tipo e davanti ad un artista veterano come Mao, le cose sono andate bene, senza particolari intoppi; forse sono riuscito a rilassarmi più del solito e a concentrarmi sul sound e sul groove del gruppo più che sullo strumento. 
Abbiamo raccolto riscontri molto positivi, e questo non può che farmi felice perché è davvero il migliore riconoscimento dell'impegno che stiamo mettendo in questo progetto acustico.

Ho registrato un video in HD del nostro show. Appena possibile lo metterò in linea. Ecco qualche foto della serata.




Un ringraziamento particolare a Mao e Daniela Trebbi, anime di CortoCorto e allo staff del Lab.

19 ottobre 2016

MTB Freeride: Water line (video)

Gli amici di Fassabike con lo straordinario rider Stefano Davarda, hanno appena pubblicato un nuovo video di freeride girato a Sasso Lungo, per raccontare la discesa non su un sentiero ma su una linea d'acqua, spesso verticale, per 300 m di dislivello negativo.
E' una linea fantasiosa, estrema, spettacolare, affrontata senza incertezze né eroismi, quasi un flow.



Questa foto racconta bene l'itinerario immaginato e seguito.


18 novembre 2015

BARONESS – Shock Me [OFFICIAL]

Il 18 dicembre - data di uscita di Purple - si avvicina e i Baroness, dopo Chlorine & Wine, hanno lanciato un nuovo singolo su YouTube.

29 settembre 2015

I Baroness e gli omaggi a Gilmour.

Basta ascoltare le prime emozionanti note del nuovo singolo Chlorine and Wine dei Baroness (l'album Purple uscirà il prossimo 18 dicembre) per cogliere alcuni omaggi e citazioni, dapprima sommessi poi più intensi, a David Gilmour.
L'intro di pianoforte richiama atmosfere dei Pink Floyd.
L'arpeggio di chitarra ha un suono di impronta fortemente gilmouriana. Il primo solo, peraltro suonato su una Stratocaster nera con un bellissimo clean, richiama Comfortably numb.
Ma è nel testo che gli omaggi si fanno più evidenti, dalla storia stessa narrata dalla canzone (ricoveri, letti di ospedale) fino alla seconda strofa in cui Baizley canta:

The day I stopped swimming 
And came out of the tide 
I’d never felt so 
uncomfortably dumb

Le atmosfere sono più cupe di quelle dei Floyd, e il primo riff distorto ci ricorda che, dopo tutto, i Baroness sono una delle band più heavy in circolazione. Ma, con questa canzone, confermano ancora una volta di essere il lato colto, complesso, intellettuale e melodico dello sludge metal.

Senza dubbio, Purple sarà IL disco del 2015.

08 settembre 2015

Suzuki V-Strom: faro posteriore/stop a LED

Dopo l'installazione di lampade Osram e luci di posizione a LED, ho sostituito la luce targa con un LED ed installato un faro posteriore sostitutivo a LED che integra luci di posizione, stop e frecce.


Per questo componente la procedura di installazione (la trovate qui) è semplice ma molto lunga (ci ho messo un paio di ore) perché richiede lo smontaggio di piastra bauletto, maniglioni e parafango posteriore, nonché un cablaggio un po' diverso da quello originale (che è basato su due lampade a doppio filamento).
Alla fine il risultato è buono.

05 settembre 2015

The Zutons - Valerie - Guitar Cover

Oggi mi sono cimentato a registrare una traccia di chitarra (un accompagnamento fingerstyle) per questa canzone dei The Zutons rifatta anche da Amy Winehouse.

The Zutons - Valerie - Cover from giuseppe piersantelli on Vimeo.

23 gennaio 2015

Dava rides with the crow.

Stefano Davarda è bravissimo rider di Canazei nonché fondatore di Fassa Bike; insieme a lui, anzi sotto la sua guida, ho fatto le mie primissime discese in bici nel 2009.

Con Stefano Davarda alla partenza del percorso Buffaure
Dava ha appena pubblicato un video di freeride estremo girato scendendo giù dal Piz Boè (3152 m di quota). Vi consiglio di guardarlo perché è emozionante. Bravo Dava!

22 novembre 2014

Liutai a Torino: come far suonare (meglio) una Taylor un po' spenta.

Il succo è che ancora una volta il bravo Giorgio Avezza liutaio in Torino mi ha risolto un problema, come aveva fatto in passato. Ma serve una premessa. Mettetevi comodi, oppure saltate a fine pagina.

Ad inizio 2014, l'attività con il mio gruppo No Hidden Fees stava andando benino, con qualche data in programma e un repertorio in crescita. Per questo ho deciso di farmi un regalo e di sostituire la mia onesta Seagull S6 QII con una chitarra di livello superiore. Dopo aver provato alcune Martin, Tanglewood, Breedlove, Larrivèe e Taylor, e soprattutto dopo aver ascoltato decine di registrazioni di svariate chitarre acustiche, mi sono orientato su una Taylor di fascia media (in legno massello) e mi sono messo alla ricerca su Mercatino Musicale.

Il suono Taylor è caratteristico e distinguibile (come quello Martin, d'altronde), ed è quello che si sente in circa la metà (faccio per dare un'idea) dei dischi pop e rock che abbiano parti acustiche; in più Taylor offre uno dei più sofisticati e naturali sistemi di amplificazione onboard, l'Expression System. A differenza di altri sistemi, combina i seguenti trasduttori:
- 1 pickup magnetico installato alla base del manico
- 2 trasduttori piezoelettrici montati sotto la tavola armonica (disattivabili separatamente dalla board interna tramite microswitch).
Quando ho trovato una 312CE usata ma praticamente nuova (nel senso che non era mai stata usata), l'ho presa al volo.

Non posso dire di esserne stato deluso. Una chitarra ben costruita, ergonomica, con un manico comodo, meccaniche eccellenti, tutta in massello. Ma non particolarmente risonante.
A questa constatazione sono arrivato dopo mesi e mesi di prove.
Prima di tutto, ho acquistato e provato tutte le marche e scalature di corde: Martin, D'Addario, Ernie Ball, Ernie Ball coated, no-brand, Rotosound, Gibson... l'elenco può continuare. Ho spaziato dalle 0.10 alle 0.12.
Strumento ottimo al canto, equilibrato ai medi, ma povero di bassi. Poco risonante ai bassi. Con un MI quasi spento. Un sustain cortissimo e debole.
I continui cambi di corde portavano miglioramenti effimeri: dopo un paio d'ore, persa l'iniziale brillantezza, i bassi tornavano muti.
Insomma, non si può dire che stavo ottenendo il suono che ci si aspetta da una chitarra di quella fascia. Di acustiche ne ho avute, e il vecchio muletto Ibanez PF10, costatami la bellezza di 50 euro, ha bassi decisamente più ricchi e profondi, ma soprattutto una risonanza a cui la Taylor non si avvicinava nemmeno.
Capirete che un po' ho storto il naso.

Nel frattempo sono andato anche per i canali tradizionali, ovvero i laboratori dei liutai. Mesi fa mi sono recato da un noto liutaio in Torino per un check generale. Alla mia domanda se trovasse normale un sustain cosi' moscio su una chitarra che costa uno stipendio, la risposta è stata più o meno che oggi tutti gli strumenti industriali prodotti in serie, su quella cifra suonano così, fine. Non ero molto soddisfatto della risposta. Ho sentito altre Taylor 312 suonare, ed erano meglio della mia.

Una frequentazione sul magnifico Unofficial Taylor Guitar Forum mi ha fatto capire due cose: la prima è che ero l'unico non soddisfatto del suono Taylor tra i tayloristi :-) e la seconda è la necessità di sostituire il ponticello originale Tusq con uno dei ponticelli prodotti dal mitico Bob Colosi.


Questo signore lavora a macchina ponticelli in osso e (ahi) avorio per la maggior parte delle marche, assicurando incrementi di tono e sustain. Su una cosa concordo: i ponticelli Tusq sono prodotti industriali economici, di discreta qualità, montati da dozzine di marche e modelli tutti diversi. Possibile che su uno strumento di un certo livello ci sia lo stesso componente che si trova su una chitarra da 300 euro o giù di lì?

Una volta ricevuto il ponticello di Bob mi sono messo al lavoro per adattarlo alla mia Taylor. Grazie al cielo, negli anni ho acquisito una certa dimestichezza e precisione in queste lavorazioni per cui, nel giro di qualche ora, il mio ponticello in osso naturale sbiancato era pronto per essere montato sulla mia Taylor, insieme ad un set di corde nuove (Rotosound 0.11-0.52,  acquistate tempo fa su consiglio di un altro liutaio).
Ad onor del vero, qualche miglioramento c'è stato. Sono riuscito a prolungare un po' il sustain e ad avere più presenza di bassi. Ma ero lontano da quanto mi aspettavo sia dal ponticello custom che da una chitarra di questa fascia. Non sto dicendo che i ponticelli di Bob non siano di buona qualità, e forse lo avevo modellato con sufficiente accuratezza dal momento che, montato sulla Ibanez, fa egregiamente il suo lavoro. Come mi spiegava Giorgio, è probabile che la densità ossea di quel componente non fosse del tutto consonante con la struttura della chitarra.

Questo video (*) è stato registrato qualche settimana fa. La Taylor montava un set di corde Rotosound usate per circa 3-4 ore il ponticello in osso realizzato da Bob Colosi.



Siccome non volevo dichiararmi sconfitto, ho continuato a cercare la soluzione.
Su un fronte, mi sono confrontato via internet con alcuni esperti, sia sul forum di cui sopra che al servizio clienti Taylor americano ed europeo (gentili e disponibili, ma la chitarra era comunque fuori garanzia, quindi potevano fare ben poco). Ho registrato un primo video per far capire che cosa intendessi in effetti quando lamentavo problemi di sustain.

Ho ottenuto due feedback da questa registrazione:
  • utenti del forum e comuni mortali hanno confermato la mia percezione di mancanza di sustain. Mi hanno dato mille consigli e suggerimenti, dimostrando di farsi carico di questo problema. Il bello di Internet!
  • da tutti i canali ufficiali ho ricevuto sempre la solita risposta: "Stai usando le corde Elixir HD?" Ok, le monterò, ma tutto il resto?
Ora, una breve digressione sul tema. E' vero, questa Taylor è venduta con corde Elixir HD, prodotto sviluppato congiuntamente delle due aziende, e tutti consigliano di usare Elixir, e anche i liutai le montano ecc. Va benissimo. Ma,  a parte che costano 30 euro a muta (5 euro a corda...) e che hanno una scalatura esagerata, c'è un aspetto di fondo che mi infastidisce: se una chitarra funziona correttamente (ergo: suona!) con una e una soltanto marca di corde, delle due l'una: o è un errore di progettazione,  o è un vincolo inaccettabile. Sarebbe come acquistare un'automobile di fascia media che, se rifornita con un particolare carburante difficile da trovare e super costoso, va a 150 all'ora; ma se metti nel serbatoio benzina acquistata ad un distributore qualunque, va a 60 all'ora e poi si ferma. Le chitarre, come ogni strumento a corda, devono funzionare con qualunque marca e scalatura per quello strumento. E' una scelta del musicista. Non è accettabile che un musicista adatti il proprio stile ad un prodotto. Fine della digressione. 
Dall'altro fronte, non ho voluto demordere con il parere de visu e, ricordandomi del grande Giorgio Avezza, mi sono deciso di andarlo a trovare nel suo laboratorio a Torino, un luogo per me magico e così ricco di dettagli, utensili, strumenti e materiali da osservare ed annusare che quasi si rischia di scordare il motivo della visita. Perché in fondo in fondo io non ho mai smesso di credere che quella chitarra potesse suonare meglio, e per me stava diventando un pensiero costante.

Giorgio, che è una persona esperta e paziente, ha anche la grande virtù di saper ascoltare. Così, dopo aver ascoltato la storia e tutti i miei tentativi, ha iniziato ad ispezionare la chitarra, centimetro per centimetro, spiegandomi il comportamento dei legni, il ruolo dei volumi e un sacco di altre cose affascinanti, e ammettendo che la tavola vibrava proprio poco ma che si trattava di un bello strumento. Poi, con grande onestà, mi ha detto: "Lasciamela due settimane; voglio suonarla con calma, e capire che cosa posso fare. Se ci sono lavori grossi, che vorrei evitare, ti chiamo prima di intervenire. Se vuoi, montiamo le Elixir, altrimenti proviamo prima con le Martin e poi decidi".

Nessuna presunzione del tipo "aggiusto tutto io" e neppure i soliti e facili luoghi comuni "ormai è tutta roba industriale" che ho sentito varie volte, ma solo l'interesse ad analizzare e risolvere un problema.

Esattamente due settimane dopo (per voi, che valore ha la puntualità?), mi ha scritto che forse aveva ottenuto qualche risultato e di passare a provarla. Mi ha spiegato che a suo parere il ponticello non era in grado di trasmettere sufficiente energia alla tavola armonica, che infatti risuonava poco, e quindi ha provato a sostituire nuovamente il ponticello, usandone uno nuovo in osso di bufalo. Nessun segreto: lo ha comprato in Internet e poi lo ha adattato, certo con molta più perizia e accuratezza del sottoscritto. Poi ha sistemato il cablaggio dell'amplificazione che era un po' libero e provocava vibrazioni. In sostanza, è riuscito a risolvere un problema oggettivo in modo non invasivo ed economico, laddove altre persone lo avevano liquidato con frasi abbastanza preconfezionate. Direi che il lavoro di Giorgio, in fin dei conti, è stato 90% analisi, ascolto, esperienza, osservazione, e 10% intervento manuale. Avrebbe potuto montare una muta di Elixir nuove e brillanti e dirmi: "da specifiche, queste sono le sue corde, senti ora come suona". Ora, appunto. Ma non sarebbe stata una soluzione.

Il risultato è stato notevole. Si è sentito subito. Nonostante la muta di corde Martin FX montate fosse stata suonata a lungo e abusata (vari smontaggi e rimontaggi nei piroli), il suono, il tono e il sustain dei bassi erano cambiati, migliorati. Soprattutto il sustain, più lungo. E' bastato appoggiare una mano sulla tavola all'altezza del ponticello per sentire la tavola armonica vibrare come non aveva ancora fatto. I bassi non si smorzano più, ora il suono e' ricco, caldo ed equilibrato. Lo sapevo che una Taylor non poteva non suonare!

Questo secondo video * è stato registrato qualche fa. E' sufficiente confrontarlo con il primo per sentire quanta energia in più le corde riescono a trasmettere alla tavola e allo strumento in generale; il suono è più pieno e completo. Avendo un maggiore sustain sui bassi, la resa tonale complessiva è finalmente equilibrata e non squillante. Questo facilita di molto sia gli accompagnamenti che gli arpeggi in fingerstyle che precedentemente soffrivano della mancanza del MI basso.



Se siete arrivati fin qui, siete chitarristi o appassionati, e quindi potete capire la mia soddisfazione nel vedere cosi' migliorato uno strumento a cui tengo molto. Alla fine non so se fossi più soddisfatto io o Giorgio, che si è dedicato con passione a questo lavoro, e si è reso davvero conto quanto per me quel tono smorzato fosse diventato un cruccio.

Questa storia insegna due cose. La prima è che c'è un fondo di verità nell'affermare che la produzione in serie di strumenti musicali di fascia media e di marchi famosi non è una garanzia di qualità, e per due motivi. Uno, usano materiali (come i ponticelli Tusq) che non sempre vanno bene per ogni strumento. Due, i controlli di qualità non devono essere così scrupolosi. La mia Taylor ha verosimilmente lasciato lo stabilimento con le stesse caratteristiche tonali di quando l'ho acquistata: possibile che nessuno al QC si sia detto: "Ehi, qui siamo un po' corti di sustain, diamoci da fare"?

La seconda cosa è trovare una persona animata dalla passione degli strumenti come Giorgio Avezza non è facile, e per questo mi considero fortunato. Pensare che ero quasi convinto di vendere la Taylor e passare ad altro!

Il prossimo video, se e quando riuscirò, sarà con le famigerate Elixir HD. Come detto, parti prevenuto: temoc che la scalatura sia troppo spessa, la tensione eccessiva, a scapito della capacità della tavola armonica di vibrare. Vedremo.

(*) Mini disclaimer: i due video , ovviamente, hanno la sola funzione di dimostrare il cambiamento del sustain nella chitarra, senza pretesa di scientificità né, soprattutto, di abilità tecniche.

21 gennaio 2014

[Recensione e Test] Freni a disco Formula C1.

Nel 2013 Formula ha presentato, tra i prodotti della gamma 2014, il nuovo set di freni C1, che sono considerati low end e destinati prevalentemente al mercato OEM, ma comunque disponibili al dettaglio. Il termine low end, o basso di gamma, mi piace poco e ho invece apprezzato la definizione di budget brakeset che ne è stata fatta durante uno dei servizi all’Eurobike: ovvero un prodotto realizzato con l’attenzione ai costi non significa realizzato in economia, ma in efficienza.
C1 è un impianto frenante indicato principalmente per usi cross country, trail, all mountain e può essere adoperato anche in contesti gravity non impegnativi, anche se non sono consigliati per uso in downhill.
Lo scopo di questo test è verificare, tra le altre cose, quali siano le caratteristiche di potenza e resistenza di questi freni, stressandoli con discese molti metri di dislivello e stili di guida diversi.

Analisi statica
La caratteristica distintiva è la loro progettazione e costruzione con il master cylinder a cartuccia sigillata: il pompante è sostanzialmente un monoblocco integrato sulla cui idraulica non è possibile intervenire con revisioni e rebuild. Questo schema progettuale ha tre risvolti interessanti:
1. consente di produrre un corpo pompante dalle dimensioni particolarmente compatte;
2. in fase di assemblaggio consente di contenere i costi produttivi e, quindi, il prezzo finale;
3. infine fa sì che le parti in movimento siano realizzate con tolleranze migliori che aumentano l’affidabilità del componente.



Circa il punto 1, la compattezza del pompante assiale ha anche il vantaggio di avvicinare la leva al manubrio, a beneficio di chi ha mani più piccole e, in generale, dell'ergonomia del freno. La forma ricorda la serie Oro K18, un impianto frenante potente e affidabile che ho avuto su una trailbike da cui mi sono separato recentemente.

Alcuni, leggendo che il master cylinder non è ricostruibile, potrebbero storcere il naso: ma obiettivamente, negli ultimi anni, quante volte vi è capitato di effettuare una revisione completa del pompante? A me, mai. In primo luogo perché le generazioni più recenti di pompanti sono molto robusti e resistenti; inoltre la ricostruzione del pompante è raramente un'operazione economicamente conveniente per cui accade più spesso che set di freni un po’ provati da uso e cadute passino di mano come ricambi o allestiscano un muletto.



Iniziamo, come di consueto, con il rito dell’unboxing. I freni sono venduti e confezionati separatamente, anteriore e posteriore, in scatole di cartone e protetti da una busta di plastica, in cui troviamo anche due viti M5 già predisposte con il frenafiletti medio, connettori per accorciare le tubazioni, libretto di istruzioni e un po' di adesivi Formula, gadget sempre molto gradito.



Ovviamente i freni sono già pronti all’uso, dotati di pastiglie e muniti dei distanziali in plastica. Le pastiglie sono semimetalliche e, come sostenuto dal rappresentante Formula Jeff Stoudt intervistato durante Interbike, è la mescola metallica più silenziosa che Formula abbia mai prodotto. Ecco l'intervista durante la fiera:


I rotori sono opzionali e acquistabili a parte. Per il test utilizzerò i rotori Formula da 203 mm già montati sulla mia bici.




Ad ogni tubo è attaccato il cartellino con le precauzioni di uso e montaggio.
Il corpo dei freni è in metallo verniciato. Esistono in versione total black, verniciati in nero lucido, oppure quelli che ho scelto, bianchi con collarini e leve neri, un po’ diversi dal solito.
Formula C1 è un impianto frenante abbastanza leggero, come vediamo negli immancabili scatti sulla bilancia.
 



241 grammi per l’anteriore
258 grammi per il posteriore

Le pesate si riferiscono al set di freni ancora equipaggiati dei due distanziali di plastica (circa 10 grammi l'uno); il peso complessivo si aggira sui 480 grammi per il set completo. Un parametro da tenere in considerazione se stiamo allestendo una nuova bici o progettando un upgrade.

Pompanti
La caratteristica dei C1 è il pompante con master cylinder a cartuccia sigillata; si tratta di una pompa assiale con l’idraulica, composta da cartuccia e serbatoio, e disposta in posizione parallela rispetto al manubrio. Come scritto, questo schema contribuisce a ridurre gli ingombri ed agevola la presa sulla leva. Il corpo è verniciato in bianco lucido e con alcune serigrafie (marca e modello, Made in Italy, indicazioni sul fluido DOT da usare e un barcode). La verniciatura dei miei esemplari non è impeccabile e presenta qualche imperfezione di cui peraltro non mi curo assolutamente perché, è noto, i freni sono componenti esposti a graffi ed usura anche nelle semplici operazioni di carico e scarico dall'automobile, per cui non sarebbero rimasti immacolati.


I collarini sono in metallo accuratamente anodizzato nero lucido. Noto con piacere che anche per questo modello, come per i T1, Formula ha adottato le viti a testa cava esagonale, molto più pratiche da stringere e allentare anche con il classico multitool che teniamo nello zaino, rispetto alle viti Torx che ho avuto (e subito sostituito) sui Formula RX1.

Le leve hanno un aspetto robusto e sono realizzate in alluminio anodizzato nero con una superficie ruvida che sembra assicurare un ottimo grip anche a mani nude. La distanza della leva, e quindi la corsa totale, è regolabile mediante una vite a testa cava esagonale. Le leve sembrano essere parte integrante del pompante e non sostituibili (infatti non si trovano nel documento delle parti di ricambio) in caso di rottura. Questo aspetto può rappresentare un limite perché potrebbero effettivamente piegarsi o rompersi per una caduta o un urto contro una roccia.


Sono freni reversibili (cioè un pompante può essere montato indifferentemente a destra o a sinistra); la vite di spurgo (con testa Torx come di consueto) è posizionata esattamente al centro del corpo per non modificarne l'accesso a seconda del montaggio. E' da verificare se lo spazio tra il pompante e il manubrio, rende agevole l'operazione di spurgo.







Pinze.
Anche le pinze, come i pompanti, sono stati progettati da zero. Dal punto di vista estetico, la forma è simile ad altri modelli Formula. Si tratta di una pinza monoblocco, scelta progettuale già adottata da Formula per altri modelli, realizzata in metallo verniciato ed equipaggiata con due pistoncini da 22 mm di diametro: una dimensione generosa, quasi sovradimensionata per utilizzi prettamente cross country, e che fa presagire una buona potenza di frenata.



La vernice non è perfettamente applicata su tutta la superficie: alcuni punti critici, dove le pinze sono state probabilmente a contatto con sostegni durante la verniciatura, non sono rifiniti.
Anche sulle pinze sono presenti le serigrafie Formula con modello, codici a barre e la scritta Made in Italy.



Sul lato esterno è posizionata la vite Torx per effettuare lo spurgo.
Le tubazioni sono molto lunghe, soprattutto quella del freno posteriore, caratteristica che ne agevola il montaggio anche su telai full suspended da 29" in taglie extra large. Come scritto nella confezione sono inclusi i raccordi da utilizzare se si volesse accorciare i tubi; personalmente sono dell'idea di lasciarli lunghi: la qualità dei materiali e dei fluidi usati dovrebbe prevenire il cosiddetto "effetto polmone" che anni fa si aveva sulle tubazioni lunghe dei freni idraulici.





Montaggio
Il montaggio dei freni Formula non è dissimile da quello di altri modelli ed è facilitato dai collarini smontabili dei pompanti, dai bulloni in dotazione già dotati di frenafiletti medio.


Dopo aver rimosso i freni già montati (i Formula T1S forniti di serie sulla mia bici), si procede montando il freno anteriore, iniziando dal pompante.



Operazione naturalmente semplice. I collarini si lasciano allentati per stringerli dopo averli posizionati con l'inclinazione giusta.


Quindi si prosegue montando la pinza alla forcella. Nella confezione standard, non sono inclusi gli adattatori per cui uso quelli da 203 mm già presenti, e i bulloni forniti. Il frenafiletti è applicato con generosità ed offre resistenza al serraggio.
La centratura va liscia come l'olio al primo tentativo: è sufficiente lasciare i due bulloni leggermente allentati, far girare la ruota, dare una frenata decisa e, tenendo la leva tirata, stringere i due bulloni con la chiave esagonale; per verificare che la pinza sia centrata, basta girare lentamente la ruota ed osservare il rotore muoversi tra le pastiglie, meglio se in controluce.


I freni C1 hanno come accessori rotori dedicati, leggermente più spessi di quelli forniti in genere con i T1; per compensare questa differenza di spessore può essere necessaria una regolazione della distanza della leva.
Le operazioni si ripetono per il freno posteriore, con in più il fissaggio al carro del tubo idraulico mediante fascette elastiche.


Il tubo è super lungo, per cui si opta per un passaggio "comodo" e disteso.





Anche la centratura del freno posteriore è un'operazione immediata: stessa tecnica, una veloce verifica del corretto posizionamento e quindi si stringono i bulloni.

Bianco su bianco è un accostamento stupendo!
Per completare il montaggio, occorrono ancora due regolazioni molto personali; la prima è l'inclinazione dei pompanti; qui ognuno segue le proprie abitudini: io preferisco mettermi in assetto da discesa e regolare l'angolo dei pompanti in modo che siano virtualmente allineati all'avambraccio disteso. A questo punto si possono stringere i bulloni sui collarini.



La seconda regolazione è la corsa delle leve; si agisce con una chiave esagonale ruotando un piccolo registro in senso orario o antiorario, come di consueto.
Anche l'assenza di una regolazione di tipo tool less rientra nel contenimento dei costi. Per me non è un problema in quanto una volta che ho regolato la corsa, a meno di anomalie (aria nell'impianto, pastiglie a zero), intervengo molto di rado per modificarla. Comunque questa regolazione mi dà anche l'occasione per fare le primissime frenate nello spazio antistante il garage. Ovviamente le pastiglie devono "rodarsi", ma il feeling sulle leve è buono, solido.
Conclusa anche questa regolazione, ora si devono mettere le ruote su strada (anzi, fuori strada) , imboccare un bel po' di discese e frenare. Servono a questo, no?



Prova pratica
Prima ancora di frenare, l'aspetto che mi colpisce positivamente dei C1 è l'ergonomia, un aspetto che in Formula conoscono bene e che qui hanno applicato al meglio. Le leve sono posizionate abbastanza vicine alle manopole da consentire una presa immediata anche se si hanno dita di media lunghezza; al contempo, la corsa utile è ampiamente dimensionata per regolarla a seconda delle preferenze e avere sempre la frenata sotto controllo. Le leve sono in alluminio anodizzato trattato con una finitura ruvida che dà un ottimo grip in tutte le situazioni, come ho potuto verificare: guanti sottili, guanti invernali, mani nude, bagnato.



Il rodaggio delle pastiglie è stato veloce: sono state sufficienti quattro o cinque frenate decise e la sensazione è cambiata radicalmente, con una risposta alla frenata immediata. Concluso il rodaggio, si può procedere con le prove pratiche che sono state condotte in condizioni abbastanza eterogenee, nonostante la stagione invernale: sentieri, mulattiere, fondi asciutti, innevati, bagnati, roccia, terra compatta, pietre smosse, erba. Per semplicità, riporto qui le mie osservazioni suddivise per condizioni di frenata.

Nota preliminare. I freni sono arrivati in condizioni eccellenti, perfettamente spurgati e con un buon movimento dei pistoncini nelle pinze. Magari a qualcuno potrebbe sembrare ovvio, invece è la testimonianza di un controllo di qualità efficace.

Mulattiera o single track asciutti e ripidi. Una delle condizioni più desiderabili a livello di tenuta e quindi di velocità, non inusuale anche nella stagione invernale. Si procede a velocità sostenuta, controllando velocità e traiettoria con una frenata leggera e ripartita uniformemente su anteriore e posteriore, senza sforzi né staccate. La potenza è sempre più che adeguata ma quello che convince è la progressione e la sensibilità della frenata, che non ha mai fatto percepire alcun segno di affaticamento (e conseguente fading) anche con dislivelli importanti. Rotori di grosse dimensioni aiutano, ma la resistenza è ottima. Confermata la promessa del portavoce ad Interbike: le nuove pastiglie sono straordinariamente silenziose.


Fondo viscido, smosso, con presenza di fango e neve. Al contrario della precedente, questa è la situazione più consueta dei mesi invernali, qualcosa con cui si deve sempre fare i conti durante un'uscita che preveda passaggi boschivi e silvestri, quindi i classici giri cross country. Notoriamente, è la condizione dove una frenata controllabile e progressiva fa la differenza, ed è più importante di una grande potenza. Io credo che sia l'ambito dove i Formula C1 hanno dato il meglio di sé; capiamoci, sono freni molto potenti, ma le loro qualità migliori -- una frenata estremamente modulabile e progressiva, una mescola che funziona bene a tutte le temperature, sia a freddo che alla fine di una lunga discesa -- sono emerse soprattutto sui fondi insidiosi, come la neve ghiacciata per l'appunto, con il carico maggiormente ripartito al posteriore. E' possibile controllare il rallentamento senza mai bloccare la ruota, e quindi controllare la traiettoria con precisione. Anche dopo passaggi nella neve, nel fango e non pochi guadi, le pastiglie sono silenziose e la frenata è costante, pronta.


Tratti tecnici lenti, fondo asciutto. Benissimo anche in questa situazione dove non ho mai sentito l'esigenza di una potenza maggiore; la sensazione sulle leve è sempre stata rassicurante, un insieme di rock solid e controllo molto preciso della potenza esercitata. Sono molto contento anche delle pastiglie: anche se la mescola è prevalentemente metallica, non richiedono di raggiungere particolari temperature di esercizio, e la frenata è ottima anche a freddo. Notevole l'ergonomia e il grip sule leve, sia con i guanti invernali, che in genere fanno perdere un po' di sensibilità, sia con guanti molto sottili e anche -- quando la temperatura lo permetteva -- a mani nude.

Staccate. Personalmente con il mio stile di guida in montagna, le frenate brusche, le "inchiodate" e le staccate non sono frequenti, anche se occorre saperle gestire; qualche volta accade di arrivare ad un tornantino semi nascosto alla fine di un tratto veloce, oppure di dover fare una frenata di emergenza durante un trasferimento su asfalto. Ho provato più volte a sollecitare i C1 in queste situazioni: la potenza è sempre stata adeguata e sufficiente ma, soprattutto, sempre controllabile. A livello di potenza espressa sono inferiori ai T1 e ad altri freni specificamente progettati per gravity, ma mi hanno finora permesso qualunque tipo di frenata in tutta sicurezza.

Analisi post test.

Usura delle pastiglie. Grazie alla centratura perfetta, l'usura è moderata e uniforme. E' sempre difficile raffrontare empiricamente l'usura di pastiglie diverse (occorrerebbe effettuare il test in laboratorio, con apparecchi che consentano di riprodurre sempre i medesimi parametri: forza esercitata sulle leve, resistenza, velocità e durata), ma l'occhio esperto dice che è simile o di poco superiore a quella verificata su altre pastiglie Formula (montate sui T1). Ho riscontrato la formazione di un leggero strato di ossido sulle placchette metalliche.

Resistenza dei materiali. La verniciatura di pinze e pompanti, non ai massimi livelli come precisione, si è però dimostrata molto resistente ai maltrattamenti tipi della mountain bike: finora non ho riscontrato graffi o segni dovuti a pietre, rami ecc.

Tenuta del circuito. Ancora presto per il verdetto definitivo, ma in queste settimane di uso (e trasporti, capovolgimenti...) posso escludere qualsiasi formazione di aria nel circuito. Il feeling delle leve e la potenza sono sempre uguali.

Se pensate che parole e foto ancora non rendano l'idea, di seguito trovate un video che ho realizzato unendo clip registrati negli scorsi mesi utilizzando sempre i Formula C1. Per comodità ho diviso il video in tre sezioni, una per tipo di terreno e fondo.



Due parole a conclusione del test.

Mi sto trovando benissimo con i C1, che stanno prendendo, almeno in questi mesi, il posto dei T1, quindi li confronto con un impianto quasi al top. Formula consiglia i C1 per cross country, trail e light gravity. E' una classificazione condivisibile: sto usando questi freni dalla fine dell'autunno, una stagione in cui i percorsi devono necessariamente scendere di quota e quindi diminuire di dislivello ma sono comunque impegnativi per lo stato del fondo, raramente asciutto e compatto, che richiede cautela e sensibilità. Credo che siano i freni ideali per chi pratica il cross country e l'all mountain, magari su mezzi nei formati 29" e 650B, e vuole freni affidabili, super modulabili, adeguatamente potenti e facili da mantenere senza spendere un capitale; sono perfetti per i giri invernali quando le lunghe discese polverose lasciano il posto a sentieri coperti dal fogliame e fondi scivolosi. Ma sono la scelta giusta, e ne sono convinto, anche per chi si spinge un po' oltre e affronta le discese con decisione: potenza e controllo sui C1 vanno d'accordo.

Pregi
Frenata pronta ed estremamente progressiva
Facili da montare, centrare e mantenere
Super silenziosi
Prezzo contenuto per un prodotto progettato e costruito in Italia

Difetti
La leva non è sostituibile
Verniciatura con qualche imprecisione