18 maggio 2010

Edoardo Sanguineti, 1930-2010.

foto Pasquale Palmieri
Addio, sommo poeta.

Grazie, Francesco, per avermelo fatto conoscere.

13 maggio 2010

Quanto petrolio c'è in mare?



Inserisci il valore che vuoi, intanto nessuno sa veramente quanto greggio esce dal pozzo e quanto se ne disperde nel Golfo del Messico (via PBS).

Per rendersi conto delle dimensioni della tragedia l'eccezionale,  basta guardare l'eccezionale (come sempre, d'altronde) reportage pubblicato in The Big Picture del Boston Globe.

Copyright REUTERS/Daniel Beltra

I soliti 4 accordi



Sacrosanto.
Ma quello in mezzo è il fratello di Jack Black?

03 maggio 2010

Quincinetto, Stra di Ciapii

clicca per visualizzare l'album di foto

Poco fuori Quincinetto, dall'autostrada A5 Aosta Torino in direzione sud, è possibile scorgere un piccolo villaggio rurale con case e manufatti in pietra, apparentemente abbandonato.
Attratto da quel luogo, sempre scorto di passaggio dal finestrino dell'auto, ho deciso di visitarlo di persona e di fare un breve reportage fotografico. Ho scoperto che è il toponimo è Via dei Chiappetti o Stra di Ciapii, ed è la strada che porta alla centrale idroelettrica di Quincinetto.Sotto una pioggia insistente e per nulla aiutato da una luce lattiginosa, ho messo insieme qualche scatto in questo album.

26 aprile 2010

Caldirola Downhill & Bike Park.

Fantastica domenica al bike park di Caldirola con qualche amico che mi ha dispensato pazientemente utili consigli per migliorare nella tecnica della discesa.
E' stata un'esperienza esaltante perché era la prima volta che potevo provare tanti tracciati diversi e con molto tempo a disposizione. I tracciati sono quattro: 1 di freeride e 3 di downhill.
La situazione meteo è stata buona ma il sole non è stato sufficiente per asciugare il terreno che, in presenza di vegetazione, era molto umido, a tratti fangoso, quasi sempre smosso e coperto di foglie. Ma alla fine meglio così, è stato un ottimo allenamento per migliorarmi in velocità, curva, assaggi tecnici, ripidoni ecc.
Drop ancora copiati, per i salti non ho tutta questa fretta. La soddisfazione è stata rendersi conto dei miglioramenti progressivi dalla prima discesa (fiato corto, rigido come un bastone, le dita sempre sui freni) a fine gioranata quando cominciavo a scendere più sciolto e veloce. Quando, al secondo tentativo, ho azzeccato il "toboga" di saliscendi della DH2 oppure sono uscito da una curva stretta dopo un ripido senza finire a terra, avevo un sorriso da orecchia a orecchia. La traccia freeride è divertente perché tecnica, guidata, sempre in mezzo al bosco; ma anche le downhill le ho trovate stupende, e soprattutto hanno il vantaggio di portarti un po' più avanti, ad aumentare la velocità.
Ci sono ancora un sacco di situazioni che mi rendono insicuro, soprattutto drop e pedane. Ma giusto per citarne due.
La Stinky si è comportata egregiamente ma, man mano che la uso, mi rendo conto che dovrei intervenire in due o tre punti, a cominciare dal ritorno troppo veloce della forcella e dalla molla del Fox DHX che è troppo dura rispetto al mio peso.
Inutile dire che il livello di chi girava era altissimo, tra pro e dilettanti. Si vedevano passaggi e salti un po' oltre le leggi della fisica.
Forse l'unica pecca di Caldirola (manutenzione a parte, sono sicuro che ci penseranno) è il tratto finale sul praton, dove convergono i tracciati: c'è l'immissione in contropendenza su una pietraia che impegna non poco.
Ma è stato grandioso al 100%, soprattutto la compagnia. E ovviamente non poteva mancare l'album fotografico. Qui sotto qualche preview.

Pronti per salire.

La seggiovia.

L'ultima neve!

Pausa pranzo.

Foto di gruppo con bici.

20 aprile 2010

Vivere ogni giorno l'incertezza della crisi.

Le sezioni finanziarie dei giornali di oggi lasciano poco spazio all'immaginazione e molto alla paura. Ed è solo un nuovo capitolo di una storia che non sembra avere altra conclusione che la fine di quel tessuto produttivo italiano che è stato per anni l'opportunità e l'orgoglio di un Paese. Repubblica aggiorna periodicamente il bollettino di guerra di licenziamenti, chiusure e disoccupazione. Sotto le bombe della cosiddetta crisi cadono centinaia di posti di lavoro alla settimana e, soprattutto, perisce un intero sistema industriale e produttivo.
Diventeremo un Paese di inoccupati senza speranza, dediti ad un triste commercio (cui segue il baratto) di beni importati (perché nel frattempo avremo smesso di produrli), strangolati dal cancro del credito al consumo con cui una parte della popolazione, per qualche anno, si è sentita più ricca e libera. Noi.
Loro no. Non accadrà all'elite della vorace classe dirigente che ha senz'altro approfittato della crisi del credit crunch per aumentare i propri personalissimi profitti a danno dei redditi delle famiglie; che ha senz'altro contribuito alla polverizzazione di un tessuto capace di innovare, produrre, adattarsi e reagire. Perché a leggere le cronache di fallimenti e chiusure, da uomo della strada capisco che il conto lo stanno pagando sempre e comunque gli ultimi anelli dell'infame catena. Nemmeno per un istante si pone il dubbio se davvero proprietà e management di tante piccole e medie imprese abbiano agito negli interessi di aziende che sono fatte di persone, cultura, famiglie. Mai.
Quando nell'ottobre del 2008 è iniziata la grande (imprevedibile?) crisi finanziaria, l'uomo della strada, sempre lui, quel poco che ha capito è che grande parte della responsabilità di una situazione che sarebbe precipitata da lì a poco era da attribuirsi alle banche. Banche che hanno chiuso (in pochissimi casi, e sempre a danno degli impiegati dacché il top management si è ingrassato), banche che hanno ottenuto aiuti governativi (quindi con le tasse di quella che un tempo lontano fu la classe media), banche che dopo qualche titolo in prima pagina hanno ricominciato ad agire senza che alcuno di quei controlli reclamati a gran voce sia stato effettivamente messo in atto. Tutta colpa delle banche? L'uomo della strada questo dubbio ce l'ha. Ma se guardiamo al bollettino di guerra, sono solo gli altri a rimetterci: imprese in sofferenza, piccole ditte artigianali. Poi ci sono altri casi, che hanno tanto l'aria di essere un pretesto per tagliare costi ed arricchirsi ulteriormente, anche se le cose continuano ad andare bene o benino: e qui la delocalizzazione in Cina è la parola d'ordine, una brillante strategia industriale che lascia a casa le famiglie e le loro vite.
E anche chi un lavoro ancora ce l'ha (ma non appartiene ad elite né club né reti di amici di amici) vive e lavora ogni giorno con la paura che sia l'ultimo e che il successivo sia solo una lettera sulla scrivania che dice: ci dispiace, è la crisi, è il mercato. E di trovarsi in un Paese ormai privo di aziende grandi o piccole. Solo banche e commercio che si gonfia nei centri commerciali e che, ci scommetto, prima o poi si trascina nel baratto.
Per chi ha la tessera del club e della rete di amici di amici, qualcosa ci sarà sempre. Per gli altri, che però sono un po' di più, ci sarà poco. Così poco da poter stare tutto in una valigia.