09 aprile 2008

Una lunga stagione di vento.


1. La città senza vento.

Fino ad un anno fa, giorno più giorno meno, Torino era una città senza vento, coperta da un'aria quasi immobile. Né le foglie né le fronde ho visto muovere se non per attimi brevissimi. Solo di rado qualche folata di vento ha alzato a qualche centimetro da terra e fatto volteggiare i tanti rifiuti, le cartacce e le foglie secche, accumulati negli angoli della città.

Una città senza vento non pone ostacoli alla circolazione: posso attraversare i lunghi e larghi viali in sella alla mia moto senza usare l'attenzione e la forza che impiegavo a Genova dove, ad ogni apertura tra due palazzi, raffiche di vento cercano senza sosta di atterrare i motociclisti che stringono con forza i manubri di Vespe e moto.

Una città senza vento ha un'aria pesante, viziata, e ricorda l'atmosfera di un risveglio in una piccola camera d'albergo dove si è dormito troppo a lungo. Per prima cosa, si scostano le tende e si apre la finestra. L'aria pulita e fredda dà un colpo ai polmoni e fa domandare: "come potevo respirare?".

A lungo i giorni si sono susseguiti sotto una coltre grigiastra e maleodorante, raramente interrotta da qualche nevicata o scroscio d'acqua, dopo i quali la polvere e il suo odore stantio ricominciano a salire nell'aria.

L'incessante viavai di autocarri che, stracolmi di macerie e tra sbuffi di gasolio, si spostavano dalle cave e dai cantieri fino alla discarica di Basse di Stura, aggiungevano miasmi ai miasmi, e polvere alla polvere. Senza vento, l'aria di Torino è una micidiale sospensione di amianto, diossina, spore, idrocarburi, calce, diosacosa.

Un respiro profondo. Fate un respiro profondo, chiudete gli occhi, contate fino a 10. Riaprite gli occhi. Benvenuti a Torino. Benvenuti nella città senza vento.

Poi qualcosa è cambiato. Non so dire cosa né esattamente quando. Per la prima volta da molti anni, Torino è stata toccata dal vento.

2. Quando arriva il vento.

Il vento ha cominciato a soffiare, forte e sovente e a lungo. Soprattutto la sera. Un soffio costante oppure brevi raffiche, più intense. Quasi sempre un crescendo.

Si inizia con lo sbatacchiare delle tende di nylon appese ai balconi. Flap, flap, flap. Vecchi sudici miseri teloni di nylon da quattro soldi abbarbicati sui terrazzi per proteggere poche, povere cose da polvere ed escrementi. Flap, flap, flap. Sempre più forte.

E' il vento che arriva. Ascolta.

In questi momenti mi accosto spesso alla finestra; entro nella camera da letto e mi posiziono sotto il cassettone della tapparella avvolgibile, perché dal coperchio di legno entra uno spiffero d'aria e io so che nelle serate di vento, se mi metto nella posizione giusta, posso sentire l'odore dell'aria che viene da fuori. E' fresca e leggera mentre passa dalla fessura e si mischia al tepore stantio della camera che sa ancora di buio e di sonno della notte prima. Avrei voglia di aprire la finestra e farmi coprire di vento, ma preferisco che entri poco a poco, che si guadagni con la forza l'accesso a questa stanza.

Per strada il vento fa molte cose. Mi piace guardare il vento che fa volteggiare foglie carte mozziconi in mulinelli apparentemente senza senso, senza logica: costringe i rifiuti a girare su se stessi negli angoli e contro le saracinesche chiuse dei negozi.

3. L'odore del vento.

Ma più di tutto, il vento pulisce. La polvere che per mesi ha quasi oscurato il sole, come d'incanto si dissolve, spazzata via. Un ricordo. Poi svanisce anche quello. Rimangono solo l'aria finalmente pulita e il profilo nitido delle Alpi in lontananza.

L'aria ripulita dal vento fa sembrare tutto davvero pulito, come uno strato di neve caduto sull'asfalto che ci illude fino al primo raggio di sole.

Il vento di Torino non è il vento di Genova. C'è una grossa differenza. Non nel modo in cui soffia, nella direzione o nell'intensità. Ma nell'odore. Il vento di Genova porta con sé un odore di mare che riesce a portarmi indietro di molti anni, dalla mia infanzia quando mi portavano sulla scogliera di Nervi, fino agli ultimi mesi trascorsi a Genova, quando verso sera andavo a correre in Corso Italia. Il vento di Genova porta con sé odori. Il vento di Torino, al contrario, porta via gli odori, lasciando al loro posto una sensazione di frescura inodore, semplicemente priva di quello che c'era prima. Uno aggiunge, l'altro toglie.

Siete arrivati alla fine. A questa fine. Fate un respiro profondo, chiudete gli occhi, contate fino a 10. Riaprite gli occhi.

Siete sempre a Torino, di nuovo a Torino.

07 aprile 2008

Il sabato pomeriggio dell'italietta cafona.

Poco prima delle 3 di pomeriggio, via Roma, centro di Torino.
I teenager, ma possiamo chiamarli adolescenti, ragazzi, giovani, studenti, marmaglia, cominciano a sciamare. Arrivano da ogni parte e in pochi minuti, i portici del salotto sabaudo si riempiono di corpi, teste, borse, zainetti, nuvole di fumo.

Guardando questi rumorosi gruppuscoli, mi rendo conto di quanto i maschi italiani sui 14-20 anni si assomiglino tutti. Il livello di omologazione estetica è tale che mi riesce difficile, osservando un gruppo a poca distanza, distinguere due individui diversi: basta distrarre lo sguardo per un secondo e non sono più in grado di ricordare se stavo osservando uno o l'altro o il terzo. Sono troppo uguali.

Troppo uguali con il taglio di capelli a mezza cresta inzuppati di gel maleodorante, il viso abbronzato e ancora implume ma già trafitto da piercing e coperto in gran parte - per fortuna - da occhialoni appariscenti. Uguali nei jeans attillati, nelle scarpe con le stringhe slacciate e nelle cinture che gridano marche troppo costose per lo stipendio di un padre e per la paghetta di un adolescente. Troppo uguali anche le ragazzine che mettono in mostra, con il primo caldo, non solo le tette strizzate nei pushup o l'elastico del perizoma, ma anche strabordanti rotoli di grasso che ingombrano il girovita e crescono al ritmo dei BigMac divorati tra grida, bestemmie, sputi e fumo di sigarette.

I/le teenager fumano tutti/e. Impacciati, in posa, grossolani. Quel che oggi è un vezzo, domani sarà un vizio e infine una malattia (cancro, infarto) che peserà sui conti di una sanità pubblica alimentata dalle tasse del sottoscritto, non fumatore. Traduco: butto via oggi i miei soldi per curare, domani, questi coglioncelli. Ne farei a meno, credetemi.

Gridano, schiamazzano, come a farsi coraggio prima di una battaglia. Sono piccoli spaventati soldati dentro le loro costose uniformi tutte uguali. Ma la loro vita, almeno quella dei maschietti, non sarà disturbata nemmeno da pochi istruttivi mesi di servizio militare perché, a parere di chi ci governa, non serve più. Ne dubito: svegliarsi presto, prendere qualche ceffone e pulire turche non ha mai ammazzato nessuno. Eppure.

Sciamano. Indistinguibili. Fanno a gara a chi indossa l'accessorio più vistoso e cafone, e probabilmente falso. (Alimentano anche la lucrosa industria del falso, come se il resto non bastasse). A chi usa il profumo più forte e nausante che sovente copre un'igiene approssimativa.

Ma non basta, in tanto chiasso, gridare più forte per emergere. Il livello medio è talmente basso che in pochi isanti non si fa più caso ad una fibbia d'acciaio grossa come un mattone, a un paio di mutande completamente scoperte dai jeans a mezzagamba o dal trucco adatto ad un'anziana prostituta sul viso di una tredicenne.

Va bene così. E' la brevissima rivincita dell'Italia cafona che, libera dal vincolo ormai solo formale degli impegni scolastici e da un'occupazione giovanile tra le più basse d'Europa, si riversa dalle periferie al centro. Un moto centripeto che aumenta d'intenstà fino a sera, e ridiventa centrifugo al tramonto.

I mezzi sono quelli di sempre, con qualche aggiornamento. Si va dal basso (autobus, dove i teenager hanno inaugurato la moda di usare il vivavoce del cellulare per riprodurre MP3 a tutto volume e ballare come deficienti scoordinati), al motorino con lo scarico libero, alla Fiat Punto con l'autoradio al massimo e i finestrini abbassati. Quel che conta non è vivere: è fare più rumore possibile.

Per fuggire a questo bailamme, i rimedi sono pochi. Ci si può rifuguare una libreria - i "giovani" non leggono, forse non sanno nemmeno più leggere e comprendere un periodo intero, figuriamoci un libro intero - oppure evitare il centro.

Si fugge, si rinuncia. Non c'è speranza di un qualsiasi miglioramento in queste masse indistinte di cafoncelli, colpevoli solo in parte della loro maleducazione. Hanno avuto pessimi esempi, modelli mediatici deteriori, un sistema scolastico frutto di interessi personali del ministro di turno, un sistema familiare in cui separazione e divorzio sono lo status normale.

Il sabato sguaiato scivola via. Il rumore si attenua, i portici si svuotano. Rimangono a terra cartacce, mozziconi e pacchetti di sigarette, bicchieri. Gli scarti del consumo. Le vittime cadute sul campo di una battaglia contro se stessi. Fuggiti gli ultimi rumorosi adolescenti, non resta che sperare che le braccia di uno spazzino portino via anche le loro ultime sudicie tracce.

31 marzo 2008

La notte, soprattutto, non sono sicuro di voler crescere.

E' così buio che a stento distinguo i contorni della mia camera. Ma vedo splendere gli indici al fosforo del mio orologio Seiko: posso seguire la lancetta dei secondi che descrive la sua orbita sul quadrante.

E' silenzioso, qui. Uno dei vantaggi di vivere in una strada di periferia abbastanza brutta perché la maggior parte delle persone dotate di buon senso la eviti preferendo il giro più lungo, è che, appunto, le persone la evitano, e con le persone, le loro rumorose automobili. Silenzio appunto.

Stanotte sono particolarmente fortunato perché sta piovendo. Acqua che scroscia. Scrosciare di gocce sul pavimento dei terrazzi e sulle tegole del tetto. Plic plic plic. Sempre più forte. Da qui si sente solo la pioggia cadere e, se avvicino abbastanza il polso sinistro alla mia testa, il ticchettio del mio Seiko.

Fortunato, già. Sono in pace mentre ascolto la pioggia che cade. Egoisticamente, perché cade fuori e non mi tocca. Come se fossi lo spettatore, protetto e al sicuro, di un evento tragico e spettacolare, ma che non mi può toccare.

Spesso, negli attimi che precedono il sonno, mi domando se e quanto sono cambiato. E' proprio la notte che mi fa pensare che da anni qualcosa è cambiato: la città che vedo quando apro le finestre al mattino, il lavoro che faccio, i volti che incontro. Parrebbe tutto molto diverso. Ma poi non è proprio così.

Torino ha - rispetto a Genova - delle strade belle larghe, e mi piace attraversarle di notte in auto, guidando in quinta con appena un filo di gas e ascoltando musica. La playlist della mia autoradio cambia nei nomi ma non nei fatti. Mi piace sapere che quando giro la chiave per avviare il motore, ci sarà l'attacco brutale di Phil Anselmo in The Great Southern Trendkill. Il brano va ascoltato così: volume alto, diciamo 5,5 su 10 in un'autoradio di normale potenza, bass: +2, treble: +6, loudness: on. L'attacco dev'essere forte e compatto, deve dare la sensazione di sbattere a tutta velocità contro un muro. Insomma non dev'essere una cosa da signorine.

Si può variare. In Corso Grosseto, ad esempio, ascolto spesso i Baroness e i Mastodon. Li ho scoperti da poco, durante un tentativo di svecchiare la mia collezione di heavy metal, ferma - a occhio e croce - alla fine degli anni '80. I Mastodon mi piacciono perché sono grossi e violenti, ma mi sembrano pur sempre dei ragazzini che stanno in piedi sulle spalle degli Anthrax, degli Slayer e dei Carcass. Addirittura dei Detestor, che il Signore li abbia in gloria: li seguivo come un fan nei peggiori stage genovesi e poi fino nelle sale prova di Staglieno.


Mastodon - Mother Puncher (live)

Tutto questo al buio, con la pioggia là fuori, gli indici luminosi che vanno avanti, lenti, sul quadrante del mio Seiko. Tic tac, tic tac. Tutto questo NON è molto nuovo, penso. Gli Anthrax, mio Dio. Le sale prova di Staglieno.
Signore e Signori, benvenuti nei tardi anni '80. Prego, accomodatevi su queste sedie di legno, appoggiate pure le vostre Converse AllStar nere su questa pila di vecchi Metal Hammer, e parliamo di pre Marshall zanzarosi e locali che sanno di sudore e Diana Blu.

Piove, appunto. Domani non mi sveglierò tanto diverso. No, non sarò un posato trentaduenne ambizioso e sgomitante, non mi fermerò davanti alla vetrina di Pignatelli a vedere un completo blu, non farò pensieri lontani e profondi. No no. Credo che farò altro.

20 marzo 2008

Suzuki GSF 600 Bandit.

AGGIORNAMENTO: MOTO VENDUTA

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Per conto di un caro e fidato amico, vendo causa completo inutilizzo

SUZUKI GFS 600 BANDIT

dell'anno 2000 con soli 24.000 km, sempre tagliandata, sempre tenuta in box, manubrietto in ergal, specchietti sportivi e bauletto. Condizioni da amatore.

La richiesta è di soli 1.900 €. Cercate in rete, sui siti specializzati in veicoli usati, nelle concessionarie. Non troverete un'occasione migliore di questa!

La moto è visionabile a Vercelli. Per info e contatti 331 6001352 (Gianni).

Di seguito immagini, video e scheda tecnica.

ATTENZIONE! Possibilità di acquisto a prezzi stracciati di abbigliamento da moto praticamente mai usato:
- giacca Alpinestar taglia M (vedi immagine in fondo)
- guanti estivi Spidi con protezioni rigide taglia 8
- 2 caschi integrali di ottima fattura, taglie S e M







  • Moto: Suzuki
  • Modello: GSF 600 Bandit S (2000 - 05)
  • Tempi: 4
  • Cilindri: 4
  • Cilindrata: 599
  • Cavalli: 77 a giri: 10550
  • KGM: 5,5 a giri: 9300
  • Marce: 6
  • Freni: 2D-D
  • Misure Cerchi (ant./post. in pollici): 17-17
  • Velocità (km/h): 208
  • Accelerazione 0-400m (sec.): 12,3
  • Peso: 202
  • Lunghezza: 2060
  • Larghezza: 770
  • Altezza: 800
  • Capacità serbatoio: 19





Perché alla fine le cose semplici sono anche le più belle.



Marie Digby, Say it again. Ad aprile esce il suo CD. Lungi dal farle pubblicità, ma è dai tempi della primisima Jewel che non sentivo dei pezzi così.

19 marzo 2008

S/guardi e Ri/guardi a Nord Est.

Il 28 marzo prossimo, alle ore 21:00, Fulvio Bortolozzo sarà ben lieto di accogliere gli amici all'inaugurazione della mostra collettiva "S/GUARDI E RI/GUARDI NORD EST", allestita a Biella presso il Museo del Territorio Biellese, in via Quintino Sella.
Cliccate sull'immagine per ingrandirla e visualizzare i dettagli.


BRUSNENGO Viale Carlo Verzone. Foto di F. Bortolozzo

11 marzo 2008

Il credito al consumo è il cancro della società post moderna.


Perché questo post?
Perché sono stato contattato per email da una società di prestiti, mutui e finanziamenti che mi ha offerto uno scambio di link a scopo pubblicitario associato ad una recensione del mio sito (loro la chiamano proposta di partnership, chissà secondo quali criteri. Sapranno cosa significa in italiano partnership?)
La recensione del mio sito dovrebbe peraltro essere scritta da me (quindi molto oggettiva).
In sostanza: io ospito il loro banner 120 pixel, loro ospitano un link e una recensione del mio blog.
Dei geni in materia di one-to-one marketing: ho passato gli ultimi due anni ad attaccare sul mio blog le finanziarie, il credito al consumo e l'aumento dei tassi della BCE.
Ve l'immaginate una baleniera giapponese che chiede lo scambio di banner al sito del WWF? Ma andiamo, su.
Con il mio solito savoir faire accomodante, a questi signori (taccio il nome della società non per rispetto ma proprio per evitare di fargli pubblicità e traffico sul sito) mi è parso giusto rispondere così:
considerando che il mio motto è
IL CREDITO AL CONSUMO È IL CANCRO DELLA SOCIETÀ POSTMODERNA
e che lo ripeto spesso nel mio sito (che nemmeno avete letto, altrimenti ve ne sareste tenuti alla larga), penso che non potrebbe esserci peggior partner commerciale del sottoscritto.
ah, una risposta non è necessaria ma mi permetterebbe di distinguervi dallo spam viagra cialis che ricevo e cestino.
Mi hanno risposto proponendo nuovamente la partnership commerciale nonostante l'avversità verso l'argomento trattato. Ah, no, hanno proprio scritto che mi danno una possibilità.
[...] le diamo la possibilità, se vuole, di inserire una recensione del Vs blog in una delle nostre pagine.
Beh, un minimo di controllo preventivo sarebbe necessario, s'intende.
Ovviamente il contenuto non può essere offensivo nei confronti di alcuno e sarà valutato prima dell'eventuale pubblicazione.
E allora dov'è il divertimento? Oppure è un modo garbato per dirmi che la loro squadra di recupero crediti ha già trovato il mio indirizzo di casa ed è pronta a farmi una visita di cortesia?
Ma per favore.

10 marzo 2008

Andate e votate.

Fulvio Bortolozzo esporrà una foto della serie Olimpia (la più grande mai realizzata: 75x94 cm) nell'ambito dell'iniziativa IoEspongo. La stampa sarà visibile e votabile al Pastis di piazza Emanuele Filiberto a Torino dalle 22:00 del 12 marzo al 18 marzo prossimi.
Qui tutti i dettagli

05 marzo 2008

La vergogna delle nostre poste.

Sempre più spesso, venditori orientali (Hong Kong, Singapore, Filippine) ma ultimamente anche americani che hanno un negozio su Ebay scrivono nelle condizioni di vendita
WE SHIP WORLDWIDE - SORRY WE DON'T SHIP TO ITALY.
Come dire, per Baghdad o una dacia in Siberia non c'è problema, ma se proprio il tuo pacchetto lo vuoi in Italia, attaccati al tram.

E fanno sul serio: chi ha provato a comprare, pagando con PayPal, articoli elettronici o informatici, si è visto rimborsare il denaro e aprire un contenzioso.

Curioso come sono, ho chiesto ad un PowerSeller di Hong Kong perché non vuole spedire in Italia. In capo a poche ore ho ricevuto la risposta:
We dont ship to Italy due to too many lost stolen packets in the Italy post.
Non ha usato perifrasi o eufemismi, non ha parlato vagamente di perdite di corrispondenza. E' stato chiaro. Furto. E piuttosto che menarsela con email di protesta da parte dell'acquirente, preferisce rinunciare alla vendita.

Benissimo. Ora anche nel buco del culo del mondo sanno che le nostre poste non brillano per puntualità né tanto meno per affidabilità (del sistema, del personale, vedete voi).
E quel che è peggio è che l'Italia, per tali arretratezze tecnologiche e logistiche, sta diventando progressivamente un buco del culo del mondo.