07 aprile 2005

Una tecnologia senza buon gusto?




Stanno facendo il giro del mondo i commenti -- a volte indignati a volte asettici -- sulle foto scattate alla salma del Santo Padre con i camera-phone e inviate via MMS o salvate su computer.

Coda, processione, attesa, finalmente l'arrivo dinnanzi al corpo e clic, scatto col cellulare. Poi, qualcosa sarà. Potrà essere un cimelio da "io c'ero", un wallpaper per il telefono, l'immagine per il proprio blog o da inviare via mail.

Altri hanno fatto di più, commentando a voce, registrando e podcastando l'evento, senza lesinare sospiri, rumori di fondo e di passi, organi liturgici, e una certa teatralità compiaciuta.

Tutti spie, tutti fotoreporter, tutti grandi tecnologi. Tutti affamati di ricordi eppure senza memoria.

Diceva Montanelli: Le uniche lacrime vere sono quelle che si piangono in una stanza chiusa e senza specchi. Non sembra questa l'atmosfera di Roma. L'ansia di avere un ruolo nel circo mediatico (anche se da comparsa e per pochissimi istanti) sembra avere il sopravvento sulla reale e intima commozione per la morte del pontefice.

Ma non è l'unico esempio. Non si allontana di un millimetro da vecchi stereotipi maschilisti l'ultima pubblicità con Adriana alle prese con la tecnologia: inquadrature ammiccanti, luoghi comuni, scollature ormai note.

La bella brasiliana non spiaccica una sola parola in tutto lo spot (e praticamente in tutta la campagna, essendo ridotta ad icona di se stessa) e si limita ad esprimersi a gesti, cenni del capo e occhiate maliziose dal basso verso l'alto.

Forse la tecnologia rimane un mezzo neutro e sono gli utilizzatori a mancare di buon gusto. Ma, si dice, l'occasione fa l'uomo ladro.

06 aprile 2005

Pezzi e pezzi.




Francesco De Gregori è tornato in studio e ne è uscito il suo ultimo album, intitolato Pezzi.

Già salutato, per liriche e giri armonici, come il più dylaniano dei lavori del principe della canzone, il suo primo singolo Pezzi passa spesso per radio e, personalmente, lo trovo convincente.

Non per sminuire l'intuizione del cantautore, ma ci tengo a ricordare che anch'io qualche anno fa (2001) ebbi a che fare con i miei Pezzi.

Buongiorno.




Scuola materna di Via Valdellatorre, ore 8.30.

Una giovane donna, presumibilmente dopo aver lasciato i bambini alle cure della maestra, esce dalla porta principale e si avvicina alla propria Mercedes ML nera parcheggiata in seconda fila.

Ha l'aria di chi la sa lunga. Veste bene, ha un paio di tacchi vertiginosi. Accomodandosi sul sedile in pelle chiara, lo spacco della gonna mostra gambe lunghe e sinuose.

Rallento visibilmente. Passo accanto. Nel retrovisore vedo sfavillare i fari allo xenon del grosso SUV tedesco.

Sono le 8.30 di mercoledì mattina, penso.

05 aprile 2005

Podcasting e scetticismo.




Ieri mattina Luca Sofri ha citato un articolo di Darren Barefoot il quale esprime il proprio scetticismo sul podcasting (vedi ad esempio qui e qui)

Darren, nel suo blog, sostiene che il podcasting non avrà successo perché:
  • è già tardi, è già passato di moda, non è rivoluzionario
  • i file audio sono troppo pesanti rispetto a quelli testuali e compromettono la syndication
  • solo il 40% degli americani ha la banda larga
  • chiunque sappia scrivere può scrivere un blog, ma non tutti possono diventare pocaster (servono equipaggiamento e conoscenze)
  • il pubblico della radio sta diminuendo

Tutte motivazioni valide. Ma, almeno in Italia, vogliamo dargli una chance a questo podcasting o ci fidiamo degli americani per dichiararlo nato morto?

Conigli in fuga.




Ogni mattina, a bordo della mia ormai sgangherata Ka rossa, percorro l'ultimo tratto della A4 in direzione Torino.

Sullo svincolo di Settimo T.se, costruito in mezzo ai campi, assisto attonito ad uno spettacolo che si ripete con tragica puntualità: sull'asfalto giacciono, schiacciati stritolati devastati, corpicini di conigli travolti dalle auto in corsa.

I poveri animali, che hanno abitudini notturne, tentano di attraversare lo svincolo e finiscono sotto le ruote. E' terribile vedere la poca pelliccia intrisa di sangue, e immaginarli ancora vivi, a correre sull'erba dietro i guardrail d'acciaio.

Allora ho pensato: ci sarà pure una soluzione al problema della morte dei conigli.

In realtà, ce n'è più di una. Vediamole:
  1. Stendere una rete in corrispondenza dei guardrail in modo che i roditori non escano sull'autostrada.
  2. Sottoporre gli animaletti a un corso di educazione stradale (attraversamento, precedenze ecc.) e dotarli di una patente a punti.
  3. Sperare che con la primavera intensifichino la loro attività sessuale a scopo riproduttivo (durata di un singolo rapporto completo: 35 secondi, sigaretta compresa) in modo da riequilibrare la popolazione sterminata sullo svincolo.

02 aprile 2005

Lo Yin e lo Yang di Sampierdarena.





Per chi non lo sapesse, Sampierdarena (già San Pier D'Arena) -- un tempo residenza di villeggiatura per i genovesi -- è oggi un popoloso quartiere residenziale nel ponente del capoluogo ligure. Lo si raggiunge dal centro percorrendo la Strada Sopraelevata.

Fine del pistolotto storico-turistico. Perché in questo luogo c'è qualcuno d'importante. C'è un grande massaggiatore.

Dopo la mia breve e recente esperienza nella galassia sanità pubblica e la conseguente constatazione che il progresso della scienza medica passa ineluttabilmente per compromessi, burocrazia, corruzione e pressapochismo, ho messo momentaneamente da parte il mio radicato (ma non radicale) scetticismo nei confronti di tutto ciò che è naturale/tradizionale/orientale e mi sono messo -- è il caso di dirlo -- nelle mani del massaggiatore Shiatzu.

Shiatzu? La mia ignoranza su questa disciplina è tale che non so nemmeno se l'ho scritto correttamente, e in genere abbozzo un sorriso di infastidità superiorità ogniqualvolta mi si parla di discipline orientali. Eppure.

Eppure, quest'anziano geometra di Bargagli (GE), una vita di studi non riconosciuti in medicina tradizionale, agopuntura, massaggio e pesca alla mosca, ha fatto qualcosa per me, scettico, snob e viziato figlio dell'Occidente e di MTV.

Per prima cosa, mi ha ascoltato. Se detta così sembra poca cosa, mi rendo conto che degli operatori sanitari alle cui cure mi sono affidato, è stato il primo che ha cercato di capire. E di spiegarmi che avevo secondo la medicina cinese.

In secondo luogo, non ha messo un monitor del PC (o altro ostacolo) tra me e lui, ma si è prodigato nella cura del mio corpo privo dei complessi e della routine che affliggono tanti medici seduti nei loro Cayenne.

E mi ha stupito. Osservando la forma delle mie orecchie, ha capito che domino col raziocinio una natura emotiva. Mi ha cortocircuitato il mignolo della mano e del piede sinistri alleviando il dolore alla colonna cervicale. Infine, con tecniche misteriose, ha attenuato la mia cronica infiammazione al pollice della mano sinistra.

E' probabile che il successo di queste forme di cura del corpo dipenda dalla suggestione e dell'autoconvincimento del paziente (ovvero, da una certa capacità di persuasione occulta del sanitario) e che i migliori risultati si abbiano su persone che compiono un atto di fede nei confronti di pratiche inusuali. Io, comodamente sdraiato sul lettino dei massaggi, ho lasciato che le sue tecniche (mediche o persuasive, chi se ne frega) avessero influenza sul mio corpo.

Mi sono alzato meno dolorante, meno rigido nei movimenti, quasi convinto che anche il pollice fosse più libero di muoversi.

Finora le cose vanno bene -- vanno meglio. Mi fa pensare.

Continuerò per certo a storcere il naso di fronte a concetti come energia negativa, equilibrio e piante medicinali. Anzi, probabilmente scuoterò il capo. Ma questo movimento sarà molto, molto meno fastidioso di prima.

PS: l'impostazione della cura è sicuramente cinese, ma alla fine della terapia il Maestro ha accettato ugualmente la moneta dell'Europa Unita, e in quantità nemmeno troppo esigua.

30 marzo 2005

Come cose da buttare.



Arrivano gli ospiti, quelli da far accomodare sul divano mentre si prepara il tè e le tazze e i biscotti, ed io sono nel posto sbagliato.

Non c'entro niente. Una nota stonata. Una vergogna.

Ma si fa in fretta, perdinci, ad aprire lo sgabuzzino, e gettarvi tra vecchie scope e scatole impolverate, quello che non sta bene, quello che è meglio nascondere, tenere lontano dagli occhi, finché gli ospiti non si siano congedati con ampi sorrisi e baci.

In quieta attesa, come un souvenir di un viaggio fatto anni fa, tra scarti, sedie e le cose che non servono più, conto il mio tempo, trattengo il fiato, penso. Mi giuro mai più, non io.

Mancava, alla mia ricca collezione di mostri, sconfitte, e stranezze.

La gaia scienza.




Allevato da due grandi dottori della medicina moderna, mi ritengo molto scettico nei confronti di tutti gli aspetti non istituzionali della cura del corpo, siano essi l'agopuntura o l'omeopatia. E ho mantenuto, invero, una fede positivista nella scienza medica e in tutte quelle pratiche esoteriche e un po' ampollose (infarcite di termini latini e greci prima che anglosassoni) accessibili solo alla casta dei medici, senza domandarmi troppo se i Cayenne Turbo parcheggiati fuori dagli ambulatori dovessero essere riconosciuti come imprescindibili mezzi di trasporto per una professione che vive sul tempo e sulle urgenze, oppure come il frutto di un tacito accordo tra chi vede la salute sfuggire dal proprio corpo e chi, investito di una conoscenza superiore, può godere dell'infinita riconoscenza delle persone strappate ad un triste destino.

Per me, che ho goduto di buona salute e ho studiato tutt'altro, il corpo umano è sempre stata una misteriosa scatola nera in grado di elaborare tanto le sfide della natura quanto le azioni umane volte a modificarle, e rispondere con esiti differenti agli intervento che di volta in volta l'una o le altre attuano su di esso.

Anche il concetto di medicina mi è del tutto oscuro, e la mie supposizioni si basano solo su un atto di fede (prima che in una dimostrazione di fiducia) secondo il quale l'esistenza di ospedali, università, esperimenti e telefilm come E.R. sono elementi sufficienti perché la scienza necessaria che vi ruota intorno sia accreditata ad intervenire sul mio corpo misterioso, a deciderne lo stato di salute o di malattia e, in caso, a praticare interventi per ripristinare equilibri che si titengono perduti.

Quando giovedì sera, dolorante, nauseato, confuso ma altresì dotato di un libretto sanitario, sono finalmente approdato al Pronto Soccorso, ho tuttavia incontrato altri aspetti della scienza medica: la verifica dell'identità personale, la priorità, l'attesa, la disattenzione.

In piedi a debita distanza dal chirurgo di guardia trincerato dietro il monitor del PC, rispondevo alle pochissime domande (Avverte dolore? Ha senso di vertigini e nausea?) ed ottenevo una prima concessione (Torni domani a fare la radiografia alla colonna cervicale). Un'infermiera, molto attraente nel suo camice immacolato, delicatamente mi cingeva il collo con una striscia di gommapiuma semirigida, che avrei dovuto indossare anche se non ho saputo né quando né per quanto tempo.

Il giorno successivo, il mio corpo dichiarato non sano dalla scienza medica, senza mai essere osservato né toccato è stato valutato da altri tre dottori.

  • Il radiologo mi ha fatto accomodare davanti a un apparecchio tedesco, mi ha detto: Si tolga la collanina e trattenga il respiro. Bene così e ha sviluppato le lastre.
  • L'ortopedico mi ha fatto accomodare interponendo il monitor ingiallito fra le nostre persone, mi ha detto: Se avesse bisogno di assistenza legale per il rimborso, questo è il numero di un avvocato con il quale collaboro e ha stampato un referto.
  • Infine, il mio medico della mutua, una signora ancora avvenente ma trascurata (non ho potuto esimermi dall'osservare lo smalto non più perfetto sulle unghie) mi ha chiesto come stavo, ha risposto al cellulare, mi ha detto: Ora le prescrivo qualcosa e ha scarabocchiato una ricetta, dimenticando di intestarla, sbagliando due medicine su due e omettendone la posologia consigliata.

Ho sottoposto uno dei due farmaci (una novità del mercato, e probabilmente foriera di nuovi Cayenne Turbo) a mio padre il quale, non conoscendolo affatto, mi ha consigliato comunque di prenderlo ancora per un giorno.

Diceva Nanni Moretti in Caro Diaro che il vero problema dei medici è che sanno parlare ma non sanno ascoltare; e, aggiungo io, che non hanno nemmeno troppo interesse ad essere ascoltati.

Adesso il mio corpo sta aspettando lo scadere del periodo dopo il quale, sempre secondo questa onnipotente scienza, ritornerà perfettamente sano e funzionante.

Nell'attesa scrivo, perché scrivere mi fa stare bene almeno nello spirito e se gli antichi dicevano mens sana in corpore sano, un fondo di verità ci dovrebbe pur essere. Altrimenti, una scienza che si dice tale avrebbe già falsificato questa pericolosa teoria non foriera di alcun Cayenne o viaggio premio.

29 marzo 2005

Qui a Genova.



Quarto giorno di riposo forzato nella mia vecchia città di mare. La mia cervicale traumatizzata ringrazia il popolo automobilista di Torino e prima cintura.

Non trascorrevo un giorno feriale a Genova più o meno dai tempi in cui lavoravo per la Xerox a Sampierdarena.

Poi, una volta partito per Torino, è stato tutto un vivere di premura e di fatica e solo dal sabato alla domenica, in quell'atmosfera frenetica e sonnolenta del fine settimana.

E' la prima volta che giro nel grande appartamento dei miei genitori senza guardare l'orologio ogni due minuti, col terrore di perdere il treno o di dimenticare qualcosa in bagno.

Semplicemente, ascolto. I rumori di Genova non li ricordavo quasi più. C'è lo sciamare incessante delle Vespe che ronzano coi i loro vecchi motori a 2 tempi. Ci sono i gabbiani la mattina presto. C'è quel rumore che profuma di sale, quello che senti camminando in Corso Italia nelle giornate di mare e di vento. Ancora più intimo: il rumore dei miei genitori che aprono e chiudono porte e sportelli.

Mi manca tutto questo. Quasi, stavo per dimenticare da dove vengo, dove sono cresciuto. Si sta allo stretto, è vero: ma come in un abbraccio.

Una piccola fitta al cuore. Ghe voe tanta pasiensa, direbbe mia nonna.