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08 settembre 2015

Suzuki V-Strom: faro posteriore/stop a LED

Dopo l'installazione di lampade Osram e luci di posizione a LED, ho sostituito la luce targa con un LED ed installato un faro posteriore sostitutivo a LED che integra luci di posizione, stop e frecce.


Per questo componente la procedura di installazione (la trovate qui) è semplice ma molto lunga (ci ho messo un paio di ore) perché richiede lo smontaggio di piastra bauletto, maniglioni e parafango posteriore, nonché un cablaggio un po' diverso da quello originale (che è basato su due lampade a doppio filamento).
Alla fine il risultato è buono.

05 settembre 2015

The Zutons - Valerie - Guitar Cover

Oggi mi sono cimentato a registrare una traccia di chitarra (un accompagnamento fingerstyle) per questa canzone dei The Zutons rifatta anche da Amy Winehouse.

The Zutons - Valerie - Cover from giuseppe piersantelli on Vimeo.

09 giugno 2015

Osram Night Breaker Unlimited, prime impressioni.

Dopo aver sostituito le luci di posizione della mia V-Strom con LED, più per un fatto estetico chefunzionale, da qualche tempo avevo in mente di sostituire anche le lampade alogene anabbaglianti/abbaglianti. di primo equipaggiamento (Osram Long Life). Un punto a loro favore: sono le stesse del 2007, mai bruciate. A sfavore: colore un po' giallognolo.

Stando alle recensioni in rete, il podio delle alogene potenti ma omologate se lo contendono le Philips xTreme Vision e le Osram Night Breaker Unlimited. Ho optato per le seconde; acquistate su Amazon, pagate un terzo rispetto ai retailer (è l'e-commerce, bellezza), arrivate in qualche giorno in confezione blisterata (erano disponibili nella scatola di plastica rigida, a 2 euro in più: ha prevalso il braccino corto).

Breve inciso: sono indicate per le auto; per le moto esiste il modello specifico che costa di più e, in teoria, dovrebbe essere più resistente alle vibrazioni. E se poi cambia solo la scatola?


Io credo sempre poco ai dati tecnici e alle comparative perché non ti dicono mai con cosa davvero comparano un prodotto. Ma nemmeno dispongo di strumenti di misura (ad esempio per i lumen o la temperatura della luce). Ne ho montata una per confrontarla con la Osram originale vecchia di 8 anni. 


Se non avete capito che la Night Breaker Unlimited è montata nel proiettore destro (il sinistro per chi guarda), vuole dire che:

  • avete un monito peggiore del mio, oppure:
  • non ci sono davvero differenze tra le lampade.

Un po' di differenza, soprattutto nella parte bassa della parabola c'è: la luce è un po' più bianca (non saprei dire se +20% come promette il costruttore) e sembra più intensa. Ma chiariamo le cose: queste lampade NON emettono una luce bianca fredda. Guardate le posizioni a LED da 6000° K: c'è una bella differenza.

Puntando il fascio luminoso verso una superficie scura riflettente (ad esempio la carrozzeria di un SUV nero), è possibile vedere riflessi più bianchi rispetto al proiettore di sinistra.
La prova di notte non l'ho ancora fatta ma non mi aspetto miracoli. Il vero miracolo sarebbe avvicinarsi alla durata (8 anni) delle Osram originali, ma non ci spero: è lo stesso costruttore a dichiarare una vita media abbastanza bassa.

In sintesi: uno sfizio per mitigare la differenza di temperatura rispetto alle posizioni e che (forse) offre un lieve incremento della visibilità notturna.

Alternative legali? Ci sarebbero le Cool Blue , ma le ho scartate per timore di rischiare un po' l'effetto tamarro di periferia che gira con l'autoradio a palla e il braccio fuori dal finestrino. In altre parole, se si vuole la vera luce bianca, le soluzioni sono Xenon after market (ma i proiettori non sono idonei ad ospitarli) oppure lampade full LED (ma non quelle da 10 euro, eh). I primi non sono omologati, sui secondi si capisce ancora poco.

27 gennaio 2015

Martin FX Silk and Phosphor: Recensione corde per chitarra acustica.

Negli scorsi mesi ho acquistato on line molti set di corde per chitarra acustica, quasi tutti phosphor bronze, ma di marche, scalature e tensioni diverse, sia per provare diverse sonorità che per testarne la durata e la brillantezza.
Tra queste ho comprato diverse mute di Martin FX, sigla che significa Flexible Core, caratterizzate da un'anima molto flessibile.
In questo video, un product manager Martin descrive la gamma FX.

In particolare ultimamente ho provato le FX Silk and Phopsphor, disponibili in una sola scalatura custom molto leggera: .011 - .047. Dal sito Martin:
Martin FX Silk & Phosphor acoustic guitar strings are made with tin-plated steel core wire and phosphor bronze compound wrap wire.


Si tratta di corde molto particolari: grazie al mix tra scalatura leggera, anima sottile e materiali flessibili, queste corde hanno una tensione tra le più leggere di quelle che abbia provato, con un feeling molto interessante.

Suono unplugged. Per certi versi ricordano corde da elettrica: ad esempio la facilità del bending, la ridotta pressione richiesta per formare le note. Per altri aspetti hanno non poche similitudini con le corde per chitarra classica. Installate su una chitarra acustica, il tono è sì brillante e metallico come nelle folk, ma più morbido, soft, meno definito ed ovattato.

Suono amplificato. C'è da dire che le corde sono montate su una acustica equipaggiata con un piezo , per cui il suono è molto influenzato dal tipo di trasduttore. Il volume è più contenuto rispetto a corde con scalatura 0.11-0.52 e di tipo phosphor bronze, per cui occorre regolare con attenzione il volume del setup, ma soprattutto le differenze si sentono nell'attacco che in queste Martin è più morbido, meno incisivo. Il suono in generale è più delicato e sufficientemente equilibrato, con una leggera prevalenza di bassi rispetto ai canti (di nuovo, questo dipende da molti fattori dello strumento).

In sintesi: corde ottime per studiare, da tenere su una seconda chitarra e per eseguire brani "fisicamente" impegnativi; bene per il flatpciking, richiedono di modificare la dinamica nel fingerstyle.

09 dicembre 2014

Elixir HD Light .013-.053 Acoustic Guitar strings review.


As mentioned in one of my previous posts, I was greatly encouraged by Taylor's guys to restring my Taylor 312CE (which originally comes with those strings)with a set of Elixir HD .013-.053. So yesterday, during the weekly rehearsal with my acoustic band, I tried a set of Elixir HD, and this is my review.

The first thing that I noticed is that they are super heavy. I regularly use Martin .011-.052 or Ernie Ball .12-.54 gauge strings, so I'm pretty accustomed to that kind of tension, but man, Elixir HD are like telegraph poles under my fingers! These strings require unusual strenght and effort to properly form and play bar chords (Bb, first fret is a nightmare), so at the end of the rehearsal, my left hand's fingers were very tired. I was in totally discomfort while playing songs like Amy Winehouse's Rehab and Alan Parsons Project's Eye in the sky.

The second consideration is about my guitar's set up. My luthier has recently set up my Taylor while I was using .11-.52 strings. After installing the Elixir HD strings, I suspect that my neck needs attention again: the relief seems to be changed.

Unplugged sound. Theoretically, hevier gauge = louder volume. Theory, and not always true. When strumming an open chords progeression in a typical pop rock tune, Elixir HD strings perform a good volume and a brilliant tone. But when it comes to softer tones, for instance during an easy fingerstyle part, well, my feeling is a bit different: the heavier gauge means also a stronger tension between the tuners and the saddle; the increased traction contributes to decrease the soundboard's ability to vibrate when the strings are plucked. As a consequence, the soundboard's ability to resonate is somehow affected and the output volume of the single strings is not as loud as expected .

Plugged in sound. As some guys  wrote some weeks ago on Unofficial Taylor Forum, these strings feature a lot of treble tones, which is not a bad thing, but you have to modify your equalization and tone to re create the balanced tone you were used to. After some attempts I managed to set my guitar's and amp's knobs and get a good, balanced, rich sound. Again, I had to re-calibrate my right hand's dynamic / strenght to emphasize or soften certain nots and chords, but the sound is satisfactory.

Duration. Too early to say something. I decided to clean the strings every 2-3 songs and at the end of the session. I will post you with updates. I hope that these strings last more than their competitors. 

Price. A complete nonsense, specially in Italy. Prices are forbidden here but, you know, some parts of my rigs are cheaper than a set of Elixir.

Final considerations. 
  • Pros: brilliant, rich sound, also after 2 hours playing with my infamous reverse Mida touch. 
  • Cons: too heavy for my playing style and (IMHO) for a guitar soundboard/top. Too much treble tone. Expensive and hard to find. Cheap packaging (D'Addario and Ernie Ball strings come in plastic envelopes which preserve metal from oxydation). 
Will buy them again? Probably not, but Taylor says: "use them", so I did.

Hope you find this review useful.

22 novembre 2014

Liutai a Torino: come far suonare (meglio) una Taylor un po' spenta.

Il succo è che ancora una volta il bravo Giorgio Avezza liutaio in Torino mi ha risolto un problema, come aveva fatto in passato. Ma serve una premessa. Mettetevi comodi, oppure saltate a fine pagina.

Ad inizio 2014, l'attività con il mio gruppo No Hidden Fees stava andando benino, con qualche data in programma e un repertorio in crescita. Per questo ho deciso di farmi un regalo e di sostituire la mia onesta Seagull S6 QII con una chitarra di livello superiore. Dopo aver provato alcune Martin, Tanglewood, Breedlove, Larrivèe e Taylor, e soprattutto dopo aver ascoltato decine di registrazioni di svariate chitarre acustiche, mi sono orientato su una Taylor di fascia media (in legno massello) e mi sono messo alla ricerca su Mercatino Musicale.

Il suono Taylor è caratteristico e distinguibile (come quello Martin, d'altronde), ed è quello che si sente in circa la metà (faccio per dare un'idea) dei dischi pop e rock che abbiano parti acustiche; in più Taylor offre uno dei più sofisticati e naturali sistemi di amplificazione onboard, l'Expression System. A differenza di altri sistemi, combina i seguenti trasduttori:
- 1 pickup magnetico installato alla base del manico
- 2 trasduttori piezoelettrici montati sotto la tavola armonica (disattivabili separatamente dalla board interna tramite microswitch).
Quando ho trovato una 312CE usata ma praticamente nuova (nel senso che non era mai stata usata), l'ho presa al volo.

Non posso dire di esserne stato deluso. Una chitarra ben costruita, ergonomica, con un manico comodo, meccaniche eccellenti, tutta in massello. Ma non particolarmente risonante.
A questa constatazione sono arrivato dopo mesi e mesi di prove.
Prima di tutto, ho acquistato e provato tutte le marche e scalature di corde: Martin, D'Addario, Ernie Ball, Ernie Ball coated, no-brand, Rotosound, Gibson... l'elenco può continuare. Ho spaziato dalle 0.10 alle 0.12.
Strumento ottimo al canto, equilibrato ai medi, ma povero di bassi. Poco risonante ai bassi. Con un MI quasi spento. Un sustain cortissimo e debole.
I continui cambi di corde portavano miglioramenti effimeri: dopo un paio d'ore, persa l'iniziale brillantezza, i bassi tornavano muti.
Insomma, non si può dire che stavo ottenendo il suono che ci si aspetta da una chitarra di quella fascia. Di acustiche ne ho avute, e il vecchio muletto Ibanez PF10, costatami la bellezza di 50 euro, ha bassi decisamente più ricchi e profondi, ma soprattutto una risonanza a cui la Taylor non si avvicinava nemmeno.
Capirete che un po' ho storto il naso.

Nel frattempo sono andato anche per i canali tradizionali, ovvero i laboratori dei liutai. Mesi fa mi sono recato da un noto liutaio in Torino per un check generale. Alla mia domanda se trovasse normale un sustain cosi' moscio su una chitarra che costa uno stipendio, la risposta è stata più o meno che oggi tutti gli strumenti industriali prodotti in serie, su quella cifra suonano così, fine. Non ero molto soddisfatto della risposta. Ho sentito altre Taylor 312 suonare, ed erano meglio della mia.

Una frequentazione sul magnifico Unofficial Taylor Guitar Forum mi ha fatto capire due cose: la prima è che ero l'unico non soddisfatto del suono Taylor tra i tayloristi :-) e la seconda è la necessità di sostituire il ponticello originale Tusq con uno dei ponticelli prodotti dal mitico Bob Colosi.


Questo signore lavora a macchina ponticelli in osso e (ahi) avorio per la maggior parte delle marche, assicurando incrementi di tono e sustain. Su una cosa concordo: i ponticelli Tusq sono prodotti industriali economici, di discreta qualità, montati da dozzine di marche e modelli tutti diversi. Possibile che su uno strumento di un certo livello ci sia lo stesso componente che si trova su una chitarra da 300 euro o giù di lì?

Una volta ricevuto il ponticello di Bob mi sono messo al lavoro per adattarlo alla mia Taylor. Grazie al cielo, negli anni ho acquisito una certa dimestichezza e precisione in queste lavorazioni per cui, nel giro di qualche ora, il mio ponticello in osso naturale sbiancato era pronto per essere montato sulla mia Taylor, insieme ad un set di corde nuove (Rotosound 0.11-0.52,  acquistate tempo fa su consiglio di un altro liutaio).
Ad onor del vero, qualche miglioramento c'è stato. Sono riuscito a prolungare un po' il sustain e ad avere più presenza di bassi. Ma ero lontano da quanto mi aspettavo sia dal ponticello custom che da una chitarra di questa fascia. Non sto dicendo che i ponticelli di Bob non siano di buona qualità, e forse lo avevo modellato con sufficiente accuratezza dal momento che, montato sulla Ibanez, fa egregiamente il suo lavoro. Come mi spiegava Giorgio, è probabile che la densità ossea di quel componente non fosse del tutto consonante con la struttura della chitarra.

Questo video (*) è stato registrato qualche settimana fa. La Taylor montava un set di corde Rotosound usate per circa 3-4 ore il ponticello in osso realizzato da Bob Colosi.



Siccome non volevo dichiararmi sconfitto, ho continuato a cercare la soluzione.
Su un fronte, mi sono confrontato via internet con alcuni esperti, sia sul forum di cui sopra che al servizio clienti Taylor americano ed europeo (gentili e disponibili, ma la chitarra era comunque fuori garanzia, quindi potevano fare ben poco). Ho registrato un primo video per far capire che cosa intendessi in effetti quando lamentavo problemi di sustain.

Ho ottenuto due feedback da questa registrazione:
  • utenti del forum e comuni mortali hanno confermato la mia percezione di mancanza di sustain. Mi hanno dato mille consigli e suggerimenti, dimostrando di farsi carico di questo problema. Il bello di Internet!
  • da tutti i canali ufficiali ho ricevuto sempre la solita risposta: "Stai usando le corde Elixir HD?" Ok, le monterò, ma tutto il resto?
Ora, una breve digressione sul tema. E' vero, questa Taylor è venduta con corde Elixir HD, prodotto sviluppato congiuntamente delle due aziende, e tutti consigliano di usare Elixir, e anche i liutai le montano ecc. Va benissimo. Ma,  a parte che costano 30 euro a muta (5 euro a corda...) e che hanno una scalatura esagerata, c'è un aspetto di fondo che mi infastidisce: se una chitarra funziona correttamente (ergo: suona!) con una e una soltanto marca di corde, delle due l'una: o è un errore di progettazione,  o è un vincolo inaccettabile. Sarebbe come acquistare un'automobile di fascia media che, se rifornita con un particolare carburante difficile da trovare e super costoso, va a 150 all'ora; ma se metti nel serbatoio benzina acquistata ad un distributore qualunque, va a 60 all'ora e poi si ferma. Le chitarre, come ogni strumento a corda, devono funzionare con qualunque marca e scalatura per quello strumento. E' una scelta del musicista. Non è accettabile che un musicista adatti il proprio stile ad un prodotto. Fine della digressione. 
Dall'altro fronte, non ho voluto demordere con il parere de visu e, ricordandomi del grande Giorgio Avezza, mi sono deciso di andarlo a trovare nel suo laboratorio a Torino, un luogo per me magico e così ricco di dettagli, utensili, strumenti e materiali da osservare ed annusare che quasi si rischia di scordare il motivo della visita. Perché in fondo in fondo io non ho mai smesso di credere che quella chitarra potesse suonare meglio, e per me stava diventando un pensiero costante.

Giorgio, che è una persona esperta e paziente, ha anche la grande virtù di saper ascoltare. Così, dopo aver ascoltato la storia e tutti i miei tentativi, ha iniziato ad ispezionare la chitarra, centimetro per centimetro, spiegandomi il comportamento dei legni, il ruolo dei volumi e un sacco di altre cose affascinanti, e ammettendo che la tavola vibrava proprio poco ma che si trattava di un bello strumento. Poi, con grande onestà, mi ha detto: "Lasciamela due settimane; voglio suonarla con calma, e capire che cosa posso fare. Se ci sono lavori grossi, che vorrei evitare, ti chiamo prima di intervenire. Se vuoi, montiamo le Elixir, altrimenti proviamo prima con le Martin e poi decidi".

Nessuna presunzione del tipo "aggiusto tutto io" e neppure i soliti e facili luoghi comuni "ormai è tutta roba industriale" che ho sentito varie volte, ma solo l'interesse ad analizzare e risolvere un problema.

Esattamente due settimane dopo (per voi, che valore ha la puntualità?), mi ha scritto che forse aveva ottenuto qualche risultato e di passare a provarla. Mi ha spiegato che a suo parere il ponticello non era in grado di trasmettere sufficiente energia alla tavola armonica, che infatti risuonava poco, e quindi ha provato a sostituire nuovamente il ponticello, usandone uno nuovo in osso di bufalo. Nessun segreto: lo ha comprato in Internet e poi lo ha adattato, certo con molta più perizia e accuratezza del sottoscritto. Poi ha sistemato il cablaggio dell'amplificazione che era un po' libero e provocava vibrazioni. In sostanza, è riuscito a risolvere un problema oggettivo in modo non invasivo ed economico, laddove altre persone lo avevano liquidato con frasi abbastanza preconfezionate. Direi che il lavoro di Giorgio, in fin dei conti, è stato 90% analisi, ascolto, esperienza, osservazione, e 10% intervento manuale. Avrebbe potuto montare una muta di Elixir nuove e brillanti e dirmi: "da specifiche, queste sono le sue corde, senti ora come suona". Ora, appunto. Ma non sarebbe stata una soluzione.

Il risultato è stato notevole. Si è sentito subito. Nonostante la muta di corde Martin FX montate fosse stata suonata a lungo e abusata (vari smontaggi e rimontaggi nei piroli), il suono, il tono e il sustain dei bassi erano cambiati, migliorati. Soprattutto il sustain, più lungo. E' bastato appoggiare una mano sulla tavola all'altezza del ponticello per sentire la tavola armonica vibrare come non aveva ancora fatto. I bassi non si smorzano più, ora il suono e' ricco, caldo ed equilibrato. Lo sapevo che una Taylor non poteva non suonare!

Questo secondo video * è stato registrato qualche fa. E' sufficiente confrontarlo con il primo per sentire quanta energia in più le corde riescono a trasmettere alla tavola e allo strumento in generale; il suono è più pieno e completo. Avendo un maggiore sustain sui bassi, la resa tonale complessiva è finalmente equilibrata e non squillante. Questo facilita di molto sia gli accompagnamenti che gli arpeggi in fingerstyle che precedentemente soffrivano della mancanza del MI basso.



Se siete arrivati fin qui, siete chitarristi o appassionati, e quindi potete capire la mia soddisfazione nel vedere cosi' migliorato uno strumento a cui tengo molto. Alla fine non so se fossi più soddisfatto io o Giorgio, che si è dedicato con passione a questo lavoro, e si è reso davvero conto quanto per me quel tono smorzato fosse diventato un cruccio.

Questa storia insegna due cose. La prima è che c'è un fondo di verità nell'affermare che la produzione in serie di strumenti musicali di fascia media e di marchi famosi non è una garanzia di qualità, e per due motivi. Uno, usano materiali (come i ponticelli Tusq) che non sempre vanno bene per ogni strumento. Due, i controlli di qualità non devono essere così scrupolosi. La mia Taylor ha verosimilmente lasciato lo stabilimento con le stesse caratteristiche tonali di quando l'ho acquistata: possibile che nessuno al QC si sia detto: "Ehi, qui siamo un po' corti di sustain, diamoci da fare"?

La seconda cosa è trovare una persona animata dalla passione degli strumenti come Giorgio Avezza non è facile, e per questo mi considero fortunato. Pensare che ero quasi convinto di vendere la Taylor e passare ad altro!

Il prossimo video, se e quando riuscirò, sarà con le famigerate Elixir HD. Come detto, parti prevenuto: temoc che la scalatura sia troppo spessa, la tensione eccessiva, a scapito della capacità della tavola armonica di vibrare. Vedremo.

(*) Mini disclaimer: i due video , ovviamente, hanno la sola funzione di dimostrare il cambiamento del sustain nella chitarra, senza pretesa di scientificità né, soprattutto, di abilità tecniche.

02 novembre 2014

Installazione di pickup Fishman Sonitone su chitarra acustica.

In queste righe vediamo insieme come installare facilmente un pickup piezoelettrico in una chitarra acustica. Lo strumento che amplifichero e' la mia Ibanez PF10NT, uno strumento di una ventina d'anni particolarmente risonante e piacevole da suonare, ma il discorso vale per tutte le chitarre.

Mini premessa tecnica. Come noto, i pickup piezoelettrici UST (under saddle transducer) si dividono in due grandi famiglie: passivi, ovvero costituiti dal solo trasduttore e dal connettore di uscita del segnale, e attivi, dotati anche di un sistema di preamplificazione del segnale, piu' o meno sofisticato. Il segnale raccolto da un pickup piezo, sia esso di tipo flessibile che rigido, e' generalmente debole e deve essere preamplificato prima di essere inviato in un sistema di amplificazione o ad un ingresso di un mixer/PA. I sistemi attivi , a loro volta, sono componenti piu' o meno grandi e ingombranti , a seconda dei modelli, in quanto devono ospitare il circuito di amplificazione, i controlli (tono, volume), una sorgente di alimentazione (batteria) e una o piu' uscite (sbilanciata e bilanciata), come questo.


A mio modo di vedere, il montaggio aftermarket di questi sistemi su una chitarra acustica hanno un inconveniente non da poco: richiedono la realizzazione di uno o piu' alloggiamenti (e quindi scassi) nelle fasce. In primo luogo non e' un'operazione semplice se siete hobbisti come me; in secondo luogo, inserire oggetti voluminosi all'interno della cassa potrebbe avere una ricaduta sulle frequenze dello strumento.

Per questi motivi ho optato per la soluzione meno invasiva di amplificazione di uno strumento acustico: il sistema Sonitone di Fishman. Adottato come OEM da molti costruttori (Martin, per citarne uno), consiste in un trasduttore piezo e in un preamplificatore miniaturizzato che puo' essere montato sotto la tavola armonica, con i controlli di tono e volume a filo con la buca.



La board del preampli e' molto furba in quanto e' dotata di un biadesivo 3M di qualita' per montarlo facilmente sotto il top della chitarra, senza bisogno di usare colle o viti.


E' un sistema sicuramente piu' economico e meno versatile di molti altri in commercio ma consente di amplificare , con una buona qualita' generale, uno strumento acustico in pochi minuti.

Per prima cosa occorre praticare un foro da 2.5mm in una delle due estremita' dello scasso del ponticello: il pickup flessibile passera' da qui. L'operazione e' semplice ed e' spiegata in molti tutorial su YouTube. Basta avere l'accortezza di forare lentamente, schermando il ponte con un po' di nastro da carrozziere. Una volta praticato il foro, e' sufficiente far passare dall'interno verso l'esterno il piezo. Dal momento che il trasduttore e' sostanzialmente un cavo dello spessore di 2 mm circa, occorre ora ridurre l'altezza del ponticello perche' l'altezza complessiva, e quindi l'action, sia la medesima del precedente ponticello. Qui la tecnica , che richiede pazienza, un buon calibro corsoio e molta precisione, consiste nel carteggiare il nuovo ponticello per eliminare il materiale eccedente la sagoma. Le due immagini prese dal web (le mie erano troppo scure) mostrano come fare.

Prima si prende la misura della parte eccedente


e quindi la si carteggia, lentamente, misurando di volta in volta aiutandosi se possibile con una guida perche' l'angolo sia perfettamente ortogonale e la superficie dell'osso complanare a quella del ponte.




Ora si puo' inserire il ponticello nello slot del ponte ed eventualmente fermarlo tempoeraneamente per non farlo ricadere nella cassa.




Il secondo foro e' meno facile e presenta qualche rischio in piu', ma nulla di infattibile.
Con un alesatore conico a mano da 12 mm oppure con un trapano e una punta da legno da 12 mm , si deve allargare il foro dove e' avvitato l'attacco per la tracolla. L'uso dell'alesatore conico a mano e' preferibile in quanto consente di contollare con lentezza e precisione la fase di allargamento del foro, ma non e' facile trovare questo strumento da liuteria e, quando lo si trova, il prezzo puo' essere di diverse decine di euro. Una buona punta da legno da 12 mm e' una soluzione non ottimale ma efficace. Per evitare guai e' sempre meglio mascherare la superificie intorno al foro con nastro adesivo da carrozziere.




Una volta che il foro e' praticato, si deve far uscire il connettore endpin jack verso l'esterno. Il trucchetto e' di usare un cavo jack per tirarlo fuori. Si inserisce la punta del jack nel connettore e lo si usa per tirare e guidare il connettore endpinjack fuori dal foro nella cassa.



Quindi e' sufficiente avvitare dado, controdado e supporto tracolla a vite. Per gli endpin Fishman si usa una chiave a bussola da 13.



L'altra parte, facile, consiste nell'installazione del vano batteria e della board preamplificatore. Il Fishman Sonitone, che e' un sistema minimalista, e' fornito di un portabatteria costituito da una tasca in nylon dotata di velcro . Una parte di velcro adesivo si incolla all'interno della cassa. Lo svantaggio e' che il cambio batteria si puo' effettuare solo quando si cambiano le corde perche' e' necessario inserire la mano nella cassa passando dalla buca. Il vantaggio e' che nuovamente una soluzione non invasiva e di facile montaggio: essendo il porta batterie cosi' piccolo e privo di forme spigolose, non dovrebbe interferire con l'acustica dello strumento. La batteria da 9V si collega con un cablaggio all'unita' pre.




Ecco nel dettaglio il velcro adesivo incollato saldamente al neck joint all'interno della cassa. Se potete aiutatevi con uno specchietto per incollare il velcro dritto e in posizione centrata.


Una volta che l'adesivo ha fatto presa sul legno e' possibile attaccare il portabatteria in nylon con il velcro. Una pila 9V pesa poco, quindi non mi aspetto che eserciti troppo carico sul velcro.

Siamo all'ultima parte. Il fissaggio del preamplificatore. Ora, se il bracing del top lo consente, bisognerebbe montare il pre nella parte superiore della buca, perfettamente al centro, in modo da raggiungere comodamente i due controlli on board: tono e volume.

Purtroppo il bracing della mia Ibanez interferisce con la sagoma del pre, che deve essere montato in posizione leggermente decentratrata. Fortunatamente i controlli si raggiungono senza fatica. Una volta che il biadesivo e' posizionato, va premuto per un po' contro il legno per assicurarsi che aderisca fortemente. La board e' leggera e non e' soggetta a carichi o spinte, quindi non dovrebbe scollarsi. Se accadesse, sia 3M che Tesa vendono biadesivi piu' spessi e forti.



Nella confezione Fishman e' compresa anche una clip in plastica con biadesivo. La si puo' incollare all'interno della fascia superiore per fare da fermacavi: in pratica servira' per tenere ordinati sia il cavo del piezo che quello di uscita collegato al connettore jack femmina, seguendo questo schema.



Il lavoro e' terminato. A questo punto e' sufficiente montare un set di corde nuove, accordare la chitarra e collegarla all'amplificatore.
Purtroppo non ho avuto tempo di registrare brani , ma posso dire che questo economico sistema Fishman offre, nell'ambito del piezoelettrico, una buona qualita' di amplificazione e riproduzione del suono e un volume molto generoso. Tuttavia, se si vuole conferire un po' di calore al suono, e' possibile usare un ulteriore preamplificatore a valvole tra chitarra e amplificatore.


02 luglio 2014

Superga Freeride in notturna - MTB

Prima uscita della stagione in notturna sulla collina di Superga con discesa su sentieri Orrido, Alberi, 600, Cavatappi.
Impianto luci: faro Peller a 3 LED CREE, 3600 lumen (dichiarati) a piena potenza.

Ecco il video registrato con la sempre fida GoPro. Ritocchi minimi su YouTube: lieve luce di schiarita.

21 gennaio 2014

[Recensione e Test] Freni a disco Formula C1.

Nel 2013 Formula ha presentato, tra i prodotti della gamma 2014, il nuovo set di freni C1, che sono considerati low end e destinati prevalentemente al mercato OEM, ma comunque disponibili al dettaglio. Il termine low end, o basso di gamma, mi piace poco e ho invece apprezzato la definizione di budget brakeset che ne è stata fatta durante uno dei servizi all’Eurobike: ovvero un prodotto realizzato con l’attenzione ai costi non significa realizzato in economia, ma in efficienza.
C1 è un impianto frenante indicato principalmente per usi cross country, trail, all mountain e può essere adoperato anche in contesti gravity non impegnativi, anche se non sono consigliati per uso in downhill.
Lo scopo di questo test è verificare, tra le altre cose, quali siano le caratteristiche di potenza e resistenza di questi freni, stressandoli con discese molti metri di dislivello e stili di guida diversi.

Analisi statica
La caratteristica distintiva è la loro progettazione e costruzione con il master cylinder a cartuccia sigillata: il pompante è sostanzialmente un monoblocco integrato sulla cui idraulica non è possibile intervenire con revisioni e rebuild. Questo schema progettuale ha tre risvolti interessanti:
1. consente di produrre un corpo pompante dalle dimensioni particolarmente compatte;
2. in fase di assemblaggio consente di contenere i costi produttivi e, quindi, il prezzo finale;
3. infine fa sì che le parti in movimento siano realizzate con tolleranze migliori che aumentano l’affidabilità del componente.



Circa il punto 1, la compattezza del pompante assiale ha anche il vantaggio di avvicinare la leva al manubrio, a beneficio di chi ha mani più piccole e, in generale, dell'ergonomia del freno. La forma ricorda la serie Oro K18, un impianto frenante potente e affidabile che ho avuto su una trailbike da cui mi sono separato recentemente.

Alcuni, leggendo che il master cylinder non è ricostruibile, potrebbero storcere il naso: ma obiettivamente, negli ultimi anni, quante volte vi è capitato di effettuare una revisione completa del pompante? A me, mai. In primo luogo perché le generazioni più recenti di pompanti sono molto robusti e resistenti; inoltre la ricostruzione del pompante è raramente un'operazione economicamente conveniente per cui accade più spesso che set di freni un po’ provati da uso e cadute passino di mano come ricambi o allestiscano un muletto.



Iniziamo, come di consueto, con il rito dell’unboxing. I freni sono venduti e confezionati separatamente, anteriore e posteriore, in scatole di cartone e protetti da una busta di plastica, in cui troviamo anche due viti M5 già predisposte con il frenafiletti medio, connettori per accorciare le tubazioni, libretto di istruzioni e un po' di adesivi Formula, gadget sempre molto gradito.



Ovviamente i freni sono già pronti all’uso, dotati di pastiglie e muniti dei distanziali in plastica. Le pastiglie sono semimetalliche e, come sostenuto dal rappresentante Formula Jeff Stoudt intervistato durante Interbike, è la mescola metallica più silenziosa che Formula abbia mai prodotto. Ecco l'intervista durante la fiera:


I rotori sono opzionali e acquistabili a parte. Per il test utilizzerò i rotori Formula da 203 mm già montati sulla mia bici.




Ad ogni tubo è attaccato il cartellino con le precauzioni di uso e montaggio.
Il corpo dei freni è in metallo verniciato. Esistono in versione total black, verniciati in nero lucido, oppure quelli che ho scelto, bianchi con collarini e leve neri, un po’ diversi dal solito.
Formula C1 è un impianto frenante abbastanza leggero, come vediamo negli immancabili scatti sulla bilancia.
 



241 grammi per l’anteriore
258 grammi per il posteriore

Le pesate si riferiscono al set di freni ancora equipaggiati dei due distanziali di plastica (circa 10 grammi l'uno); il peso complessivo si aggira sui 480 grammi per il set completo. Un parametro da tenere in considerazione se stiamo allestendo una nuova bici o progettando un upgrade.

Pompanti
La caratteristica dei C1 è il pompante con master cylinder a cartuccia sigillata; si tratta di una pompa assiale con l’idraulica, composta da cartuccia e serbatoio, e disposta in posizione parallela rispetto al manubrio. Come scritto, questo schema contribuisce a ridurre gli ingombri ed agevola la presa sulla leva. Il corpo è verniciato in bianco lucido e con alcune serigrafie (marca e modello, Made in Italy, indicazioni sul fluido DOT da usare e un barcode). La verniciatura dei miei esemplari non è impeccabile e presenta qualche imperfezione di cui peraltro non mi curo assolutamente perché, è noto, i freni sono componenti esposti a graffi ed usura anche nelle semplici operazioni di carico e scarico dall'automobile, per cui non sarebbero rimasti immacolati.


I collarini sono in metallo accuratamente anodizzato nero lucido. Noto con piacere che anche per questo modello, come per i T1, Formula ha adottato le viti a testa cava esagonale, molto più pratiche da stringere e allentare anche con il classico multitool che teniamo nello zaino, rispetto alle viti Torx che ho avuto (e subito sostituito) sui Formula RX1.

Le leve hanno un aspetto robusto e sono realizzate in alluminio anodizzato nero con una superficie ruvida che sembra assicurare un ottimo grip anche a mani nude. La distanza della leva, e quindi la corsa totale, è regolabile mediante una vite a testa cava esagonale. Le leve sembrano essere parte integrante del pompante e non sostituibili (infatti non si trovano nel documento delle parti di ricambio) in caso di rottura. Questo aspetto può rappresentare un limite perché potrebbero effettivamente piegarsi o rompersi per una caduta o un urto contro una roccia.


Sono freni reversibili (cioè un pompante può essere montato indifferentemente a destra o a sinistra); la vite di spurgo (con testa Torx come di consueto) è posizionata esattamente al centro del corpo per non modificarne l'accesso a seconda del montaggio. E' da verificare se lo spazio tra il pompante e il manubrio, rende agevole l'operazione di spurgo.







Pinze.
Anche le pinze, come i pompanti, sono stati progettati da zero. Dal punto di vista estetico, la forma è simile ad altri modelli Formula. Si tratta di una pinza monoblocco, scelta progettuale già adottata da Formula per altri modelli, realizzata in metallo verniciato ed equipaggiata con due pistoncini da 22 mm di diametro: una dimensione generosa, quasi sovradimensionata per utilizzi prettamente cross country, e che fa presagire una buona potenza di frenata.



La vernice non è perfettamente applicata su tutta la superficie: alcuni punti critici, dove le pinze sono state probabilmente a contatto con sostegni durante la verniciatura, non sono rifiniti.
Anche sulle pinze sono presenti le serigrafie Formula con modello, codici a barre e la scritta Made in Italy.



Sul lato esterno è posizionata la vite Torx per effettuare lo spurgo.
Le tubazioni sono molto lunghe, soprattutto quella del freno posteriore, caratteristica che ne agevola il montaggio anche su telai full suspended da 29" in taglie extra large. Come scritto nella confezione sono inclusi i raccordi da utilizzare se si volesse accorciare i tubi; personalmente sono dell'idea di lasciarli lunghi: la qualità dei materiali e dei fluidi usati dovrebbe prevenire il cosiddetto "effetto polmone" che anni fa si aveva sulle tubazioni lunghe dei freni idraulici.





Montaggio
Il montaggio dei freni Formula non è dissimile da quello di altri modelli ed è facilitato dai collarini smontabili dei pompanti, dai bulloni in dotazione già dotati di frenafiletti medio.


Dopo aver rimosso i freni già montati (i Formula T1S forniti di serie sulla mia bici), si procede montando il freno anteriore, iniziando dal pompante.



Operazione naturalmente semplice. I collarini si lasciano allentati per stringerli dopo averli posizionati con l'inclinazione giusta.


Quindi si prosegue montando la pinza alla forcella. Nella confezione standard, non sono inclusi gli adattatori per cui uso quelli da 203 mm già presenti, e i bulloni forniti. Il frenafiletti è applicato con generosità ed offre resistenza al serraggio.
La centratura va liscia come l'olio al primo tentativo: è sufficiente lasciare i due bulloni leggermente allentati, far girare la ruota, dare una frenata decisa e, tenendo la leva tirata, stringere i due bulloni con la chiave esagonale; per verificare che la pinza sia centrata, basta girare lentamente la ruota ed osservare il rotore muoversi tra le pastiglie, meglio se in controluce.


I freni C1 hanno come accessori rotori dedicati, leggermente più spessi di quelli forniti in genere con i T1; per compensare questa differenza di spessore può essere necessaria una regolazione della distanza della leva.
Le operazioni si ripetono per il freno posteriore, con in più il fissaggio al carro del tubo idraulico mediante fascette elastiche.


Il tubo è super lungo, per cui si opta per un passaggio "comodo" e disteso.





Anche la centratura del freno posteriore è un'operazione immediata: stessa tecnica, una veloce verifica del corretto posizionamento e quindi si stringono i bulloni.

Bianco su bianco è un accostamento stupendo!
Per completare il montaggio, occorrono ancora due regolazioni molto personali; la prima è l'inclinazione dei pompanti; qui ognuno segue le proprie abitudini: io preferisco mettermi in assetto da discesa e regolare l'angolo dei pompanti in modo che siano virtualmente allineati all'avambraccio disteso. A questo punto si possono stringere i bulloni sui collarini.



La seconda regolazione è la corsa delle leve; si agisce con una chiave esagonale ruotando un piccolo registro in senso orario o antiorario, come di consueto.
Anche l'assenza di una regolazione di tipo tool less rientra nel contenimento dei costi. Per me non è un problema in quanto una volta che ho regolato la corsa, a meno di anomalie (aria nell'impianto, pastiglie a zero), intervengo molto di rado per modificarla. Comunque questa regolazione mi dà anche l'occasione per fare le primissime frenate nello spazio antistante il garage. Ovviamente le pastiglie devono "rodarsi", ma il feeling sulle leve è buono, solido.
Conclusa anche questa regolazione, ora si devono mettere le ruote su strada (anzi, fuori strada) , imboccare un bel po' di discese e frenare. Servono a questo, no?



Prova pratica
Prima ancora di frenare, l'aspetto che mi colpisce positivamente dei C1 è l'ergonomia, un aspetto che in Formula conoscono bene e che qui hanno applicato al meglio. Le leve sono posizionate abbastanza vicine alle manopole da consentire una presa immediata anche se si hanno dita di media lunghezza; al contempo, la corsa utile è ampiamente dimensionata per regolarla a seconda delle preferenze e avere sempre la frenata sotto controllo. Le leve sono in alluminio anodizzato trattato con una finitura ruvida che dà un ottimo grip in tutte le situazioni, come ho potuto verificare: guanti sottili, guanti invernali, mani nude, bagnato.



Il rodaggio delle pastiglie è stato veloce: sono state sufficienti quattro o cinque frenate decise e la sensazione è cambiata radicalmente, con una risposta alla frenata immediata. Concluso il rodaggio, si può procedere con le prove pratiche che sono state condotte in condizioni abbastanza eterogenee, nonostante la stagione invernale: sentieri, mulattiere, fondi asciutti, innevati, bagnati, roccia, terra compatta, pietre smosse, erba. Per semplicità, riporto qui le mie osservazioni suddivise per condizioni di frenata.

Nota preliminare. I freni sono arrivati in condizioni eccellenti, perfettamente spurgati e con un buon movimento dei pistoncini nelle pinze. Magari a qualcuno potrebbe sembrare ovvio, invece è la testimonianza di un controllo di qualità efficace.

Mulattiera o single track asciutti e ripidi. Una delle condizioni più desiderabili a livello di tenuta e quindi di velocità, non inusuale anche nella stagione invernale. Si procede a velocità sostenuta, controllando velocità e traiettoria con una frenata leggera e ripartita uniformemente su anteriore e posteriore, senza sforzi né staccate. La potenza è sempre più che adeguata ma quello che convince è la progressione e la sensibilità della frenata, che non ha mai fatto percepire alcun segno di affaticamento (e conseguente fading) anche con dislivelli importanti. Rotori di grosse dimensioni aiutano, ma la resistenza è ottima. Confermata la promessa del portavoce ad Interbike: le nuove pastiglie sono straordinariamente silenziose.


Fondo viscido, smosso, con presenza di fango e neve. Al contrario della precedente, questa è la situazione più consueta dei mesi invernali, qualcosa con cui si deve sempre fare i conti durante un'uscita che preveda passaggi boschivi e silvestri, quindi i classici giri cross country. Notoriamente, è la condizione dove una frenata controllabile e progressiva fa la differenza, ed è più importante di una grande potenza. Io credo che sia l'ambito dove i Formula C1 hanno dato il meglio di sé; capiamoci, sono freni molto potenti, ma le loro qualità migliori -- una frenata estremamente modulabile e progressiva, una mescola che funziona bene a tutte le temperature, sia a freddo che alla fine di una lunga discesa -- sono emerse soprattutto sui fondi insidiosi, come la neve ghiacciata per l'appunto, con il carico maggiormente ripartito al posteriore. E' possibile controllare il rallentamento senza mai bloccare la ruota, e quindi controllare la traiettoria con precisione. Anche dopo passaggi nella neve, nel fango e non pochi guadi, le pastiglie sono silenziose e la frenata è costante, pronta.


Tratti tecnici lenti, fondo asciutto. Benissimo anche in questa situazione dove non ho mai sentito l'esigenza di una potenza maggiore; la sensazione sulle leve è sempre stata rassicurante, un insieme di rock solid e controllo molto preciso della potenza esercitata. Sono molto contento anche delle pastiglie: anche se la mescola è prevalentemente metallica, non richiedono di raggiungere particolari temperature di esercizio, e la frenata è ottima anche a freddo. Notevole l'ergonomia e il grip sule leve, sia con i guanti invernali, che in genere fanno perdere un po' di sensibilità, sia con guanti molto sottili e anche -- quando la temperatura lo permetteva -- a mani nude.

Staccate. Personalmente con il mio stile di guida in montagna, le frenate brusche, le "inchiodate" e le staccate non sono frequenti, anche se occorre saperle gestire; qualche volta accade di arrivare ad un tornantino semi nascosto alla fine di un tratto veloce, oppure di dover fare una frenata di emergenza durante un trasferimento su asfalto. Ho provato più volte a sollecitare i C1 in queste situazioni: la potenza è sempre stata adeguata e sufficiente ma, soprattutto, sempre controllabile. A livello di potenza espressa sono inferiori ai T1 e ad altri freni specificamente progettati per gravity, ma mi hanno finora permesso qualunque tipo di frenata in tutta sicurezza.

Analisi post test.

Usura delle pastiglie. Grazie alla centratura perfetta, l'usura è moderata e uniforme. E' sempre difficile raffrontare empiricamente l'usura di pastiglie diverse (occorrerebbe effettuare il test in laboratorio, con apparecchi che consentano di riprodurre sempre i medesimi parametri: forza esercitata sulle leve, resistenza, velocità e durata), ma l'occhio esperto dice che è simile o di poco superiore a quella verificata su altre pastiglie Formula (montate sui T1). Ho riscontrato la formazione di un leggero strato di ossido sulle placchette metalliche.

Resistenza dei materiali. La verniciatura di pinze e pompanti, non ai massimi livelli come precisione, si è però dimostrata molto resistente ai maltrattamenti tipi della mountain bike: finora non ho riscontrato graffi o segni dovuti a pietre, rami ecc.

Tenuta del circuito. Ancora presto per il verdetto definitivo, ma in queste settimane di uso (e trasporti, capovolgimenti...) posso escludere qualsiasi formazione di aria nel circuito. Il feeling delle leve e la potenza sono sempre uguali.

Se pensate che parole e foto ancora non rendano l'idea, di seguito trovate un video che ho realizzato unendo clip registrati negli scorsi mesi utilizzando sempre i Formula C1. Per comodità ho diviso il video in tre sezioni, una per tipo di terreno e fondo.



Due parole a conclusione del test.

Mi sto trovando benissimo con i C1, che stanno prendendo, almeno in questi mesi, il posto dei T1, quindi li confronto con un impianto quasi al top. Formula consiglia i C1 per cross country, trail e light gravity. E' una classificazione condivisibile: sto usando questi freni dalla fine dell'autunno, una stagione in cui i percorsi devono necessariamente scendere di quota e quindi diminuire di dislivello ma sono comunque impegnativi per lo stato del fondo, raramente asciutto e compatto, che richiede cautela e sensibilità. Credo che siano i freni ideali per chi pratica il cross country e l'all mountain, magari su mezzi nei formati 29" e 650B, e vuole freni affidabili, super modulabili, adeguatamente potenti e facili da mantenere senza spendere un capitale; sono perfetti per i giri invernali quando le lunghe discese polverose lasciano il posto a sentieri coperti dal fogliame e fondi scivolosi. Ma sono la scelta giusta, e ne sono convinto, anche per chi si spinge un po' oltre e affronta le discese con decisione: potenza e controllo sui C1 vanno d'accordo.

Pregi
Frenata pronta ed estremamente progressiva
Facili da montare, centrare e mantenere
Super silenziosi
Prezzo contenuto per un prodotto progettato e costruito in Italia

Difetti
La leva non è sostituibile
Verniciatura con qualche imprecisione