12 febbraio 2008

Di ritorno dal Brasile.

Ok, ci ho messo un po' per rientrare in possesso delle mie facoltà grafiche (nel senso di scrivere, non di disegnare: non sarei capace di fare un cerchio con un bicchiere) ma rieccomi qui.
L'esperienza brasiliana è stata più che positiva, anche (o soprattutto) dal punto di vista professionale. Il mio speech - gratia dei - ha ricevuto plausi e consensi, anche con email nei giorni dopo la conferenza.
Hi Giuseppe, Nice to receive a message from you, I would like to congratulate you for the best presentation in the congress, I really didn't like most of the presentations, yours was very interesting
Fa sempre piacere.
Non starò qui a fare il report del congresso, è chiaro.

Rio.
La trasferta è stata abbastanza lunga da permettermi di vedere e capire abbastanza bene Rio -- ovviamente le parti di Rio comprese nei circuiti turistici e considerati sicuri.

Già, perché a detta di tutti (dalla Lonely Planet ai locali ai connazionali di stanza in Brasile) il problema della sicurezza è particolarmente sentito.
E' sufficiente fare quattro passi a Ipanema o Copacabana per rendersi conto che tutti gli edifici residenziali, di lusso e non, sono circondati da grosse, robuste e alte sbarre, e sorvegliati da vigilantes privati.

Io questi quattro passi li ho fatti e, ad eccezione di un piccolo e sventato tentativo di furto, posso dire che non mi è successo nulla. Ho preferito evitare il tour nella favela sia perché il loro maggior pericolo è rappresentato da possibili interventi di corpi scelti della polizia (e quando capita, non devi pensare ad un'operazione dei carabinieri: immagina di trovarti all'improvviso in mezzo ai bombardamenti di Beirut, mi avvisava un collega) sia perché il giro turistico tipo zoo in mezzo alla miseria e a situazioni disagiate, per poi tornarsene all'aria condizionata della stanza d'albergo, mi sembrava superfluo e irrispettoso.

Archiviata la questione sicurezza, è impossibile non farsi sorprendere dalla geografia bizzarra di questo luogo. Una vista dall'alto (dal Pan di zucchero o dal Corcovado) danno un'idea della straordinaria disposizione di mare, colline impervie, grattacieli, baraccopoli, foresta.





Il carnevale








A rischio di essere davvero banale, non posso esimermi dallo scrivere due parole sul carnevale di Rio. Il 2 febbraio ero al Sambodromo. Per chi non lo sapesse, la serata più importante sarebbe stata domenica, con la sfida tra le scuole di samba di prima categoria. Ma per chi non ha mai assistito a uno show del genere, anche la seconda categoria è decisamente sorprendente, come è sorprendente il tifo della gente per questa o quella scuola di samba, ciascuna con la propria canzone e i propri colori.
Ma lo spettacolo nel Smbodromo è solo uno degli aspetti del carnevale perché per tutti il periodo, le strade sono invase da blocos, parate di quartiere con carri allegorici, tematici (come Simpatia) o semplicemente camion stracolmi di carioca e altoparlanti: mentre i carri attraversano a passo d'uomo l'Avenida Atlantica con la musica a volume altissimo, centinaia di locali, turisti, famiglie, ricchissimi e poverissimi, bambini e anziani ballano, cantano e bevono fiumi di birra (Skol, per la precisione). Date le proprietà diuretica della birra, la spiaggia si riempie ben presto di uomini che senza molti pudori svuotano la vescica guardando l'oceano.

Ecco, ora faccio la sintesi.
Il Brasile mi è parso mediamente povero con i divari tra molto ricchi e miserrimi consueti in queste latitudini. Però una cosa l'ho notata, camminando per le strade o prendendo il sole sulla spiaggia di Copacabana: i bambini, indipendentemente da etnia e condizione, non fanno i capricci.

Si potrebbe continuare a lungo. Il web è già abbastanza pieno di ovvietà.
Ah, foto mie zero. Onde evitare furti e relative conseguenze, la macchina fotografica è rimasta a casa.

22 gennaio 2008

My speech at Mobile TV Latin America.

Hi all,

on January the 29th I'll have the honor to open the first session of Mobile TV Latin America conference which will take place in Rio de Janeiro, Brazil.
If you are familiar with mobile broadcasting and stuff like that, well, this is a huge opportunity to meet serious professionals bringing their experience in the TLC, broadcasting and content industry.

Plus, Latin America seems to be one of the most profitable markets -- having a large mobile customer basis -- for mobile value added services and content related services.
That's one of the reasons I'm so excited to join the conference and tell something about my company's effort in delivering innovative services to mobile customers.

My presentation, of course, deals with mobile television -- from the very early stage, back in 2005, to the current commercial service.

For the time being, I'd like to thank my colleagues in Turin for the support in preparing my presentation and my friend Steven from the firm Masur Law, who has just delivered me a very heartening message for my key speech:

"You deserve it. Your presentation in London was definitely one of the best. Good people are hard to come by, and this has motivated me to stay in touch."
I'll do my very best to bring as much value as I can.
Should you have any question, please post a comment or drop me an email.

14 gennaio 2008

Thyssen. La versione del padrone.

La Thyssen, non fossero abbastanza 7 operai morti sul lavoro, vuole denunciare il sopravvissuto.
D'altronde lo cantava De André più di 30 anni fa, e quanto aveva ragione.

E in una notte senza luna
truccò le stelle ad un pilota
quando l'aeroplano cadde
lui disse "È colpa di chi muore
comunque è meglio che io vada "
ed il pilota lo seguì
senza le stelle lo seguì
sulla sua cattiva strada.

Fabrizio De André, La cattiva strada, Vol. 8 (1975)

10 gennaio 2008

Stefano, questa canzone è per te.

Ogni anno, il 24 dicembre, il caporale di fanteria Stefano Arrighi mi mandava un SMS di auguri, col suo tono scherzoso, ironico. Mi sembra di averlo davanti, quel ragazzone alto due metri, paziente, saggio. Quegli otto mesi trascorsi gomito a gomito, sopportando i nonni e i marescialli, le zanzare e il freddo, e senza mai dormire una notte tutta intera, mattinate a imbrattare scartoffie inutili e pomeriggi a spazzare foglie, quegli otto mesi in mimetica e in drop mi sono parsi una vacanza.

Ricordo che una notte i nonni erano particolarmente maneschi, e ci fecero sdraiare a terra e ci bagnarono con secchi pieni d'acqua. Volavano pugni e calci con gli anfibi. Non ero proprio tranquillo. Stefano, sdraiato accanto a me, si voltò e semplicmente mi disse: "Dai, Pier, che tra poco è tutto finito."

Le guardie fatte insieme al caporale Arrighi, notti passate nella tranquillità del cortile della caserma, passavano in un lampo, tra mille discorsi, battute sui commilitoni ruspanti, sogni per il futuro.
Già, il futuro. Quello che ci attendeva la mattina congedo, ritti e con la divisa in ordine, dopo l'ultimo silenzio fuori ordinanza, gli ultimi passi di marcia, per gridare "FINITA!"

Come spesso succede, succede che ci perdiamo un po' di vista. Io cambio città, Stefano si laurea. Sì, gli SMS scherzosi: quelli non sono mancati. Per dirsi buon Natale, per ricordare qualche testa calda o il nostro gergo. Solo un anno non mi ha scritto. E io -- se solo potessi tornare indietro -- lascio passare i mesi.
Ma non sono mesi buoni. Quel ragazzone alto e pieno di salute ha un male che pian piano gli toglie le gambe, il sorriso, quella luce negli occhi, e poi la vita.
Succede in un giorno d'estate, afoso, con le strade vuote.

E non è più trascorso giorno senza pensare a lui, dapprima incredulo per tanta ingiustizia, poi rassegnato, e più solo. Queste mattine di Natale a fermarmi sul suo numero memorizzato in rubrica, e non potendo scrivere una frase di conforto, perché nessuno può più leggerla. Gli anni non servono. Ho dentro questo rimorso, di non averlo salutato un'ultima volta.

Un anno fa ho ascoltato In This River, il pezzo che Zakk Wylde ha scritto per la morte di Dimebag. Era l'immagine che cercavo: un fiume, io su una sponda, e Stefano su quella opposta.

Ho provato a ricordare Stefano come potevo, registrando questo brano, che usa gli accordi e qualche riff di River. Sono in debito con questa canzone.
Sì, dentro ci sono errori, timing pellegrino, bending calanti. Ma c'è anche altro, dentro, in mezzo alle note.

Stefano, ti dedico questa canzone, la dedico al tuo sorriso, alla tua vita troppo breve. Perdonami se non è molto. Perdonami.

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08 gennaio 2008

Xerox reloaded.

La mia vecchia azienda, ovvero l'azienda per cui ho lavorato (altrimenti qualcuno potrebbe chiedermi se ero nel management board), ha deciso di sostituire il vecchio logo (quello che potete ancora leggere sulla risma di carta da fotocopie) dopo 40 anni di onorato servizio. Il nuovo luogo è scritto in minuscolo, arrotondato e accompagnato da una pallina che rimbalza.
In questo modo, Xerox svecchia un po' l'immagine dell'azienda nota sì per l'attività di R&D, ma anche per una linea e una comunicazione aziendale abbastanza tradizionali e seriosi.
Forse hanno rinnovato anche i servizi e la gamma di prodotti, ma in fin dei conti si tratta di office automation e document managament: miracoli non se ne possono fare.
Ma se aveste nostalgia del vestito vecchio di quest'azienda, non dovete far altro che cercare un lavoro da agente di commercio: lì è tutto come prima.

Via Mashable.

07 gennaio 2008

Mostra fotografica TOMOVE.

Torinesi e non, vi segnalo una mostra fotografica organizzata da dieci15 in cui esporrà anche il nostro grande Bortolozzo, l'eroe sabaudo del 10x12.
Inaugurazione: venerdì 1 febbraio alle 4 del pomeriggio presso la galleria Il Chiostro di via Po 45.
Chi non ci va, non saprà mai cosa si è perso. Molto, ve lo assicuro io.

06 gennaio 2008

Sunday blues.

E' domenica e sono solo. No, non c'è tristezza né i pensieri amari degli scorsi giorni.
C'è solo voglia di stare bene, e tirare fuori queste quattro note, sperando che non siano stonate.
Così ho preso la chitarra e ho registrato questo piccolo Sunday blues.
Spero che vi piaccia. Graditi commenti e critiche.

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03 gennaio 2008

La neve fa quello che può.


Vedute di Borgonuovo di Settimo Torinese (TO), 3 gennaio 2008.

Il 2008 inizia così, con una bella spruzzata di neve sulla periferia di Settimo Torinese (come in molti altri luoghi del centro nord). Ovviamente la foppa di cui sopra non ha alcuna velleità artistica (ci mancherebbe): sono due scatti fatti in fretta e furia mentre la caffettiera era sul fuoco. Mi bastavano per ricordare questo risveglio.

La neve ha sempre avuto il compito ingrato di mascherare gli errori e le brutture dell'uomo. Ma non è nevicato abbastanza, a Settimo, questa notte. Camminando verso l'auto parcheggiata per strada, i miei passi scoprivano l'asfalto coperto da uno strato troppo sottile di neve, mostrando il bitume bagnato, scabroso e grigio.

Non mi interessa né intendo scrivere uno bilancio dell'anno passato. Dio me ne scampi. Ci sono stati eventi personali troppo belli e importanti per stilare una banale lista a mo' di servizio di fine anno della CNN.

Tuttavia, la neve che per poche ore ricopre le strade le case le auto in sosta, e si spazza via con la suola delle scarpe, continua a tornarmi in mente. Sta diventando una piccola ossessione. Molti aspetti della mia vita di migrante possono essere riassunti e descritti con la metafora della neve sottile. Ho dovuto rassegnarmi di fronte all'evidenza di una rete sociale di amicizie che va via via riducendosi per dimensione, portata e affidabilità, come se le maglie diventassero progressivamente più larghe perché alcuni nodi stano cedendo o si sono già rotti. Così, un'amara solitudine di fondo ha preso il posto delle belle parole del passato.

Penso di avere, in alcuni momenti, mitizzato e idealizzato la mia provenienza: la città dove sono nato e vissuto, le persone che ancora sono là perché vi sono tornate o non si sono mai mosse. Ho a lungo sperato che tutto ciò per cui ho speso impegno e energia - principalmente mantenere in vita amicizie geograficamente remote - avrebbe dato, un giorno, i suoi frutti. Già: come il grano sotto la neve. Avevo la speranza che, una volta disciolta la neve, il grano uscisse dalla terra e portasse frutto, e con il frutto il pane. Invece, spostando di poco la neve, non è sempre terra fertile quella che si vede, ma asfalto e cemento. Duro, grigio, senza vita.

La neve fa quello che può, e rende tutte le cose uguali per forma e per colore: coperta di bianco, la mia vecchia auto non è così dissimile dalla Lexus parcheggiata accanto; le strade della periferia dove vivo sono bianche come quelle del centro. E' già pomeriggio, e continua a scendere, lenta e silenziosa. È tutto bello, qui intorno, finché non si scioglie.

La vita, la vera vita senza speranze ingenue, inizia quando il sole o i passi portano via lo strato sottile della neve di gennaio, e scoprono le cose per quello che sono. Asfalto, rifiuti, e qualche erbaccia.