16 febbraio 2006

Olimpia a Milano: il photoblog.

Grande successo ieri sera alla Fabbrica del Vapore per l'inaugurazione di Olimpia di Fulvio Bortolozzo.
Ed ecco, per presenti ed assenti, le immagini scattate prima e durante l'evento.

Fulvio si prepara ad allestire la mostra.


Ultimi ritocchi, e che tutto sia in bolla!


Vaghe somiglianze...


Delio e la sua mano.


Franco e la sua Nikon.


Gianni "the veteran".


Alfonso e il maestro in posa prima dell'inaugurazione.


Mariella che ha sfornato le torte.


Piero (traditore delle Leica) sorride soddisfatto.


Non sembra, ma gongolo tra le due neotopografie sabaude.


Fulvio parla: che strano...


Nelle foto mancano gli affezionati iafiner accorsi all'evento, che qui cito in rigoroso ordine sparso: Gelatina, Il Ventu, Cristoforo, Geco, AndreA, Dogbert...

Chi volesse pubblicare altre foto della serata può mandarmele per email.

Si ringrazia Bortolozzo per tutte le immagini, proprio tutte.

14 febbraio 2006

Anno Domini 2006.

1.

Uscendo di casa ho visto le due testimoni di Geova. Si aggiravano per la via, discutendo di chissà quali panzane. Vestite di scuro, ben truccate, sempre molto carine. Ero un po' di fretta, altrimenti le avrei convinte che, sotto sotto, sono anche un po' induista.

2.

- Buongiorno, sono Piersantelli. Posso parlare con il geometra?
- (pausa) Il geometra ora non c'è.
- Ho ricevuto la convocazione per l'assemblea di condominio. Volevo sapere se posso mandare la delega via email...
- (pausa lunga) Sì, può mandare la delega via fax...
- Veramente le ho chiesto se posso mandarla per email
- (pausa terrorizzata) Credo che abbiamo la email, ma ora non so il numero.
- Sì, vabbè, buonanotte. Le mando il fax.

12 febbraio 2006

Genova perché.


Da quando vivo a Torino la mia presenza a Genova è diventata episodica. Questo mi permette di gustare certe piccole cose della mia città di mare che un tempo davo per scontate e che in terra sabauda non sono riuscito a ritrovare. È un bel sabato pieno di sole, questo sabato, ed è ancora più bello camminare sotto al cielo blu Fuji Velvia perché ho potuto assaporare alcuni degli aspetti per cui vale la pena vivere a Genova.

I punkabbestia.
Sarà perché mi muovo poco da casa, ma a Torino i punkabbestia non li vedo mai. Anzi, credo di non averli mai visti. Io penso che in parte sia colpa del freddo. Genova, con il suo clima mite e i suoi vicoli riparati, accoglie come un ventre generoso queste curiose specie di ominidi (o presunti tali) che vivono in simbiosi con numerosi cani più o meno portatori di pulci e zecche. I punkabbestia sono tutti uguali: sui vent'anni, capelli sporchi attorcigliati in trecce, piercing ovunque. L'uniforme è rigorosamente serializzata: pantaloni extra large bisunti, coperte, maglioni sdruciti; la dotazione di serie comprende un bicchiere McDonalds per gli spiccioli e un cartone di Tavernello. E' lecito sospettare che esista una linea di abbigliamento dedicata solo a loro. Vivono per lo più elargendo grandi e sdentati sorrisi in cambio di elemosine, mentre mute di cani sonnecchiano acciambellati ai loro piedi, grattandosi, di tanto in tanto, qualche rogna sul collo. I due esemplari di punkabbestia che ho osservato oggi in Piazza de Ferrari, di sesso imprecisato e fatti come biglie, stavano aizzandosi i cani a vicenda e ridevano sguaiatamente molto compresi nel loro ruolo di reietti volontari.

Le risse.
A Genova sono sempre volate botte da orbi. Di quelle in vecchio stile, mica roba da ridere. Oggi stavo scendendo in Via San Lorenzo, il cui suolo pubblico era occupato da una mezza dozzina di banchetti di punkabbestia intenti a vendere irrinunciabili ammenicoli di fil di ferro, pipe per fumare hashish e altro ciarpame, quando mi trovo testimone di una scena cui non assistevo da anni. Con uno scatto da centometrista, due giovani punkabbestia si gettano verso un banchetto poco distante, e nei primissimi istanti sembra che stiano correndo insieme: ma in realtà il n°1 corre e il n° 2 lo rincorre. Giunto alla meta, il punkabbestia n°1 lancia in aria il banchetto con tutta la mercanzia che, dopo un breve volo, soggiace alla legge di Newton rovinando sul sagrato. Gli altri punkabbestia presenti bloccano a terra il n°1 mentre il n°2 - che si scopre essere (o essere stato) di sesso vagamente femminile - gli sferra una serie di calci in faccia, uno dietro l'altro. A sedare la rissa accorrono subito un vigile urbano, un finanziere, un volontario della Croce Bianca e due anziani pensionati di Sampierdarena che stavano comprando un pezzo di fociaccia con le olive: quest'improvvisata compagine con non poco sforzo salva il punkabbestia n°1 dal linciaggio degli altri ambulanti, che nel fattempo minacciano denunce e querele e richieste di risarcimento. Passo dopo un'ora e sono ancora lì a ratellare (litigare, NdA) su chi ha torto e chi ha ragione.

Figge de famiggia.
Categoria esclusivamente genovese, le ragazze di buona famiglia provengono da lussuosi appartamenti in Albaro e Catelletto, e sono facilmente individuabili per alcuni segni particolari, altrove non reperibili, che le rendono uniche negli esseri di sesso femminile: capelli con meches di colore e lunghezza prefissata con norma UNI-EN-ISO9001, occhiale con montatura rettangolare, Rolex di serie, abbilgliamento sobrio ma ricercato, tacchi bassi, borsa di Louis Vuitton da un lato e sacchetto di Ghiglino dall'altro, repertorio di pettegolezzi da spifferare con naturale eleganza. Dall'eta scolare a quella nuziale, le figge di famiggia sono territorio esclusivo di caccia degli esemplari maschi di pari o superiore lignaggio con i quali si accoppiano di rado e silenziosamente, e solo dopo approfondite indagini sulla situazione finanziaria. Quando le figge de famiggia raggiungono i trent'anni, diventano pressoché indistinguibili dalle inossidabili madri alle quali si accompagnano spesso per i necessari approvvigionamenti in pochi, fidatissimi negozi, dove vengono accolte e chiamate con vezzosi soprannomi (Cuchi e Chicca vanno per la maggiore). Superati i trenta, le femmine si riproducono dando alla luce piccoli esemplari che vengono di norma portati all'asilo a bordo di enormi fuoristrada con vetri oscurati, in perenne divieto di sosta: le anziane ma immortali madri occupano il posto del passeggero e attirano nell'abitacolo sprovveduti vigili urbani che, sovente, vengono ingoiati interi, e ancora vivi. Addendum: le figge di famiggia, così descritte, non hanno molto sex appeal. Eppure, ogni volta che ne vedo una, qualcosa mi ribolle all'interno.

Il negoziante sprovvisto.
Un'altra caratteristica di Genova sono i negozi che non hanno mai l'articolo che cerchi ma possiedono la ferrea certezza dell'inesistenza o dell'irreperibilità dell'articolo cercato. Ad esempio, oggi sono andato in un negozio di strumenti musicali e ho chiesto alcune comunissime viti per fissare il battipenna della chitarra. Viti di metallo. Dopo una riflessione, il commerciante ha consluso che no, non aveva quelle viti né sapeva dove avrei potuto comprarle e se non le ha lui non le ha nessuno, anzi forse sì, perché secondo una leggenda tramandata oralmente, un negozio nei pressi di Torino, ma non saprebbe essere più preciso di così, dovrebbe avere delle viti, forse non quelle che stavo cercando, magari simili, ma non è detto. E comunque, essendo il giorno 11 del mese di febbraio, aveva era ancora un po' disorientato dalla chiusura natalizia e mi ha pregato pertanto di portare via il belino, elegante espressione del vernacolo genovese utilizzata per accomiatarsi dall'ospite.

08 febbraio 2006

Olimpia a Milano!


Fulvio Bortolozzo da tempo lavora ad Olimpia, un progetto fotografico ambizioso ed interessante sulle trasformazioni del contesto urbano torinese in occasione dei lavori avviati per le Olimpiadi invernali.
Olimpia racconta una città che cambia pelle e che cerca una nuova identità soprattutto nelle sue grandi periferie, un tempo terra di industrie, e oggi meta della nuova edilizia residenziale. E la racconta con uno sguardo neotopografico, quasi distaccato: la riprese in notturna consentono all'autore di riportarci un paesaggio popolato da cose ma non da persone, e ci evita al contempo le superflue e insincere denunce sul disagio urbano.
L'uso del grande formato, la profonda sensibilità (visiva, tecnica, esperienziale) e l'assoluto rigore formale di Bortolozzo, portano l'occhio dello spettatore a cogliere aspetti e dettagli che sovente sfuggono allo sguardo distratto del cittadino che vive e lavora in una città socialmente costruita nel proprio immaginario: così scopriamo come l'insegna del supermercato o la forma di un manufatto contengono e trasmettono una carica umoristica oltreché simbolica.
Dal 15 febbario Olimpia sarà nel posto giusto, una mostra personale presso la galleria Polifemo di Milano.

Dettagli della mostra:

Cosa: Olimpia di Fulvio Bortolozzo
Dove: Polifemo, Fabbrica del Vapore, Via Luigi Nono 7, Milano
Quando: dal 15 febbraio (inaugurazione ore 18) al 28 febbraio 2006.

07 febbraio 2006

Storia di un manico/2.

Seconda parte.

Eravamo rimasti al problema di come tappare i fori già presenti sulla base del manico. Ho rivolto così la domanda agli "amici" nel newsgroup.

La risposta, ampiamente dettagliata, è stata quella di utilizzare la tecnica della spinatura che consiste nell'inserire un cilindretto di legno duro (generalmente faggio, come nella figura sottostante) in un foro, incollando con una colla vinilica e lasciandolo asciugare. A parere di un utente del newsgroup, i due materiali diventano molto solidali ma occorre prestare attenzione al loro grado di stagionatura, per cui consiglia di lasciarli per un po' nello stesso ambiente.

Al Brico Center non ho trovato spine di faggio da 5 mm, ma solo spine generiche (senza indicazioni del legno) per cui ho optato per fare un giro presso qualche falegname per cercare un tondino di acero o di altro legno duro.

L'altro problema riguarda lo spessore del manico. Calibro alla mano, ho potuto constatare che il manico originale della mia Fender è di 3 mm più sottile dello scalloped. Pertanto ho cominciato a vagliare diverse possibili soluzioni per asportare la necessaria uqantità di materiale.
L'immagine seguente illustra, con misure linee indicative, la natura dell'intervento che deve essere effettuato.

Ho chiesto un preventivo ad un liutaio che -- come immaginavo -- ha sparato una cifra piuttosto alta, 50 euro per un lavoro che probabilmente si fa in 2 minuti. Ho deciso di provare qualche alternativa.
L'idea iniziale era di asportare personalmente il materiale utilizzando la levigatrice orbitale con carta a grana grossa.
Nuovamente sul newsgroup mi hanno consigliato di non usare la levigatrice ma piuttosto di chiedere ad un falegname un intervento con la pialla a filo e spessore che dovrebbe lavorare con una tolleranza di 2/10 di mm.
Stasera dopp il lavoro sono andato a trovare 3 falegnami nei loro laboratori, esponendo loro il problema, ovvero la necessità di piallare il legno per circa 3 mm.
Uno mi ha detto di no, uno di sì ma non mi ha convinto, il terzo mi ha convinto con una prova pratica (per la serie, Longum iter est per preaecepta, breve et efficax per exempla).
Andiamo per ordine. La pialla a filo e spessore pare che non si possa usare per via della forma del manico. L'alternativa è la sega circolare, che detta così sa di film splatter.
Il falegname n°2 aveva una brutta sega circoalre, piuttosto vecchia e malridotta, che non aveva l'aria di rispettare il decimo di millimetro. Il terzo falegname, un simpatic signore napoletano, ha preso una tavola di faggio e ne ha tagliato una fetta sottile con estrema precisione. E, appunto, mi ha convinto. Cosicché lunedì sera gli porterò il manico con le misure segnate nel legno a pennarello, il che significa che dovrò essere molto preciso a riportare le dimensioni del manico originale su quello scalloped.

Ed è giunto lunedì sera, il 6 febbraio per l'esattezza, a quasi due settimane dall'inizio dei lavori. Sono andato dal falegname come da accordi, e gli ho spiegato, calibro alla mano, che avrei voluto abbassare l'altezza della base del manico fino alla misura di 1 pollice, ovvero 2.54 cm. Con un aiutante ha iniziato per cautela asportando circa un millimetro di materiale con la sega circolare dotata di disco orizzontale. Nuove misure, nuova passata, alla fine siamo arrivati a circa 2.6 mm. Un po' di più per prudenza e per lasciarmi il margine necessario se volessi cartavetrare la superficie. Il risultato? Direi ottimo. Superficie liscissima e parallela, spigoli netti, non una scheggia.

Il passo successivo consiste nel tappare i 4 fori con le spine di acero. Questo aspetto merita un approfondimento. Scrivendo su it.hobby.fai-da-te, ho ricevuto un messaggio da un utente che si è offerto di tornirmi alcune spine di acero (lo stesso legno del manico) tagliate in modo particolare al fine di ridurre al minimo le possibili restrizioni e variazioni del legno. Queste spine andranno inserite nei fori insieme a colla vinilica.
Quindi dovrò particare nuovi fori. Per questa operazione ho dovuto realizzare alcuni lavori preliminari. Innanzitutto ho smontato il manico Fender e ho fatto una sesta su carta, ottenendo la sagoma esatta della base del manico. Ho ritagliato la sesta e l'ho inserita nel neck pocket per accertarmi della precisione. Quindi ho preso un pezzo di carta di spagna, una lamina di ottone spessorata da 2/10 di mm, e ho riportato la sagoma di carta sulla lamina: ho ottenuto una nuova sesta in ottone, ritagliandola con le forbici dal foglio.
L'immagine sottostante illustra un pezzo di carta di spagna.

Ho inserito la sagoma di ottone nel neck pocket e, facendo sporgere la punta delle 4 viti dal body, ho egnato sulla lamina la posizine delle viti e quindi dei fori.
Ho fissato saldamente la sagoma su un pezzo di abete con carta adesiva e con una punta da 3 mm ho praticato 4 fori nei punti precedentemente segnati, ottenendo una guida piuttosto precisa per praticare i 4 nuovi fori del manico.

Infatti basterà posizionare la sagoma sulla base del manico, fissarla con un morsetto o con del nastro di carta e forare il manico in corrispondenza dei 4 buchi presenti sulla sagoma di ottone.

(Fine seconda parte. Continua...)

06 febbraio 2006

Muffe.

Sabato sera ho comprato un pezzo di formaggio al Bennet di Settimo. Domenica sera l'ho aperto ed era coperto di una muffetta color blu cobalto.
Niente di grave, ma credo che il Bennet abbia perso un cliente.
Mpf.

03 febbraio 2006

Storia di un manico/1.

Ecco la prima puntata -- scritta in molte sere -- della miniserie Storia di un manico.
Che cos'ha di straordinario questa storia, che infine parla del restauro di un pezzo di legno?
L'essere, prima di tutto, un restauro partecipativo ovvero portato avanti avvalendosi dei consigli e dell'esperienza di persone che partecipano attivamente alla vita dei newsgroup su Usenet, in particolare:
  1. it.hobby.fai-da-te
  2. it.arti.musica.strumenti.chitarra
Senza i consigli e l'aiuto di alcuni di loro avrei probabilmente iniziato con il piede sbagliato, mentre fino ad ora le cose sono andate bene.
C'è una metafora, un'ambivalenza che mi torna sempre in mente quando cerco informazioni su Usenet e nella Internet in genere: la rete non solo come insieme delle interconnessione tra punti ma come oggetto fisico che si stende con le sue maglie sotto l'equilibrista che cammina su un filo, e senza la quale ogni passo avanti sarebbe un passo verso l'ignoto.

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Prologo

Ho partecipato ad un'asta su Ebay per un manico scalloped. Per chi non lo conoscesse, ne ho parlato in un mio precedente post e comunque, in estrema sintesi, si tratta di una manico la cui tastiera, anziché essere piatta, è stata scavata. Gli scavi hanno una forma arrotondata.

Il principale vantaggio che ho percepito quando ho provato un manico di questo genere (ed in genere è il vantaggio percepito da tutti) è stata la minore (quasi nulla) fatica nella formazione di note e accordi, soprattutto dall dodicesima posizione in avanti, che è molto usata nei solo.
Il motivo risiede in una banale legge fisica: per formare le corde su una tastiera iatta, devo esercitare una certa pressione per schiacciare la corda sulla tastiera fino a che essa si ferma saldamente contro il tasto in metallo.
Un conto è lo sforzo per una singola corda, un altro per un accordo sulle sei corde. Personalmente sento molto il problema anche in seguito ad un trauma distorsivo che ho subito al pollice destro, che mi causa dolori soprattutto nella formazione di barrè. Una tastiera scavata o scalloped, invece, richiede a chi suona una minore pressione sulla corda in quanto, appena la si preme contro il tasto, lo spazio della tastiera scavata aumenta l'angolo di incidenza utile e consente di avere la nota formata esercitando minore pressione.

La storia

Finita la premessa, ho vinto quest'asta per un manico (purtroppo non Fender) su cui è stato eseguito artigianalmente lo scalloping. Ecco la foto dell'asta.


Questa immagine, scattata appena portato il manico a casa, ne mostra stato e caratteristiche. La paletta è parzialmente sverniciata e priva di meccaniche, la tastiera presenta alcune macchie (forse è stata usata senza essere verniciata, così lo sporco è entrato nel legno).


Le foto sotto mostrano lo scalloping moderato sui primi 11 tasti e più profondo a partire dal 12° tasto, e il buono stato del legno.
In generale il manico si è presentato in buona salute, l'acero sembra di qualità accettabile e anche stagionato.

Ecco un close up del dodicesimo tasto.

Iniziano quindi i lavori di restauro del manico, così programmati:
  • sverniciatura completa della paletta
  • foratura paletta per viti delle meccaniche
  • pulizia dei tasti sporchi
  • verniciatura della tastiera
  • verniciatura della paletta
  • applicazione della decal con il logo "Fender Stratocaster"
  • nuova verniciatura della paletta
  • montaggio meccaniche
Per prima cosa, utilizzando carta vetrata 160 e 400 ho asportato lo strato di vernice presente sulla paletta. Questa presentava ancora segni d'uso e pertanto ho proseguito a levigare la superficie scoprendo un bell'acero chiaro.

Quindi ho coperto tutti i tasti in metallo con nastro adesivo in carta, tagliando i bordi in eccesso in modo che solo i tasti rimanessero mascherati. A questo punto con la carta 400 ho pulito pazientemente la superfiecie della tastiera dove erano presenti macchie di sporco.

Dopo l'ultima passata con la grana fina, ho proceduto a praticare i piccoli fori che alloggeranno le viti delle meccaniche.

Quindi ho iniziato a verniciare la paletta e la tastiera utilizzando una vernice acrilica trasparente a spruzzo della Saratoga.

La prima immagine mostra la primissima mano di vernice applicata alla paletta. Il resto del manico è stato mascherato con nastro adesivo in carta.


Ed ecco la prima mano di vernice anche sulla tastiera. Si vedono i tasti coperti da una striscia sottile di carta.

Le strice di carta adesiva hanno salvaguardato i tastini di metallo consentendo di verniciare la tastiera.


Sono presenti ancora segni sul secondo tasto, ma ho preferito evitare di abradere ulteriormente la superficie. L'effetto ora è molto "relic".



Ho passato molte altre mani di vernice fino ad ottenere un effetto lucido uniforme.

Successivamente mi sono occupato dell'aspetto estetico della paletta: il logo "Fender".
Sempre su Ebay ho acquistato da un utente tedesco la decal con il logo pre CBS fatto per la Stratocaster SRV Signature. A parte sono arrivati anche la signature SRV e il logo Custom Baby che non ho utilizzato, e le istruzioni per l'applicazione della decal.

L'applicazione è piuttosto semplice e richiede solo acqua calda, un paio di pinzette e un po' di attenzione: si immerge la decal in acqua per 30 secondi, si toglie la protezione posteriore della decal e la si applica sulla parte desiderata (deve essere verniciata), evitando le bolle d'aria. Con la superfiecie bagnata è possibile spostare delictamente la decal fino alla posizione desiderata.
Dopo circa 12 ore la decal è asciutta e può essere rivernicata. Ecco il risultato dell'applicazione.



Il giorno seguente, assicuratomi dell'asciugatura della decal, ho proceduto ultimando la verniciatura. Con molte mani ho ottenuto un effetto laccato.

La parte posteriore della paletta presenta i fori per le viti delle meccaniche. Su Ebay ho comprato meccaniche in linea non Fender vintage (ma ho visto che si trovano sulle Squier Bullet) perciò ho dovuto praticare nuovi fori. La foto illustra i fori pre esistenti e i segni per i nuovi fori.

Asciugata l'ultima mano di vernice ho potuto montare le meccaniche, assicurando prima gli anelli ferma pioli. Seccome il loro diametro era inferiore ai buchi presenti sulla paletta, li ho avvolti con una strisciolina di nastro adesivo in carta per formare uno spessore, e li ho fermati saldamente nei buchi. Ecco il risulato finito della paletta.

Un'altra inquadratura della paletta.

Anche la tastiera ha un effetto lucido, ma più vintage.

La paletta terminata con le meccaniche montate.

Nelle storie a lieto fine, a questo punto il protagonista avvita il manico al body, monta le corde, e inizia a suonare. Ma questa è un'altra storia, come direbbe Lucarelli.

Infatti, terminato il lavoro, ho provato a montare il manico sul corpo della mia Stratocaster, ma ho scoperto che le cose non sarebbero state così facili. Infatti il manico presenta ancora due problemi da risolvere:
  • il primo è l'altezza di circa 27 mm contro i 24 mm di misura standard, necessari per un montaggio corretto nella neck pocket del body
  • ala base il manico ha già 4 fori per le viti di fissaggio, ma i fori non sono esattamente allineati ai fori del body.
Ho cominciato ad occuparmi del secondo problema trovando una soluzione. Ho acquistato il prodotto Bison Ricostruire Legno, uno stucco bicomponente che si presenta come una pasta modellabile da inserire nel buco da tappare.
Dopo 24 h di essicazione, secondo le istruzioni, la parte trattata è pronta per essere lavorata. Non volendo rischiare di rovinare il prezioso manico, ho iniziato con una tavola di abete giuntato che avevo in garage. Ho praticato alcuni fori con una punta da legno e, attenendomi alle istruzioni, ho tappato i fori con il prodotto Bison, cercando di eliminare la pasta in eccesso.

Dopo un paio di giorni ho limato la superficie della pasta indurita e ho forato, con una punta di diametro inferiore, laddove avevo tappato il foro. Il materiale sembra tenace, e ha resistito bene alla nuova foratura, senza sgretolarsi né cedere.


Non sono tuttavia soddisfatto della resa materica di questo prodotto, che mi sembra asciutto, e fragile, sebbene abbia accettato una vite parker autofilettante. Pertanto ho cominciato a chiedere consigli sul newsgroup di fai da te per avere delucidazioni sul modo più corretto per turare fori nel legno.

(Fine prima parte. Continua...)

Ahi ahi.

Il direttore di France Soir è stato licenziato per aver pubblicato sul quotidiano alcune vignette satiriche sull'islam, e pure l'Indonesia c'è andata giù pesante.
L'altro giorno ho bonariamente preso per i fondelli l'islam e i testimoni di Geova in un solo colpo.
Vuoi vedere che stasera me li trovo davanti alla porta di casa?
Dai, stavo solo scherzando!

01 febbraio 2006

Due testimoni alla mia porta.


E' tardi questa mattina. Sono vestito di tutto punto, nel mio gessato impeccabile e con il cappotto di cachemire, pronto per uscire. Bussano alla porta. Guardo attraverso lo spioncino: fuori ci sono due belle ragazze con i capeli castani. Apro la porta. Sì, sono due ragazze sui 25, ben vestite, occhi truccati, un bel sorriso. La prima parte senza indugi:

Buongiorno, sono contenta di trovarla in casa. Stavo leggendo un versetto della Bibbia e vorremmo leggerlo con lei.

In mano ha una Bibbia, ma io noto subito che a tenerla sono dieci meravigliose unghie fresche di french manicure, che fa più pornostar e meno Testimoni di Geova.

Ora, quando questi indottrinati seccatori vengono a casa a rompere le palle, ci sono due possibilità:
  • la prima è sbatteregli la porta in faccia, ma non è nel mio stile;
  • la seconda è sviarli, confonderli, coglierli in castagna, improvvisando qualunque cosa.
E io scelgo di improvvisare, come in blues. Loro mi danno la base, la solita fottuta base in 12 battute, e io ci suono sopra tutto quello che voglio.

Grazie, ma sono musulmano.
Calmissimo, proprio così: musulmano.

Mi guardano stupite. E qui inizia il dialogo.

Ma musulmano italiano?
Dunque, italiano indica la cittadinanza, musulmano la religione.
Quindi lei non è arabo?
No, sono musulmano italiano e settentrionale da generazioni. Mio padre è musulmano, mio nonno era musulmano, il mio bisnonno...
Di solito conosciamo musulmani, ma sono arabi...
No, io sono italiano. E musulmano.
E conosce la Bibbia?
No. Sono stato educato in scuole coraniche e ho studiato il Corano.

E' sempre una a parlare, quella con la Bibbia in mano. L'altra ascolta, sorride, mostra anche lei fiera la sua manicure. Io sto per scoppiare a ridere ma mantengo inalterata la mia brutta faccia da giocatore di poker.

Che cosa pensa della Bibbia?
Penso che sia una lettura da infedeli. Per voi cristiani lo è il Corano, per noi lo è la Bibbia, da quando il nostro profeta Maometto si è rivelato agli uomini.
E che crede nel messaggio universale della fede?

Sta seguendo un canovaccio. Mi sembra un'operatrice di un call center che per risolvere un problema segue scrupolosamente l'ordine delle domande da porre. Se mi chiedesse Ha installato i filtri ADSL? Ha una porta USB libera? sarebbe la stessa cosa. Non capisce nulla di quello che chiede, ma le hanno detto di chiederlo, e lei lo fa, ubbidiente e mansueta.

E che crede nel messaggio universale della fede?
Io credo che dobbiamo essere sudditi sottomessi di Allah, e obbedire alle sue leggi. Insciallà Shaquil O'Neal Muhammad Alì!

E cosa significa? mi chiedono.
Sia fatta la volontà di Allah e del suo profeta Maometto.

Ma andiamo, Shaquil O'Neal era un giocatore di basket! Ma non vi accorgete che vi sto rpendendo per il culo?

A questo punto sono un cane sciolto, posso dire quello che voglio.

Immagino che anche a lei stiano a cuore i grandi problemi del mondo, mi dice la femmina parlante. Ma che caspita significa? Quali sono questi grandi problemi? La sua messa in piega che si rovina con l'umido o la guerra in Liberia? Lei dice cazzate? Avrà quello che merita: altre cazzate.

Sì, mi sta molto a cuore la situazione in Medio Oriente. Ma adesso, grazie alla nostra vittoria in Palestina e al supporto della grande repubblica iraniana, potremo riprenderci le terre che Israele ci ha sottratto. Sì. Le nostre fottute terre.

Mi guarda visibilmente disorientata. Sono certo che non sappiano nemmeno dov'è Israele e cos'è Hamas e quanto fa 2+2. Povere sciocchine indottrinate.

Certo, mi dice, le terre...

E poi il gran finale:

Ma lei crede nella famiglia?
Le ricordo che a noi musulmani è consentito avere quattro mogli. Più uniti di così! Però ora videvo lasciare, stavo scaricando un film da Internet...
Allora possiamo ripassare, magari in serata?Ma certo, siete le benvenute. Ma in serata. Durante il giorno sono spesso occupato. Devo pregare. Cinque volte al giorno devo pregare Allah. In direzione della Mecca. Da qui devo pregare in direzione di Chivasso. Tra Brandizzo e Chivasso, per la precisione. Arrivederci.