30 gennaio 2009

Lazare Vittone, In fuga dalla data-room.

Lazare Vittone, avvocato genovese di nascita e milanese d'adozione, esordisce nel mondo della narrativa con un romanzo breve, In fuga dalla data-room, pubblicato (o stampato?) dalle Edizioni Creativa di Gianluca Ferrara.

Ho ricevuto in dono questo libro con immenso piacere perché, per il mio passato di anti-editore, accolgo sempre con entusiasmo le opere di narratori esordienti. Ho deciso quindi di leggerlo senza interruzioni e con grande attenzione, approfittando di un volo transoceanico.

Ammetto che una prima occhiata all'involucro, alla forma, al parallelepipedo cartaceo, mi hanno ha lasciato un po' perplesso, a principiare dalla quarta di copertina il cui testo è scritto in carattere Times, con alcuni errori di spaziatura tra le parole, con un effetto di scarsa cura, poco coerente con la scelta forte del formato libro.

Veniamo alla trama, ricca di richiami autobiografici. Alessandro Meravigli è un giovane avvocato d'affari -- genovese trapiantato a Milano -- che trascorre la propria vita la tra riunioni, due diligence, fusioni societarie, aperitivi e chat su social network che, neanche a dirlo, si concludono sempre tra le lenzuola. Ma Alessandro è anche un esprit de finesse intrappolato in un ruolo che non gli consente di esprimere una vena creativa ed artistica. Da qui la decisione di diminuire progressivamente gli impegni professionali per aprire una piccola galleria d'arte, uno spazio espositivo per giovani talenti.

L'idea, non sgradevole sebbene poco originale, è sminuita da una prosa frettolosa, da un impianto narrativo non privo di approssimazioni, in cui non manca anche un errore piuttosto evidente: Alessandro si reca da una vicina di casa per affittare un piccolo spazio espositivo; l'affare sembra concluso, ma nelle pagine seguenti se ne perde traccia, tanto che il protagonista cercherà un altro locale avvalendosi di un'agente immobiliare (con cui finirà invariabilmente a letto).

Non si salvano nemmeno i dialoghi, privi non tanto della grazia di un Salinger o un Hemingway -- ci mancherebbe -- ma di un uso corretto della punteggiatura, ed affetti sovente da un registro eccessivamente colloquiale, a scapito dell'eleganza stilistica.

Il peggio viene, ahimé, verso la fine. Vittone concentra nell'ultimo capitolo l'epilogo, le riflessioni personali e, quasi cinematograficamente, i titoli di coda e il come è andata a finire?. Ma arriva in fondo col fiato corto, con l'ansia di dire tanto, il piu' possibile. Parole che avevano fretta di uscire dalla bocca, dalla penna e dal cassetto.

Un vero peccato. Senza scomodare Gadda o invocare nostalgicamente un labor limae (termine che suona pure un po' sorpassato nei giorni di Facebook, di Twitter e dei blog), resta da chiedersi come e quanto In fuga dalla data-room avrebbe beneficiato di una revisione piu' scrupolosa e critica e, forse, di un autore meno innamorato della propria idea.


Autore: Lazare Vittone
ISBN: 978-88-89841-34-1
Edizioni Creativa, 2008

9 commenti:

Anonimo ha detto...

grande pippo
smonti quel grossolano intruglio con la tua solita grazia stilistica. ringraziamo l'altissimo per averci donato la tua leggiadra penna!!!!

Anonimo ha detto...

Caro Pippo,
ti ringrazio dell'attenzione che hai dedicato al mio libro.
Condivido il giudizio sulla fretta di portare a termine il lavoro e sulle migliorie che sarebbero state possibili con un'ulteriore scrupolosa revisione. Non è escluso che - scaduto il contratto di edizione - mi venga voglia di rimetterci mano, per rivedere e ampliare.
Non sono invece d'accordo sulle critiche alla punteggiatura, alla prosa e ai dialoghi: credo, invece, che lo stile del libro sia piuttosto fresco ed efficace: è la vita effimera milanese che è vuota; io mi sono soltanto limitato a darle voce.
Mi spiace, poi, che tu non abbia notato che Alessandro Meravigli si scusa con la vicina al momento di sciegliere un altro locale per la galleria: su questo, evidentemente, l'errore è del lettore.
Il fatto che la resa grafica sia sub-ottimale dipende, ovviamente, dal fatto che solo la piccola editoria dia spazio agli esordienti.
Cercherò, in futuro, di essere meno frettoloso. Grazie.
Lazare

Giuseppe ha detto...

Caro Lazare,
l'oste dice sempre che il suo vino è buono; ma poi sono gli avventori a berlo e a pagarlo.
Comprendo e condivido il tuo tentativo di riportare la freschezza di una conversazione colloquiale e informale. Tuttavia, esistono elementi sintattici imprescindibili nella stesura di un testo formalmente corretto. La punteggiatura è uno di questi.
Facciamo due esempi. Pagina 73, ultime righe.
"Va bene, va bene, farò del mio meglio. E poi è già fidanzata."
"Alessandro sono serio."
Pagina 126.
"Che bello sentirti, come stai?"
Nel primo caso, è stata omessa la virgola tra il complemento di vocazione e il predicato verbale.
Nel secondo caso, il distacco tra le due frasi (che bello e come stai) richiede l'uso del punto e virgola.
Qui, evidentemente, l'errore è dell'autore.
Cordialmente,
p.

Giuseppe ha detto...

per anonimo.
grazie per il commento. escluderei la definizione di grossolano intruglio per il libro di l. vittone.

Anonimo ha detto...

E' dura la vita dell'autore esordiente, tanto più se a recensirlo è un critico attento e privo di peli sulla lingua come il nostro Pippo. Coraggio, caro Lazare. Dar corpo alle proprie idee narrative, conferire loro quella delicatezza che solletica i palati fini riuscendo, al contempo, a lasciarvi traccia duratura è assai difficile. Non ho letto il tuo libro, quindi non ho elementi per poterne giudicare forma e contenuti. Credo che avresti fatto bene a far leggere la bozza a Pippo prima di darla alle stampe. Dalla fretta dell'autore esordiente nascono libriccini ciechi.
P.s. Ti invito a non tener conto del commento che definisce il tuo libro un "grossolano intruglio": grossolano è, semmai, ogni giudizio poco garbato.
Alla prossima
Neil

Anonimo ha detto...

Sinceramente non appare molto coerente chi, commentando una recensione di un libro mai letto, definisca il libro stesso alla stregua di "libriccini cechi" (libbricini?????) nati "dalla fretta dell'autore esordiente" e poi etichetti con falso buonismo l'altrui giudizio come "poco garbato". Meglio per tutti riflettere un pò prima di scrivere, oppure farsi consigliare dal buon Pippo senz'altro attento e capace.
Straordinaria la potenza dell'Ego, non è vero?

Anonimo ha detto...

Caro Pippo e caro Lazare,
leggo solo ora questo sorprendente dibattito pseudo-letterario. Avendo regalato proprio io il libro a Pippo, mi sento in qualche modo in dovere di intervenire, scusandomi in limine per errori di punteggiatura o d'altra sorta....
Il racconto/romanzo (francamente non so quale sia la definizione corretta, ma poco importa) ha un grande pregio: il coraggio.
Coraggio dell'autore di mettere nero su bianco il proprio sentire, con buona dose autobiografica, rischiando lo sputtanamento con amici e colleghi.
Per cio' solo, mi pare che il gesto (non tanto l'opera) sia da lodare e forse un esempio per molti di noi (mi metto in cima alla lista) che tanto vorremmo, ma non facciamo.
Caro Pippo, ti ricordi quanto era seducente stare davanti al tuo 15 e poi 17 pollici ronzante a comporre pagine di poesie pessime (le mie, almeno) o di raccontini del sabato sera? Tu hai continuato, e cio' ti fa grande onore. Io no, mi sono dedicato a scrivere altro genere di libri, e per questo invidio tanto te quanto Lazare.
Certo, il contenuto e' discutibile, ma non penso che Lazare abbia ambizioni da premio letterario, almeno non con quest'opera. E' e resta un grande avvocato, che ha avuto il coraggio di mettersi alla prova in un campo per lui nuovo. Nessuno di noi e' costretto a leggerlo, nessuno ce lo impone.
E poi, la punteggiatura. Ma dai! Lascia che metta le v,i,r,g,o,l,e un po' dove cavolo gli pare, no?! Proprio oggi cade la ricorrenza del manifesto futurista....

Ripeto, non trovo che il libro di Lazare sia un capolavoro della letteratura, ma un gesto di coraggio di un dilettante (in questo, non certo nel suo vero mestiere), che per testimoniare il rifiuto di un certo tipo di vita arida milanese (ma forse anche torinese.... e genovese...) ha accettato di esporsi alle rigidita' altrui.
Caro Pippo, un tempo eri piu' attento alle emozioni (che -se vuoi- sai cogliere e dare come nesusn altro), e meno alle regole di grammatica.

Non prendiamoci troppo sul serio.
Un abbraccio plurimo e multiplo.
Lorenzo
(lorenzo.cuocolo@unibocconi.it)

Anonimo ha detto...

Comunque sia...SCEGLIERE si scrive senza "I"...vedi sopra (o "supra" alla latina?)

Giuseppe ha detto...

certo, scegliere... sciegliere... mi pareva brutto sottolineare anche questo.