16 luglio 2005

Convivere con il rischio.

Ho trascorso la settimana appena conclusa a Londra, per quella conferenza di cui ho già scritto. La conferenza si è tenuta in un hotel di Kensington, quindi abbastanza lontano dal centro. Ciononostante, si percepiva tensione per le strade. Giovedì 14 a mezzogiorno, gran parte della città si è riversata nelle strade per osservare due minuti di silenzio.

Alle lezioni di Sociologia dei Processi Culturali, il professore ci fece partecipi delle teorie di Anthony Giddens sulla modernità: l'aumento del livello di complessità delle società postindustriali ha portato ad un aumento (spesso più che proporzionale) delle situazioni potenziale di rischi individauli e collettivi e, conseguentemente, una diminuzione del livello di sicurezza percepita dagli individui. In estrema sintesi: dopo gli attentati, ogni volta che ero nel Tube me la facevo sotto dalla paura. Ho dovuto fare affidamento nel lavoro dei servizi segreti di Sua Maestà e di Scotland Yard e, da cristiano, un atto di fede cieca che il Signore avesse posato la sua mano sul mio capo, mentre saltavo da un metro all'altro.

I tempi prossimi futuri non si annunciano rosei. Gli Usa, la Spagna e il Regno Unito hanno mandato contingenti in Iraq e sono stati colpiti. L'Italia ha un cospicuo contingente in Iraq e anche se ha già pagato a caro prezzo a Nassyria, ha poco da stare tranquilla tra le mura di casa sua. Gli edifici governativi di Roma, la metropolitana, Piazza San Pietro durante l'Angelus o la Torino delle Olimpiadi potrebbero essere nei piani malati di Al Qaeda.

Non faccio più trasferte a Roma, ma vivo nella Torino delle Olimpiadi. Appunto.

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